Omelia (12-07-2015)
padre Gian Franco Scarpitta
Il fare di Dio e il fare dell'uomo

Se interpretiamo la scelta professionale di ciascun giovane concependo l'argomento in termini puramente umani, senza alcun riferimento religioso ed escludendo anche il termine "vocazione" (o interpretandolo secondo criteri non cristiani) potremmo dire che si danno diverse possibilità: 1) questi imposta il proprio futuro tenendo conto delle proprie aspirazioni e inclinazioni; si orienta verso ciò a cui si sente direttamente portato. Sceglie quindi l'indirizzo universitario che più gli è congeniale e dopo la laurea persevera nei master e nei corsi di approfondimento per conseguire l'obiettivo sperato. O altrimenti, in modo analogo, coltiva la propria attitudine tecnica professionale (meccanico, tecnico tv, elettricista) e si industria un po' alla volta per esercitarla liberamente con mezzi propri, ad esempio aprendo un negozio o un'officina. 2) Il giovane imposta il suo avvenire inizialmente seguendo le proprie inclinazioni ma poi, non per sua colpa e travolto dagli eventi, è costretto ad abbandonare l'itinerario d'interesse e ripiegare per un'altra occupazione. Così avviene anche nel nostro paese che non sempre premia il merito, per cui tanti giovani sono costretti a ripiegare su altre attività nonostante abbiano altre qualifiche o titoli di studio. Recentemente si è stati costretti anche ad emigrare all'estero. 3) Come pure non è strano che vi sia chi, raggiunto un determinato obiettivo o mentre sia in procinto di realizzare questo, a un certo punto cambi idea, scoprendo in piena coscienza di essere votato ad altra strada. 4) Si può scegliere la propria occupazione in base a risorse personali limitate e (purtroppo al giorno d'oggi) insufficienti, come nel caso di coloro che si adattano a servili mansioni o umili attività che non richiedano titoli di studio o particolari abilità tecniche e anche su questo campo si può trovare la propria realizzazione. %) Si può scegliere il proprio obiettivo in base a puri ideali o sogni illusori, ambire a posizioni che in realtà non ci competono per la sola presunzione di grandezza o di vanagloria o semplicemente perché attratti da particolari esterni. Di conseguenza si scelgono indirizzi poco adatti alla nostra inclinazione, con conseguenze perniciose per se stessi e per gli altri.
Ebbene, di tutte queste possibilità concepite dal solo punto di vista umano, solo l'ultima non coincide (o almeno non rientra) con il concetto di vocazione cristiana. Determinare il proprio futuro solo sulla base di mere ambizioni o di sogni fantasiosi, senza neppure verificare la nostra compatibilità con il ruolo che occuperemo, non coincide certo con la volontà di Dio e per ciò stesso nemmeno con il bene della comunità. Io inorridisco al pensiero di tanti medici o primari d'ospedale colpevoli di incresciosi errori sui pazienti, complice il fatto che hanno raggiunto il loro posto solo per raccomandazione... Come pure di tanti docenti non all'altezza della loro funzione, che mettono a disagio se stessi e i propri alunni.
Quanto alle prime tre possibilità elencate, per quando possano fenomenologicamente verificarsi nel puro ambito umano e prescindere da ogni riferimento religioso, sono identiche al concetto di vocazione cristiana, o almeno rientrano nello specifico di esso. I talenti naturali e le inclinazioni personali di ciascuno non sono affatto un dato casuale o aleatorio, perché è Dio ad infondere, nello persona dello Spirito Santo, dei carismi specifici su ciascuno di noi; carismi che vanno sempre messi a frutto e che non possono non essere esternati a beneficio della comunità. Sempre Dio, e non il caso o la fatalità, può suscitare in ciascuno dei carismi o delle attitudini che poi ti farà sfruttare in altri ambiti e non in quello a cui ti eri predisposto (seconda opzione) secondo dei progetti che Lui solo conosce e che vertono comunque al tuo vantaggio e di quello degli altri. Recentemente una ragazza maestra in una scuola elementare prima orientata verso l'insegnamento alle scuole superiori mi diceva di non accettare inizialmente un cambiamento di prospettiva simile, avendo lei una laurea che l'avrebbe portata verso ben altri luoghi d'insegnamento. E tuttavia adesso ha scoperto "che se avessi insegnato all'Istituto Professionale o al Liceo" non avrei imparato nulla dai bambini e non avrei potuto fare loro il bene che sto facendo adesso. Appunto, Dio sa meglio di noi stessi quale sarà il nostro destino perché lui solo conosce le nostre reali necessità e i desideri di fondo.
Sempre il Signore può indirizzarti in un primo momento verso un obiettivo per farti scoprire poi che la tua vocazione è un'altra. Come più volte ho detto in questi miei interventi, personalmente ho sperimentato in primo luogo che la mia vera vocazione non sarebbe stata quella del giornalismo o delle lettere (a cui mi sentivo portato da giovane) ma quella del sacerdozio; ulteriori esperienze mi hanno fatto poi capire che il mio sacerdozio non doveva essere orientato presso il clero secolare, ma in un Ordine Religioso. Probabilmente in un seminario Diocesano non avrei reso quanto in un Ordine che mi ha dato possibilità di mettere a frutto maggiormente le mie risorse. Un mio confratello ha deciso di vestire l'abito religioso dopo aver esercitato per alcuni anni, con grande profitto e notorietà, la professione di architetto in una grande città della Spagna. Un altro religioso francescano da me conosciuto è diventato semplice frate dopo una lunghissima esperienza da Generale dell'Esercito. Nulla insomma si deve al caso o alla fatalità, nessuno è stato posto in essere per venire poi abbandonato a se stesso e neppure esiste il destino o la fortuna. Piuttosto, come dice Seneca, "esiste solo il momento il cui il talento incontra l'occasione" e ancora una volta questo coincide con la chiamata di Dio, con la realizzazione della sua volontà, con i suoi piani che sono diversi dai nostri. L'ottica della fede ci aiuta ad attribuire all'azione di Qualcuno il corso degli eventi e la nostra storia personale e ad interpretarla come un disegno d'amore e di salvezza che non si deve alle nostre decisioni aleatorie.
C'è tuttavia un aspetto particolare da osservare: nel realizzare i suoi progetti Dio non si serve di currricula o di requisiti umani, ma realizza i suoi piani secondo procedimenti ben differenti dai nostri e a volte seguendo vie a noi sconosciute. Come ci fa intendere il profeta Amos, che alla pari di Mosè e di tanti altri non si riconosce all'altezza dei grandi uomini o dei grossi talenti (pastore e raccoglitore di sicomori) eppure Dio sceglie proprio lui per il profetismo della sua Parola. Si trova ad affrontare l'ira di Amasia, che vuole cacciarlo dal suo territorio perché aveva pronunciato un discorso scomodo e irriverente, anzi a suo dire blasfemo. Ma sempre la provenienza della chiamata divina gli incute il coraggio di persistere nel suo intento profetico nonostante egli ammetta di essere un povero mandriano. Dio si è fidato di lui per sceglierlo come portavoce di un messaggio di condanna nei confronti degli Israeliti e questo basta. Non sono richiesti requisiti specifici, titoli accademici o qualifiche professionali particolari e la sola attrezzatura necessaria allo svolgimento della missione è quella che Dio gli fornisce di volta in volta. Anche le sicurezze materiali dei discepoli di Gesù, inviati con un solo bastone come sostegno, sono del tutto inani e innecessarie: sarà lo stesso Signore a provvedere al loro sostentamento materiale, con la stessa solerzia con cui li ha eletti e inviati. Basta che non si scoraggino di fronte alle immancabili difficoltà e alle reticenze dei loro destinatari, anche perché il loro vero obiettivo non è il successo a tutti i costi, ma solamente l'annuncio del Regno che si dà anche per mezzo di segni tangibili come i miracoli e gli esorcismi. Devono camminare per strada a due a due, per avere modo di confrontarsi sui risultati della missione e spronarsi a vicenda in caso di scoramento. Scuotere la povere dai calzari è un segno di presa d'atto dell'altrui rifiuto, il quale si ripeterà nelle successive missioni apostoliche, una volta risorto e asceso il Signore (At 13, 51).
La chiamata di Dio è multilaterale. Egli può orientarci verso differenti finalità e realizzare in ciascuno un progetto secondo piani unici e irripetibili, per cui nessuno di noi può mai essere certo di quale sia la nostra chiamata. Ecco perché è necessario affidare a Dio la nostra vita e il nostro futuro, ricorrendo alla preghiera, alla meditazione e alla Direzione Spirituale, chiedendo lumi su quale sia il nostro posto nel mondo. Ecco perché è necessario discernere i nostri carismi alla luce della sua Parola, senza aver presunzione di dover adottare e mettere a frutto i talenti degli altri. E soprattutto occorre riporre estrema fiducia nel Fautore di ogni vocazione, che ci attrezza egli stesso per l'opera per cui ci ha scelti e prediletti. Qualsiasi missione comporta l'eliminazione delle nostre scelte preferenziali di comodo e il ricorso alla solo sostegno del Signore.