Omelia (19-07-2015)
padre Antonio Rungi
Guai ai pastori che non curano il gregge

Nella sacra scrittura ci sono passi forti, dirompenti, ma quello che oggi leggiamo e che è tratto dal profeta Geremia, mette i pastori delle anime davanti alle loro grandi responsabilità. La vocazione sacerdotale, religioso o qualsiasi ministero nella Chiesa una volta accettata, vagliata e scelta per sempre, non può essere considerata uno status sociale di benessere personale e di garanzie per ben vivere. Il pastore scelto dal Signore in mezzo al popolo di Dio deve essere tutto per tutto per il suo popolo. Non ci possono essere giustificazioni, né eccezioni, ne tolleranza alcuna. Nessuno è costretto a fare ciò che sceglie liberamente o accetta liberamente. Per cui, riflettendo sul brano della prima lettura di questa domenica XVI del tempo ordinario, penso a tutti i sacerdoti in cura di anime e soprattutto i parroci. Penso a coloro che in obbedienza al vescovo o ai superiori maggiori hanno accettato la guida pastorale di una parrocchia, di un santuario, di un gruppo religioso, di associazioni, di compiti e ministeri vari nella chiesa e che poi non si impegnano seriamente e costantemente in questo compito. Del loro disimpegno, del loro scarso impegno, dell'impegno a tempo determinato e parziale renderanno conto a Dio, in quanto c'è un'umanità che soffre e aspetta, almeno il conforto del pastore attento e generoso nel servire la causa dei poveri, dei sofferenti. Esempi mirabili di pastori zelanti e instancabili, generosi nel servizio, la chiesa ne conta tantissimi, al punto tale che li ha elevato agli onori degli altari. A tali pastori bisogna ispirare la propria vocazione e missione nella chiesa, se si vuole rispondere al dono ricevuto, che è anche un mistero.
Il severo ammonimento che ci ricorda il profeta Geremia deve far pensare ai pastori, ma anche alle pecore, perché spesso sono le pecore a distrarre i pastori dai loro veri doveri e compiti. Gli uni e gli altri devono camminare insieme e costruire insieme. "Dice il Signore, Dio d'Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere". Quante persone lontane dalla chiesa anche per responsabilità diretta dei pastori che invece di accogliere, scacciano; invece di essere disponibili sono eternamente stanchi di svolgere il loro primario compito, facendo altre cose e ricoprendo uffici e ruoli incompatibili con quello del pastore che deve stare in mezzo al suo gregge per guidarlo sulla via della santità e non della perdizione, della pace e non della guerra, della disponibilità e non dell'indifferenza. Pastori che sappiano comunicare la loro di gioia di essere sacerdoti e consacrati e non persone tristi e risentite, come ci ricorda papa Francesco nella sua Esortazione Apostolica Evangelii gaudium. Pastori che esercitano ed amministrano il sacramento della misericordia con la stessa bontà e tenerezza di Dio e che non diventano giudici inflessibili con gli altri e permessivi con se stessi.
Sia costante la preghiera al Signore, rivolta al Lui con queste espressioni di sincera volontà di andare incontro a Dio: "Dona ancora, o Padre, alla tua Chiesa, convocata per la Pasqua settimanale, di gustare nella parola e nel pane di vita la presenza del tuo Figlio, perché riconosciamo in lui il vero profeta e pastore, che ci guida alle sorgenti della gioia eterna". La gioia della propria consacrazione, la gioia da trasmettere agli altri nel servizio pastorale. Certo anche il pastore che ha svolto in pieno il proprio compito e la propria missione è chiamato ad una verifica periodica e sistematica del proprio agire. Il pastore lo può fare da solo, ma anche insieme (cosa preferibile) agli altri pastori e a chi ha la responsabilità in primis dell'opera di chi è pastore a livello locale o a livello parrocchiale. C'è una gerarchia nella responsabilità sui pastori. Il Papa su tutto l'episcopato e sul clero e il vescovo sul clero Diocesano e sull'intero popolo di Dio della chiesa locale. Il parroco responsabile della pastorale della sua comunità parrocchiale, di cui deve rendere conto soprattutto a Dio, oltre che ai propri vescovi o superiori. Perciò il pastore deve ritagliarsi dei tempi di tale verifica con gli esercizi spirituali, con i corsi di formazione permanente dei sacerdoti, dei ritiri mensili, di preghiera personale quotidiana, di attenzione ai bisogni della comunità alla quale è stato inviato, soprattutto i più deboli ed emarginati. Il Vangelo di questa domenica ci immette in questo clima di verifica costante del lavoro pastorale e ascoltando i suggerimenti di Gesù, dai agli apostoli, anche i pastori di oggi sapranno lavorare più serenamente e meglio nella vigna del Signore. Basta non accumulare, uffici, incarichi, ruoli, carriera, successo, interessi di altro genere che non siano quelle esclusivamente evangeliche. Anche il desiderato riposo, deve essere spesso accantonato, per continuare nell'azione pastorale. Il bene delle anime è la regola fondamentale di ogni pastore.
Concludiamo questa riflessione con il brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni, che è il nostro progetto di vita e missione nella chiesa, sia come sacerdoti che fedeli laici. Aver la coscienza del proprio itinerario di fede, significa porsi davanti al mistero del Cristo Redentore con la responsabilità di chi è chiamato a salvarsi, ma anche ad essere strumenti di salvezza per gli altri: "Gesù è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito".
E con il Salmo 22, che oggi possiamo cantare insieme all'assemblea dei fratelli che converranno nella chiesa per la partecipazione alla santa messa e all'eucaristia, noi eleviamo a Dio l'inno di lode e di ringraziamento.