Omelia (05-07-2015)
don Luciano Cantini
Nei villaggi d'intorno

Da dove gli vengono queste cose?
Gesù insegna nella sinagoga di Nazareth, anche se Marco non la nomina, molti ascoltano ma gli interrogativi e le perplessità non mancano. Le parole che sono riferite sembrano piuttosto un insieme di chiacchere... il contenuto di quello che Gesù ha detto sembra non avere interesse per guardare e criticare il resto, c'è un misto di imbarazzo per un compaesano, forse un pizzico di invidia se non addirittura vergogna per una situazione che è uscita dall'abitudine, dalla tradizione che perpetuava mestieri, relazioni, tessuto sociale; Gesù, diremmo oggi ha "dirazzato", siamo molto vicini allo scandalo.
A distanza di due millenni ci stupiamo ancora per molte cose che riguardano la persona di Gesù che ancora pone tanti interrogativi e di tale attualità da lasciarci esterrefatti. Quello che più ci scandalizza da essere incapaci da intuirne il senso e la potenza è l'amore totale e incondizionato di Dio, la sua misericordia senza limiti. È proprio la gratuità che ci attrae ma anche ci spaventa perché sembra chiederci una analogia nell'agire. È un amore esigente che ci chiede di essere la misura della relazioni tra gli uomini, fino all'inverosimile amore per i nemici.
Due sono i fatti che angosciano i concittadini di Gesù: la sapienza e i prodigi. Chi gli ha dato la sapienza e il poter delle sue mani? Lui non può essere, c'è qualcuno che dall'esterno gli ha dato poteri che non sono suoi: Gli scribi, che erano scesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni» (Mc 3,22).

Non è costui il falegname
Lui è ben conosciuto, con lui hanno giocato da bambini, del suo mestiere si sono serviti... è più facile immaginare un maestro figlio di maestri. Qui il mistero della incarnazione si rivela in tutte le sue difficoltà, anche per noi oggi è più facile immaginare un Gesù che assomiglia a Dio che sa d'incenso piuttosto che un Gesù che assomiglia ad un falegname, intriso di resine e sporco di segatura. Non è Dio che scandalizza quanto la sua incarnazione, la sua caparbietà nel voler essere uomo irriconoscibile tra gli uomini. L'assomigliarci troppo, l'aver abbattuto il confine di demarcazione tra l'umano e il divino che ci impedisce di capire con esattezza a chi ci stiamo rivolgendo, chi stiamo ascoltando. Una religione troppo umana, fatta di relazioni umane, di attenzione agli ultimi di questa umanità disturba il nostro bisogno di divino, il nostro desiderio di ascendere nell'alto dei cieli.
Nella storia, le religioni rappresentano una sorta di tentativo di salita che liberi l'uomo dai vincoli terrestri (vedi le religioni di origine orientale) come il bisogno di sottomettersi al potere divino e a lui compiacere ( vedi le religioni nate nel medioriente). Invece Gesù ci dice il contrario: è Dio che si è fatto così vicino all'uomo da essere lui stesso uomo.

Il figlio di Maria
Quello che per noi è un bel titolo, per il riconoscimento e l'affetto che nutriamo nei confronti della Madre del Signore, in bocca ai suoi compaesani suona come offesa. Le persone sono conosciute per la loro discendenza, il nome del proprio padre (Cfr. Mc 2,14: Levi, figlio di Alfeo; Mc 3,17: Giacomo, figlio di Zebedeo; Mc 10,46: Bartimeo, figlio di Timeo; Mc 15,7: Un tale, chiamato Barabba: "bar-abba" figlio del padre, per dire figlio di nessuno), non per il nome della madre. Gli altri sinottici nei passi paralleli correggono l'espressione che suona male: Matteo lega le due affermazioni e dice Figlio del falegname per poi aggiungere sua madre non si chiama Maria? (13,55); Luca più decisamente dice figlio di Giuseppe (4,22). Certamente ha colpito la fantasia dei compaesani il nascondimento di Maria nel periodo della gravidanza (visita a Elisabetta), questa nascita avvenuta altrove (Betlemme), e prematuramente rispetto ai canoni del matrimonio; chiamare Gesù Figlio di Maria è come rivangare qualcosa che non torna nella sua storia e che adesso si sta manifestando con gli strani poteri che gli sono attribuiti.
Allora come oggi i pregiudizi fanno da padroni nelle relazioni, condizionano la verità, falsificano le relazioni. Per fare un esempio attuale, a proposito di migrazioni e di profughi, se ne sentono di tutti i colori dall'albergo a quattro stelle in cui sono ospitati, alla diaria di trenta euro che ricevono, frutto di fantasie o di propaganda ben orchestrata; sembra che ci sottraggono ciò che ci è dovuto e nessuno parla della sofferenza del distacco dagli affetti, i maltrattamenti subiti; nessuno accenna alle cause della emigrazione e le responsabilità dell'occidente, nessuno si sente corresponsabile della loro situazione che è altro da noi.

E lì non poteva compiere nessun prodigio
Abbiamo il potere malvagio di frenare la benevolenza divina; non lasciamo spazio perché Dio innesti la sua vita nella nostra per poter crescere. Abbiamo paura di perdere, di essere deboli e fragili, abbiamo timore di abbandonarci alla Parola e all'Azione di Cristo, non ci fidiamo a sufficienza mantenendo il nostro spazio e la nostra presunta libertà sazi della nostra autosufficienza, indipendenti da Dio; eppure san Paolo scopre che quando sono debole, è allora che sono forte (2Cor 12,10).
Forse dovremmo trasferirci nei villaggi d'intorno, e riscoprire la semplicità di essere uomini.