Omelia (05-07-2015)
mons. Gianfranco Poma
Si meravigliava della loro incredulità

"E uscì di là. E viene nel suo paese e i suoi discepoli lo seguono". Comincia così, con rapide pennellate, il racconto di Marco 6,1-6. Non ci sono nomi, né di dove esce Gesù né di dove arriva, perché ciò che a Marco interessa è la "sua patria" come luogo simbolico in cui vivere con Lui l'esperienza della fede: la "sua patria", oggi siamo noi che viviamo la stessa esperienza, noi "i suoi discepoli che lo seguono", chiamati a vedere, giudicare e decidere.
"Giunto il sabato, nella sinagoga, cominciò ad insegnare". Se è normale recarsi alla sinagoga di sabato, è singolare che Gesù prenda d'autorità la parola: "cominciò ad insegnare", è l'inizio di un insegnamento del quale non viene detto nulla circa il contenuto, ma la cui autorevolezza, già notata a Cafarnao (Mc.1,22) suscita stupore negli ascoltatori. "Lo stupore" è la prima reazione di meraviglia che l'uomo prova di fronte a ciò che lo sorpassa, di fronte a Dio. "Lo stupore" ritorna nel corso del Vangelo (7,37; 10,26; 11,18), come reazione positiva suscitata da Gesù: potrebbe essere così anche adesso, per coloro che gli sono più vicini, stupiti dalla novità del suo insegnamento. "Da dove viene a Lui questo?", questa nuova domanda è la sintesi di due già sorte precedentemente tra coloro che seguivano Gesù: "Che cos'è questo" (Mc.1,27) e "Chi è Costui?" (Mc.4,41). Adesso una prima serie di domande insiste su " che cos'è questo", cioè sull'origine della sapienza e della potenza di Gesù e una seconda su "chi è Costui", cioè sulla sua identità. Nessuno contesta il carattere eccezionale, "divino", della sapienza e della potenza di Gesù, fa difficoltà, invece, la compatibilità di "tutto questo" con "costui". Come è possibile che "queste cose", questa "sapienza", "queste cose prodigiose che avvengono attraverso le sue mani", gli siano date da Dio, se avvengono attraverso le mani di un carpentiere, del quale conosciamo la madre, i fratelli e le sorelle, persone che stanno qui, tra noi? "E trovavano in lui motivo di scandalo". Lo "scandalo" è l' "inciampo", la difficoltà che il Gesù della storia, suscita alla razionalità umana che pensa Dio nell'onnipotenza, nell'infinita trascendenza: è disposta ad ammettere l' origine divina della sapienza e dei gesti di Gesù ma lo pensa "in forma di Dio". Noi siamo disposti a credere che Gesù è Dio, pensandolo glorioso: ma Gesù è il carpentiere, il figlio di Maria, uno di noi, uomo come noi, lo conosciamo nella sua normale quotidianità... "E Gesù diceva loro: Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua". La parola di Gesù vuole ricordare quanto faccia parte del cammino della fede, provare "scandalo" in un Dio che entra nella storia degli uomini, si incarna nella fragilità e nella debolezza, parla con parole di uomo, ama con un cuore di carne, e sottolinea che la fede di cui i profeti sono testimoni è proprio questo passare attraverso lo "scandalo" di un Dio così vicino, fragile, insignificante, l'opposto del sogno umano di un Dio grande, onnipotente taumaturgico trasformatore degli uomini in eroi. Credere è sentire che l'onnipotenza vera di un Dio che è solo Amore è proprio il suo farsi piccolo, per essere con noi, liberarci e farci vivere. Gesù ricorda a quelli che gli sono così vicino che rischiano di abituarsi tanto da non vedere più, la logica di un Dio che stupisce nel suo Amore talmente infinito, da toccarci, accompagnarci nella normalità per fare cose grandi nello scorrere normale dei giorni. Ma quali sono le cose grandi? Quelle che noi chiamiamo miracoli, oppure che un padre ritrovi l'Amore che faccia vivere la propria famiglia? Che in una donna rinasca la sua forza di vivere?
Noi, vicini di Gesù, abbiamo il coraggio di "credere" l'Amore che Lui ha per noi, o cediamo allo "scandalo" di uno troppo simile alla nostra fragilità? Chiusi in sé stessi, i compaesani di Gesù, non sono riusciti a scoprire la vera identità di Gesù: hanno chiuso la porta al dispiegarsi della potenza del suo Amore. Quante volte noi, con il nostro volere un Dio potente, ostacoliamo l'espandersi meraviglioso del suo Amore! L'Amore vince tutto nel farsi piccolo: credere significa proprio affidarsi all'Amore che ci avvolge continuamente, nella quotidianità, nelle cose più piccole. Marco termina il suo racconto ancora una volta spiazzandoci, dicendo che "Gesù si meravigliava della loro incredulità". Noi proviamo "stupore" quando percepiamo qualcosa che ci supera: Gesù si "meraviglia della nostra incredulità", della nostra incapacità di stupirci di fronte all'Amore infinito che ci è diventato familiare. Gesù che si meraviglia è la rivelazione di un Dio "ingenuo", che continua ad amarci, anzi, a farsi ancora più piccolo: d'ora in avanti, Marco non parlerà più di Gesù che entra nella sinagoga, ma va nelle case, cammina con noi sulle nostre strade, sino alla Croce. Sempre di più Gesù accentua la sua distanza dalle nostre idee su Dio: Marco ci conduce ad incontrare lo "scandalo" di un Dio che sulla Croce si annienta per essere solo Amore, e ci chiede il coraggio di credere non tanto che Gesù è Dio, ma piuttosto che Dio è Gesù che ci ama sino alla follia del dono totale di sé.