Omelia (12-07-2015)
fr. Massimo Rossi
Commento su Marco 6,7-13

Amasia contro Amos.
Il primo è sacerdote sommo nel santuario di Betel, il secondo è pecoraio e contadino, chiamato da Dio a essere profeta.
Amasia se la prende con il profeta, perché (Amos) ha avuto il coraggio di pronunciare parole scomode contro il popolo (infedele) e contro il culto ufficiale.
Pur essendo un sacerdote, Amasia era anche uomo di corte, abituato a servire il padrone; e se l'ossequio al padrone fosse entrato in conflitto con la verità, beh, Amasia sceglieva l'ossequio al padrone. Parlare contro il re significava perdere protezione, privilegi, e anche il ricco appannaggio.
Per questo Amasia voleva liberarsi di Amos, perché nessuno poteva pronunciare parole scomode proprio nel santuario ufficiale del re, sputando nel piatto in cui mangiava.
Amasia interpretava la realtà a partire dalla sua condizione servile, e accusava gli altri di comportamenti che lui non seguiva, solo perché gli mancava il coraggio e la convenienza .
Dal canto suo, Amos sapeva di non poter tacere: non aveva deciso lui di diventare un profeta; sarebbe rimasto volentieri a fare il pastore e il raccoglitore di sicomori...
Amos non cercava privilegi, né denaro, né fama. Suo malgrado, Dio lo aveva chiamato e inviato; solo a Lui, solo a Dio, Amos doveva rispondere: "Nessuno può servire due padroni - ci ricorda Gesù - o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro." (Mt 6).

In forza del battesimo tutti siamo chiamati a diventare profeti, portatori di una Parola, ma soprattutto di uno stile di vita che non sono secondo il comune modo di sentire. Queste parole anche noi le abbiamo ricevute, non ci appartengono; pertanto non vi possiamo togliere, né aggiungere nulla! Non abbiamo il monopolio della verità e non siamo padroni della Parola, ma solo servitori; per di più (servi) inutili (Lc 17).
C'è ancora bisogno di profeti? Eccome! Chiaramente al modo di Amos, cioè liberi, non a servizio dei dominatori di questo mondo. I profeti sono come sentinelle poste sulle mura; hanno il compito di vegliare giorno e notte, per riconoscere i segni dei tempi.
Guai se la sentinella si addormenta, e non sa decifrare i segni di tempi.
Gesù ha compassione di noi, di un popolo disorientato, che facilmente si lascia condurre da "idoli d'argento e oro, che hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Le loro mani non palpano, i loro piedi non camminano;
dalla loro gola non escono suoni!
" (cfr. Sal 113-115). Gesù invia dunque gli apostoli, i quali dovranno imparare a non lasciarsi condizionare dalle situazioni.
Ma l'obbiezione sorge spontanea: e l'incarnazione?
Voglio dire: la Parola di Dio va incarnata nelle situazioni reali: altro è annunciare il Vangelo nell'Occidente, con i suoi problemi economici, le sue contraddizioni, in crisi da ormai vent'anni - chissà quando ne usciremo? -, ma pur sempre capitalista, opulento, etc. etc.; altro, invece, annunciare il Vangelo in un campo profughi dell'Afganistan, o a Lampedusa, nelle favelas di San Paolo, o a Calcutta...

Mi rendo conto che, talvolta, il confine tra inculturazione e condizionamento antievangelico non è facile da delineare.
Attardarsi a disquisire sui "mezzi", correndo il rischio di perdere di vista il fine, è una tentazione quantomai insidiosa. I sandali, sì, due tuniche, no, perché ci vorrebbe anche una sacca per contenerle - fortuna che hanno inventato il trolley! -.
Gesù non disprezza le cose materiali, ma se queste diventano un ostacolo alla diffusione del Vangelo, a qualcosa si dovrà rinunciare. Sapete cosa vi dico? qualche volta un bel trasloco è la soluzione migliore... quando si trasloca ci si libera da tante cose, libri compresi, diventati ormai un peso, che rappresentano il nostro legame col passato e ci costringono a restare voltati indietro, con la mente e con il cuore. Occhio, che potremmo tramutarci in una statua di sale (cfr. Gn 19).
Anche le relazioni possono diventare un impedimento al lavoro del profeta.
Gesù annuncia che la fede, prima o poi divide: "padre contro figlio e figlio contro padre; madre contro figlia e figlia contro madre; suocera contro nuora e nuora contro suocera"... (cfr. Lc 12,52-53). Quando gli affetti umani hanno il sopravvento sull'amore per Dio, quando la fede provoca attriti e costringe a scegliere - o Dio, o me, o noi! -, finisce (quasi) sempre che la fede a poco a poco si raffredda e infine si spegne...per amor del quieto vivere. Ci sono persone che son costrette a limitare i tempi della preghiera, addirittura pregano di nascosto, per non suscitare polemiche in famiglia, o con gli amici... Attenzione: non è detto che tutte le relazioni siano a rischio-fede! Ma anche se lo fossero, il rischio non può e non deve scoraggiarci dal custodire le nostre relazioni e tesserne di nuove, proprio in nome di Cristo! Fuggire apriori le relazioni, questo sì, è contro il principio dell'Incarnazione: il nostro Dio è relazione, e si è voluto mettere in relazione con noi, nella persona del Figlio.
Cristo ha amato profondamente gli uomini e le donne del suo tempo; ma non si è lasciato condizionare da loro; piuttosto che scendere a compromessi con noi ha preferito morire!
In questa scelta, per taluni tragica, per altri addirittura vigliacca, Gesù ha donato tutto se stesso.
L'amore per Dio non è solo sentimento, non è solo trasporto emotivo, non è solo devozione...
La fede è prima di tutto assunzione di impegno: "Tutto ciò che avete fatto al più piccolo di questi miei fratelli, lo avete fatto a me" (cfr. Mt 25), dice il Signore.