Omelia (19-07-2015) |
don Maurizio Prandi |
Gesù, uno che guardava tanto Stiamo provando a dirci, (scusate questo riassunto forse noioso domenica dopo domenica), in questo periodo dell'anno, l'importanza di definire il nostro volto, volto di uomini e di donne che cercano di seguire Gesù, di metterlo al centro della propria vita e lo stiamo facendo cercando di scegliere, tra alcuni atteggiamenti che la liturgia della Parola ci propone: scegliere tra la folla e il sé (avere un'identità), scegliere tra la profezia e la scontatezza, scegliere tra il legarsi al potere o il legarsi a Gesù. Oggi colgo questa indicazione che le letture ci danno: chiamati a scegliere tra la compassione oppure il pensare a se stessi, tra la generosità e l'egoismo. La compassione è ciò che muove Gesù e lo fa andare incontro a tutti... compassione che secondo la prima lettura manca a tutti coloro i quali erano stati investiti di una responsabilità come guide del popolo di Israele. Dando voce a Dio che rimprovera i pastori, il profeta Geremia ci mette in guardia dal rischio del pensare la vita come la ricerca di un benessere, di un tornaconto personale. Vi è stato chiesto di pensare ad un popolo, custodire una nazione, prendervi cura... ed invece pensate solo a voi stessi! Ecco... si può vivere così, (ammesso che questo sia vivere), oppure si può allargare lo sguardo. E' un momento da un lato, di grande sventura per il popolo d'Israele: la distruzione del tempio la cui mancanza porta ad una perdita d'identità da parte del popolo... a questa va unita la mancanza di riferimenti, perché chi dovrebbe darti una direzione per ricostruire ciò che è distrutto pensa solo a se stesso e ai propri interessi. Alla sventura va però unita la speranza, perché il testo ci mostra quanto grande sia la misericordia di Dio, che attraverso il profeta incoraggia il suo popolo un po' disperso in Egitto, un po' in Babilonia un po' rimasto nei due regni del Nord e del Sud. La grandezza di questo testo sta nel fatto che alla testimonianza degli uomini, spesso soggetta alla fragilità e al peccato, fa riscontro l'amore di Dio che non si ferma di fronte a tutto questo e che per strade diverse ed impensate raggiunge gli uomini con la sua salvezza → un germoglio giusto regnerà da vero re... Giuda sarà salvato, Israele vivrà tranquillo... Anche nel salmo responsoriale la liturgia ci fa godere della figura del pastore... quattro strofe bellissime, le prime due ci parlano della vita del pastore e del gregge e ci dicono come Dio una volta di più si racconti come colui che si coinvolge nelle vicende degli uomini e vuole essere guida sicura. E' vero pastore che guida, conduce, fa riposare. Bello che il salmista non si accontenti, ma introduca il tema dell'ospitalità: pastore vero, apre la sua casa per accoglierci, ospitarci: la mensa imbandita, l'olio che rigenera, la bontà e la fedeltà di Dio che ci accompagnano... cosa vuol dire quella frase: non temo alcun male perché tu sei con me se non la tua bontà, la tua fedeltà mi sono compagne tutti i giorni della mia vita? La seconda lettura ci dice qualcosa di molto importante... ci dice che Gesù ha fatto la pace, che Gesù ha abolito le differenze. Mi sembra di capire questo: non è lecito dividere l'umanità in vicini e lontani, come non è altrettanto lecito costruire ghetti religiosi o culturali dove pochi poveretti si arrogano il diritto di essere assoluti depositari della verità. Non lo si può fare perché, secondo il linguaggio dell'apostolo Paolo, quella Croce che attraverso il braccio verticale unisce la terra al cielo, con il braccio orizzontale unisce gli uomini tra di loro. E questa pace ha il prezzo molto alto della vita di Gesù, il quale ha lottato abbattendo un muro, creando un uomo nuovo, riconciliando, eliminando l'inimicizia, annunciando... è molto importante questo: la lotta di Gesù è contro l'inimicizia... per questo riesce a fare di due popoli un uomo nuovo. Sarebbe importantissima oggi una riflessione su questo: uccidere l'inimicizia dentro di noi equivarrebbe davvero a poter creare relazioni nuove → non vicini e lontani, non connazionali e stranieri, non cattolici e non cattolici, ma uomini nuovi, capaci di lottare e abolire barriere e divisioni. Il brano di Vangelo ci parla, una volta di più, di un Dio vicino, coinvolto, commosso, che non sopporta di starsene al sicuro, distante dai problemi ma che al contrario scende, va incontro per dare un nome a chi nome non ha, per dare un volto a chi volto non ha, per farsi carico di una folla che poco a poco, nella relazione con Lui, si scopre fatta di tante individualità e può cominciare un percorso di ricerca del proprio volto. Parte tutto da lì, dalla capacità che Gesù ha di vedere e di provare compassione... come diceva (ricordate?) una bambina al campo dei bimbi più piccoli: Gesù era uno che guardava tanto! Nella relazione con Gesù a noi che altrimenti saremmo folla, viene restituita una identità di persone; il primo passo, ci dice il vangelo, è avere il coraggio di precedere Gesù nel deserto per poter finalmente ascoltare limpidamente, uscendo dalla confusione, dall'indifferenza, dalla cattiveria, dal tumulto, dal non-senso, dalle parole vuote. Passaggio importante quello attraverso il deserto, perché diventa spinta a fare della nostra vita un dono, non trattenere pensando a sé ma andando verso chi può suscitare e nutrire la nostra compassione. Forse Gesù aveva letto negli occhi dei discepoli proprio questo rischio: avevano fatto... benissimo! Avevano insegnato... benissimo! Ma forse non avevano guardato abbastanza! Che bello sarebbe se come chiesa riuscissimo ad offrire proprio questa immagine: uomini e donne che sanno guardare, che vedono, che si accorgono... viene prima il come guardiamo del che cosa diciamo (A. Casati). Che bella questa chiesa capace di cogliere, sull'onda della tenerezza di Gesù, le stanchezze, gli smarrimenti, le fatiche. Che bella questa chiesa che riconosci come da come ti guarda, da come si commuove perché vuol dire che non solo per te ha un progetto, non solo per te fa qualcosa, ma prima ancora di te si è innamorata. |