Omelia (05-07-2015) |
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie) |
Commento su Ez 2,2-5; Mc 6,1-6 Nella prospettiva capovolta del Cristianesimo l'onnipotenza di Dio si manifesta passando per la debolezza dell'umile, poi per la sconfitta, la Croce, la morte. Il paradosso di un Dio che nasce da una donna in una greppia, ha per amici dei pescatori e muore come un ladrone qualsiasi infisso ad una croce, era evidentemente troppo per gli ebrei del suo tempo: un Dio che si fa' chiamare molto volentieri Figlio dell'Uomo, che non è disceso per regnare e proteggere Gerusalemme ma anzi ne profetizza la distruzione come momento di palingenesi, inizio di liberazione dell'uomo nuovo... Umanamente, se solo ci scrostiamo di dosso le sovrastrutture della nostra educazione religiosa, è facile comprendere lo "stupore" degli ebrei davanti a questo re alla rovescia. Su questo stupore, e sul reciproco stupore di Gesù, i vangeli ritornano molte volte. Così fa anche il vangelo di oggi, e in tutte le letture si insiste sulle opposizioni potenza / debolezza, gloria / disprezzo. Il destino del giusto, sia nell'antico che nel nuovo Testamento, sembra essere la denigrazione dei suoi prossimi. Il profeta Ezechiele, anche lui designato come "Figlio dell'Uomo", viene inviato pur nella consapevolezza che rimarrà inascoltato. Gesù viene inviato e in riferimento alla sua propria missione usa in questo passo l'espressione che rimarrà proverbiale nemo propheta in patria. Come può proporsi come re il figlio di Giuseppe e Maria, a cui nessuno darebbe una lira? Non è costui il carpentiere... Il carpentiere della scena evangelica di Marco nella sinagoga di Nazaret è davvero il re dei Giudei? Non viene riconosciuto, è schernito come lo sarà anche sulla croce, gli astanti della sinagoga, i suoi "parenti" e concittadini nazareni, lo disprezzano come un ciarlatano. La contraddizione che i Vangeli rendono manifesta è fra la narrazione di un Uomo Dio che raccoglie al suo seguito folle oceaniche, in particolare quando opera attraverso i prodigi ― pensiamo solo al Vangelo dell'ultima domenica, quello della donna emorragica guarita col lembo del mantello e della resurrezione della fanciulla figlia di un capo della sinagoga ― e lo stesso Uomo che viene osteggiato nel suo insegnamento ed infine morirà da solo in croce per mano di quel popolo, dei suoi capi. Il problema di Gesù nella sinagoga di Nazaret è di riconoscimento presso i suoi. Problema alla fine non nuovo, ci dicono le letture di oggi. Nel brano di Ezechiele, ritroviamo la necessità di Dio di affermarsi presso il suo stesso popolo, di divenire riconoscibile davanti a quegli Israeliti che tante e tante volte contro il loro Dio si sono rivoltati. Cambia nell'Antico Testamento il linguaggio e cambiano i mezzi, Dio utilizza il profeta per comunicare con il popolo mentre poi sarà il Figlio stesso a farsi uomo tra gli uomini. Ma il problema è il medesimo. Dio chiede ad Ezechiele di rivolgersi così al popolo: "Dice il Signore Dio". Che ascoltino o non ascoltino la parola, è secondario. Quanto meno si realizza l'affermazione della presenza di Dio in mezzo al popolo e si realizza attraverso il profeta. La stessa incomprensione è quella che deve fronteggiare Gesù nella sinagoga, e più in generale fra il suo popolo, in particolare negli strati più elevati del popolo e nel ceto sacerdotale, i veri discepoli provenendo dalla classe lavoratrice, dagli umili. Prima ancora dell'ascolto della parola, viene la questione del riconoscimento di colui che parla: se non ti riconosco, se non riconosco il tuo diritto e in questo caso la tua autorità, posso ascoltare o non ascoltare, non fa differenza: il mio cuore resta indurito, per usare il termine biblico. La questione del riconoscimento di Gesù è quanto mai attuale e ci interpella personalmente ogni giorno. Ancora una volta, per porci in attitudine di attesa, per essere pronti a ricevere lo Spirito e con esso la grazia, la via che ci viene indicata è incarnare il paradosso cristiano, che Paolo ai Corinti traduce splendidamente con questa parola che Dio gli rivolge: "Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza".
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