Omelia (12-07-2015) |
don Alberto Brignoli |
La missione? Bastone e sandali... Gesù non era uno che faceva le cose da solo. Non che non ne fosse capace, intendiamoci: ma per lui, il messaggio di salvezza non è appannaggio delle sue grandi doti di profeta, di taumaturgo o di evangelizzatore. È sempre un messaggio che passa sì attraverso la potenza della sua divinità, ma anche - e direi in maniera irrinunciabile - attraverso la mediazione di una comunità, di un gruppo, dei suoi discepoli, in definitiva, della Chiesa. "Extra ecclesiam, nulla salus" - "Al di fuori della Chiesa, non v'è salvezza": espressione longeva quasi quanto il cristianesimo - se è vero che risale a San Cipriano (III secolo) - non è da intendere come dichiarazione dell'esclusiva della salvezza da parte dell'istituzione cristiana, al di fuori della quale ci sarebbe la condanna o la dannazione eterna, ma come volontà del Maestro di assimilare, alla sua opera redentrice, anche l'operato dei suoi discepoli, dei suoi seguaci, che non possono non assumersi l'impegno dell'annuncio del Vangelo. Ed è proprio ciò che ci dice il brano di Vangelo di questa domenica. Facciamo un passo indietro, e menzioniamo il versetto con cui si era concluso il brano di Vangelo di domenica scorsa: "Gesù percorreva i villaggi d'intorno, insegnando". Il Maestro, non dimentichiamolo, veniva da una debacle, da una delusione pastorale, diremmo oggi: tornato nella sua patria per la seconda volta, non ottiene il successo della volta precedente, bensì disprezzo e incomprensione. Le prospettive della sua missione, del resto, non sono rosee: il brano successivo a quello che leggiamo oggi narra di ciò che è avvenuto all'altro grande profeta, il precursore di Gesù, Giovanni Battista, martirizzato da Erode in quanto scomodo testimone della giustizia e della verità. In mezzo a questi due episodi di rifiuto e di persecuzione, ci attenderemmo un Gesù se non intimorito, quantomeno un po' sulla difensiva, un po' accorto, potremmo dire in ritirata. Non è così. Viene da un rifiuto, e la sua prospettiva è il martirio? Benissimo: la risposta non è la ritirata, ma l'esatto opposto, ossia l'apertura, la missione, l'annuncio. Quante cose avrebbe da imparare la comunità dei credenti, la Chiesa, da questa vicenda occorsa al Maestro! In un momento di crisi e di opposizione, e con prospettive ancora meno rosee, invece di stare sulla difensiva, Gesù si apre alla missione; noi cristiani, invece, soprattutto noi uomini di Chiesa, quando ci sentiamo attaccati o viviamo un momento di difficoltà e di contrasto, ci sentiamo "sotto assedio" e ci rintaniamo nella sicurezza delle nostre cittadelle e fortezze inespugnabili, le nostre gratificanti riunioni, i nostri gratificanti rituali, i nostri gratificanti gruppetti, gettando giudizi e invettive nei confronti del mondo intero, cattivo e oppositore, invece di uscire verso il mondo proclamando con ancor maggiore forza l'annuncio del Vangelo. Ma il Maestro sa bene qual è la cura: e allora - come dicevo prima - ci coinvolge nel mistero della salvezza annunciata, e ci apre con lui alla missione. Non sarà più solo lui a percorrere i villaggi d'intorno, insegnando, ma manderà noi suoi discepoli a proclamare il Regno di Dio. A lui non importa ciò che la gente pensa, non si cura dei pregiudizi di chi lo ritiene solamente un figlio di falegname, o di chi dice che i suoi discepoli - come fanno con il profeta Amos, nella prima lettura - siano solo "mandriani e coltivatori": la missione è veramente per tutti. Certo, non senza attenzioni precise: mai, infatti, come in questo brano di Vangelo, Marco si prodiga in un insieme molto dettagliato di indicazioni, che dicono anche lo stile della missione. Tutto parte da una chiamata: "...chiamò a se i Dodici e prese a mandarli". A volte, pensiamo che partire per una missione, per l'annuncio del Vangelo, sia una scelta personale, il frutto di una libera iniziativa di chi vuole provare esperienze nuove: non è così, è la risposta a una chiamata che viene da chi è il Principio, il motivo della missione. Questo ci serve a capire che, per quanto grandi possano essere le opere compiute dai missionari del Vangelo, è sempre un Altro il protagonista della salvezza. Per questo, Gesù vuole evitare i personalismi protagonistici: per questo, invia i suoi discepoli "a due a due" e mai da soli, perché il Dio della salvezza lo si incontra in una comunità, ancor più in una comunità di amore. E lo scopo della missione è ben chiaro: "Dava loro il potere sugli spiriti impuri". Lo Spirito, nella Bibbia, indica la potenza, la forza: quando lo Spirito è Santo, viene da Dio, ma quando non viene da Dio è definito "impuro", e spesso viene identificato con il male, l'avversario, con satana. Lo Spirito Santo ti mette in comunicazione con Dio, lo spirito impuro ti allontana da lui: scopo della missione è allora quello di avvicinare a Dio, di mettere in contatto l'uomo con Dio, al di là di ogni forza contraria. Perché il nostro messaggio sia efficace, perché avvicini davvero l'uomo con Dio, non è sufficiente che sia annunciato bene: deve essere un messaggio autentico, autorevole perché reso vero dai fatti e dagli atteggiamenti con i quali lo annunciamo. Questo è il motivo per cui Gesù ai suoi discepoli "ordina" (è l'unica volta che Marco utilizza questo verbo in maniera così categorica) cosa devono fare perché il Vangelo sia credibile, perché l'uomo si avvicini a Dio: non prendere nulla, se non bastone e sandali (l'indispensabile per camminare, perché il Vangelo non può fermarsi mai), e quindi né pane, né sacca, né denaro, né due tuniche. L'unica sicurezza della missione siano bastone e sandali, ovvero che il Vangelo non si fermi mai: i mezzi economici, le certezze, i ripari dietro i quali ci nascondiamo o che indossiamo per ripararci dagli insuccessi, e qualsiasi tentativo di "mettere nella sacca", di "immagazzinare" i mezzi a nostra disposizione non corrispondono al piano di Dio, non fanno parte di ciò che lui esige da noi. Che esame di coscienza, per la nostra attività missionaria, da sempre tentata di risolvere i problemi delle popolazioni povere con la potenza dei propri mezzi economici, della propria cultura, della propria dottrina, delle proprie doti e capacità! Quante volte andiamo in missione convinti di salvare il mondo perché costruiamo opere e diamo da mangiare, sicuri del fatto che gli appoggi economici e i sostegni che ci vengono dalla nostra "cultura forte" non mancheranno mai di sostenerci nelle prove! "Bastone e sandali", non pane e mattoni: popolo di Dio perennemente in cammino, e mai Chiesa appesantita dalle strutture, questa è la missione! È così che la gente ci accoglie! Ci accoglie se condividiamo la loro povertà, se ci affidiamo come loro alla Provvidenza, se ci fidiamo del poco che anche essi possono dare per contribuire alla causa del Regno. Altrimenti, i nostri insuccessi saranno sempre fallimenti, e daremo sempre la colpa a loro, ai poveri, perché "ignoranti, approfittatori e ingrati": e scuotendo contro di loro - magari arrabbiati - la polvere dai nostri calzari scuoteremo, in realtà, le nostre incoerenze, la potenza dei nostri mezzi, i nostri errati atteggiamenti da salvatori della patria... Che Dio ci faccia compiere spesso esami di coscienza come quello di oggi, soprattutto a noi, missionari del Vangelo, che portiamo con noi tutto l'immaginabile e il possibile, e ci dimentichiamo dell'essenziale: bastone e sandali. |