Omelia (19-07-2015) |
don Luciano Cantini |
Un tempo per riposare e incontrare Apostoli È l'unica volta che nel vangelo di Marco è usata l'espressione apostoli (inviati) per indicare i dodici, richiama quanto raccontato all'inizio del capitolo quando chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due (Mc 6,7). La parola Apostolo non ha ancora il significato tecnico, il ruolo e la funzione che assumerà nella chiesa nascente; qui semplicemente indica la dimensione subalterna a Colui che li ha inviati, racconta una esperienza derivata, non una missione propria. Dunque, i discepoli, in continuità con il mandato ricevuto raccontano tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Nel racconto il verbo fare precede l'insegnamento, questo per sgombrare il campo da qualsiasi teorizzazione della Fede che invece si esprime nella concretezza della vita. È l'unica volta in Marco che il verbo insegnare è applicato a qualcuno che non sia Gesù; questo ci autorizza ad affermare che il Signore Gesù è il vero Maestro; gli altri, compresi noi, non siamo altro che portavoce di un insegnamento. In noi la sua Parola risuona e riverbera, trova il modo di ricomprendere il tempo e la storia che stiamo vivendo, cerca espressioni capaci di essere comprese dal linguaggi e culture nuove, ma Lui e soltanto Lui è il Maestro, Lui è la Parola vivente: Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore ( Eb 4,12). In un luogo deserto L'immagine che Marco trasmette è quella del nuovo popolo di Dio e del nuovo Esodo: il riferimento al deserto racconta dell'intimità di Dio con il suo popolo, quando Dio parla al cuore di Israele (cfr. Os 2,16) perché diventi suo popolo (cfr. Es 19,3-6). Nel deserto il popolo riceve da Dio la manna come cibo e l'acqua per dissetarsi: Marco sta per raccontare (v 35-44) dei cinquemila uomini sfamati con cinque pani e due pesci. L'invito di Gesù a venire in disparte per riposare ci racconta della terra promessa (cfr. Gs 1,13-15; Is 63,14; Dt 11,8-12) dove scorre latte e miele (cfr. Es 3,8; Dt 6,3; Gs 5,6). A questa terra di riposo Dio conduce il suo popolo: Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Rinfranca l'anima mia (Sal 22). Questo invito di Gesù è rivolto oggi anche a noi, un invito a trovare più tempo per riposare, per dedicare alla famiglia, agli amici, a se stessi, al nostro rapporto con Dio. È invito a prendere le distanze dalla frenesia delle giornate, dalle preoccupazioni, dalle paure, dal lavoro, dalle responsabilità; abbiamo bisogno di un altro punto di vista per guardare la nostra vita da fuori, insieme con il Signore. Tutto quello che abbiamo fatto e insegnato, la nostra stessa vita perde di significato che non riusciamo a traguardarla con gli occhi del Signore. Ebbe compassione L'episodio raccontato con poche parole sembra contrastare con i rifiuti dei nazareni, e gli insuccessi registrati: mentre Gesù e i suoi attraversano con la barca il lago in cerca di un luogo appartato, una folla numerosa, corre lungo la riva fino a precedere il piccolo gruppo. C'è una fame e una sete percepita chiaramente ma non del tutto identificata. Si potrebbe facilmente identificare questa fame e questa sete con gli aspetti sociali e religiosi di quel popolo in quell'epoca: un forte controllo sociale ed una struttura religiosa potente. Se l'evangelista arriva a dire che erano come pecore che non hanno pastore, l'idea che ci vuole comunicare è quella di un popolo allo sbando. Ma dell'oggi cosa potremmo dire? Non abbiamo l'impressione che ci sia ancora oggi una fame e una sete percepita chiaramente ma non del tutto identificata? Nell'epoca post moderna che stiamo vivendo in cui l'egocentrismo e l'egoismo, condizionano le nostre relazioni; in un mondo multimediale in cui comunicare sembra facilissimo col risultato di maggiore isolamento; in una società dominata dal mercato e dalla economia, dove la persona diventa un numero e si dilegua, le fami e le seti sono molte. Stiamo in un periodo di grande confusione ciò che dovrebbe essere normale diventa eccezionale: un politico onesto, marito e moglie che dopo tanti anni di matrimonio vivono insieme felici, un impresa che crea posti di lavoro... Gesù ebbe compassione di loro, così come ha compassione di noi oggi: è la dimensione materna del Signore che accoglie, la sua tenerezza nei confronti dei miseri, la sua profonda misericordia. Come non rileggerla nei gesti e negli affanni di Papa Francesco nel viaggio in America Latina, ma anche in tenti incontri e celebrazioni! "Ogni giorno - afferma il Santo Padre - siamo chiamati tutti a diventare una «carezza di Dio» per quelli che forse hanno dimenticato le prime carezze, che forse mai nella vita hanno sentito una carezza..." ("La carezza di Dio", in L'Osservatore Romano, 1 novembre 2013). "La cosa importante non è guardarli da lontano o aiutarli da lontano. No, no! È andare loro incontro. Questo è cristiano! Questo è ciò che insegna Gesù... Dobbiamo edificare, creare, costruire una cultura dell'incontro..." ("La cultura dell'incontro...", in L'Osservatore Romano, 8 agosto 2013). |