Omelia (19-07-2015) |
fr. Massimo Rossi |
Commento su Marco 6,30-34 Avete appena ascoltato la descrizione di una giornata-tipo degli apostoli: oggi, come venti secoli fa, l'agenda quotidiana del predicatore è fitta di impegni. L'amore per le pecore senza pastore costituisce uno dei due assi di quell'ipotetico grafico, sul quale è tracciata la linea della vita di Cristo: il secondo asse è l'amore per Dio. Sulla linea della vita di Cristo dobbiamo sovrapporre la vita del discepolo: amare soltanto Dio, o soltanto gli uomini non è possibile, non lo è almeno secondo la fede, che il cristiano ha scelto come unità di misura assoluta dell'amore. L'amore per gli uomini non è solo questione di annuncio delle verità evangeliche, predicate, insegnate... Alla scuola di Cristo noi impariamo l'amore integrale per tutto ciò che è dell'uomo: mente, cuore, spirito, corpo... Tra la statura teologica e spirituale di Agostino di Ippona e l'ardore della promozione umana di Teresa di Calcutta, non c'è alcuna differenza di valore; si tratta di due tratti diversi e complementari della carità. Stiamo celebrando il bicentenario della nascita di don Bosco, uno dei santi sociali, che animarono la società torinese, incarnando l'attenzione e la cura che la Chiesa da sempre mostra per gli affaticati e gli oppressi, per i poveri e gli emarginati... "I poveri li avete sempre con voi...": questa dichiarazione apparentemente cinica e priva di speranza nel riscatto dei poveri, esprime il tormento del Signore per tutti i poveri del mondo, un tormento che scaturisce dalla consapevolezza di essere ormai alla fine della sua vita e della sua missione. Al tempo stesso, non possiamo trascurare il contesto nel quale Gesù ebbe a pronunciare questa sentenza: il Signore sedeva a cena, in casa dell'amico Lazzaro e delle sorelle Marta e Maria: ad un tratto Maria si alzò da tavola e, presa una libbra di olio profumato, vero nardo assai prezioso, ne cosparse i capelli di Gesù; tutta la casa si riempì del profumo dell'unguento. Giuda Iscariota intervenne per criticare quel gesto: sarebbe stato meglio devolvere in beneficenza i soldi spesi, ben trecento denari (cfr. Gv 12). L'attenzione a coloro che sono meno fortunati, va moderata con l'attenzione a Dio in quanto tale: la promozione umana va sintonizzata con la liturgia! La liturgia senza l'impegno della carità sarebbe un mero intellettualismo religioso. La promozione umana senza la liturgia sarebbe solo filantropia: con tutto il rispetto per i filantropi - ce ne fossero! -, la loro dedizione ai poveri tradisce sempre una connotazione autoreferenziale, che non appartiene, almeno in teoria, alla carità. La fede in Dio orienta l'attenzione del credente, spostandola da sé all'altro: qualunque cosa faccia, o dica, l'apostolo tiene lo sguardo costantemente fisso su Dio e sull'uomo. Questo significa rinnegare sé stessi, perdere la propria vita... Certo, la nostra umanità, intrinsecamente fragile, per quanto generosa e sensibile al prossimo, non sarà mai in grado di concepire un'azione totalmente pura da ogni egoismo... Dunque, smettiamola di fare il processo alle intenzioni nostre e altrui! Il processo alle intenzioni è un po' come la Guardia di Finanza... quando ti entra in casa, o in fabbrica, e controlla ai raggi X i registri dei conti, qualche sbavatura, qualche imperfezione colpevole la trova sempre. Onore al merito dei finanzieri, comunque! Nel Vangelo che abbiamo ascoltato emerge la stanchezza fisica, emotiva e mentale degli apostoli, continuamente alle prese con i drammi dell'uno, dell'altro... Una vera e propria processione di disperati, ciascuno col suo problema, ciascuno degno di essere preso a carico, come se fosse l'unico... È cosi anche oggi!... Chi bussa alla porta di un convento, o di una parrocchia, non è mai come gli altri... il suo bisogno è diverso, è unico, almeno secondo la sua propria percezione. Difficile, guardare negli occhi un povero, un carcerato, un malato, uno straniero... e riconoscere in lui il vero volto di Cristo! Difficile, guardare un povero senza pensar male di lui: "Eccone un altro che ti vuole spillare soldi, inventando, che so, la malattia del figlio, un viaggio per raggiungere un paese lontano...": quale sarà la verità? Anche Gesù, a margine della moltiplicazione dei pani per migliaia di persone, denuncia: "Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'Uomo vi darà!" (Gv 6,26ss.). Tuttavia la critica espressa dal Signore non influenza la sua volontà di bene, offerta a tutti, buoni e cattivi, giusti e ingiusti... come (Gesù stesso) dichiara nel famoso discorso della montagna (cfr. Mt 5, 45). Concludo con una parola sul riposo del discepolo: mi vengono in mente le figure di Francesco di Assisi, di Domenico di Guzman, iniziatori del movimento mendicante che approdò alla fondazione dei due rispettivi Ordini religiosi medievali: i frati Minori e i Predicatori. Tanto l'uno che l'altro morirono cinquantenni, letteralmente consumati dalla fatica del loro ministero. Nei Vangeli continuamente risuona la coscienza che la messe è molta, aumenta in modo esponenziale; ma gli operai sono pochi, sempre di meno, e non bastano mai! Quest'anno noi Domenicani del centro-nord Italia abbiamo chiuso ben tre conventi! Il numero delle potenziali vocazioni e i motivi che attirano ad entrare in convento, o in seminario, non sono incoraggianti... Si parla di desertificazione della fede. Le percentuali dei fedeli che frequentano la Messa e, in genere, dell'interesse per le questioni religiose, sono sempre più sconfortanti. Ebbene, lasciamo le statistiche ai talk-show televisivi di seconda serata. Prendiamo atto che il lavoro non manca, almeno nel campo del Signore. Paradossalmente, i riscontri di segno negativo ci confermano nella convinzione che la Parola di Dio può essere annunciata e vissuta molto di più e meglio in questa società scristianizza, che in quella di ieri, ove si dormiva sugli allori di un cristianesimo forte, nell'illusione che niente e nessuno lo avrebbe mandato in crisi. Credere che la Chiesa sarebbe stata per sempre l'ago della bilancia della nostra società, è stato forse imprudente... Semplici come colombe, ma avveduti come serpenti, insegna il Signore ai discepoli (cfr. Mt 10,16): non siamo stati né semplici, né avveduti... Ora abbiamo imparato la lezione. Non siamo migliori, né peggiori degli altri. E il mondo non è un demone da combattere, ma da amare... |