Omelia (19-07-2015) |
mons. Gianfranco Poma |
Ebbe compassione di loro Nella domenica XVI del tempo ordinario leggiamo un piccolo brano, Mc.6,30-34, nel quale appare sempre più viva la preoccupazione pedagogica del Vangelo di accompagnare i discepoli nel loro cammino di fede come graduale apertura del cuore ad un Dio che continua a stupirli nel dono del suo Amore per loro. I discepoli (che adesso Marco chiama "apostoli"), Gesù, e la folla, sono i tre soggetti, attorno ai quali si muove la scena: nella loro relazione reciproca, nel loro ascoltarsi vicendevole, avviene la loro "conversione". Certo è Gesù il perno attorno al quale tutto gira: ma anche in Lui niente è scontato, anche Lui sperimenta la sua "conversione" quando, per la sua vera partecipazione alla carne umana, vive dentro di sé i più profondi sentimenti di Dio. È molto bello questo con-venire degli "apostoli" con Gesù, per raccontare a Lui "tutto ciò che avevano fatto e ciò che avevano insegnato". È Lui che li aveva scelti "perché stessero con Lui e per mandarli a predicare": è un loro bisogno intenso ritrovarsi con Lui e confrontarsi con Lui. Quante cose avevano fatto e insegnato! Il testo insiste sulla completezza del rapporto fatto a Gesù per quanto riguarda la loro attività ma nulla dice sull'effetto da loro ottenuto sulle persone incontrate. È significativa la reazione di Gesù che non esprime nessun tipo di giudizio su tutto quanto loro narrano, ma piuttosto li invita a spostare l'attenzione su "loro stessi": "Venite, voi stessi, in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco". A Gesù interessa condurre i "Dodici" a scoprire in loro la vera dimensione dell'esistenza umana perché si rendano coscienti della profondità a cui è rivolta la missione che Lui affida a loro: è il cammino interiore verso la libertà ("venite in disparte...") per gustare la bellezza della vita (riposatevi). Una osservazione piuttosto ironica sottolinea quale "conversione" debbano ancora compiere i "Dodici", per non essere vittima di una specie di "alienazione apostolica": "Erano molti quelli che andavano e venivano e non avevano neppure il tempo buono per mangiare!". Certo, "gli apostoli" potevano essere gratificati da questo convulso andare e venire attorno a loro, tanto da non avere neanche il tempo per mangiare: ma cosa significa non avere il tempo per sé e neppure per mangiare? Non mangiare conduce alla distruzione della persona, e soprattutto fa mancare quello che per Gesù significa mangiare insieme: la condivisione, la comunione fraterna. "E partirono, sulla barca, verso un luogo solitario, in disparte": comincia il cammino opposto alla direzione di vita che li aveva riempiti ed entusiasmati. Gesù è con loro, nella barca, ma la sua presenza è silenziosa: li accompagna nel cammino che, in realtà, essi, con Lui, devono ancora compiere per comprendere che cosa significhi veramente "venire in disparte, in un luogo deserto e riposare..." Adesso in primo piano sono "i molti", la folla, il mondo, che "videro", "capirono", "accorsero", "precedettero". È meravigliosa questa serie di verbi con cui Marco descrive il mondo nel suo magari confuso bisogno di Dio, nel suo vedere, comprendere e cercare il Cristo, nel suo precedere la barca (la Chiesa) in cui egli è presente con gli "apostoli". Gli "apostoli" non sono più nominati: riappariranno in seguito come "discepoli" (v.35). È solo Lui che "uscendo, vide una grande folla e ‘provò compassione' per loro, perché erano come pecore senza pastore". Il verbo usato da Marco esprime una intensità ben più grande del nostro "provare compassione": è il verbo usato dai profeti per descrivere il perturbamento delle viscere di Dio che fremono per il suo popolo, è il turbamento che la madre prova nel partorire il proprio figlio, è l'amore materno di Dio che sente quanto il mondo abbia bisogno di essere continuamente rigenerato da Lui. Il mondo cerca Dio, non solo le cose di cui ha pure bisogno: Gesù non può stare nella barca con i suoi "apostoli", non può allontanarsi da un mondo che, magari senza saperlo, lo cerca. Anche Gesù è "convertito" dal mondo che cerca: la vocazione pastorale di Gesù nasce proprio in questo momento, quando vede il mondo disperso, affamato di Lui, della sua misericordia, quando sente le viscere muoversi dentro. E gli "apostoli" devono tornare "discepoli", per non essere professionisti di apostolato: liberandosi dal loro affannarsi, dall'autocompiacimento, essi per primi, devono sempre imparare a ritrovare se stessi, a cercare la solitudine, non in una barca che si allontana, ma ascoltando il grido del mondo che essi stessi si portano nel cuore e sentendo, come Gesù che le loro viscere sono il luogo in ui prende carne l'Amore infinito del Padre. |