Omelia (19-07-2015) |
dom Luigi Gioia |
Erano come pecore che non hanno pastore Nella prima lettura di questa sedicesima domenica del tempo ordinario, tratta dal libro del profeta Geremia, il Signore dice contro i pastori che devono pascere il suo popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati. Non si può riascoltare questo oracolo del Signore senza chiedersi ogni volta fino a che punto questa tragica realtà, vera nel tempo della storia di Israele, non si riproduca, in un certo senso, più o meno in tutti i tempi. Questo rimprovero appare però accompagnato da una buona notizia che ci permette di affrontare questa realtà della negligenza, o comunque della inadeguatezza costante dei nostri pastori dal punto di vista della fede, della relazione con Dio. Infatti in questo stesso oracolo del libro di Geremia il Signore dice che a partire da questo momento sarà lui stesso ad occuparsi del suo popolo: Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Ci è anche detto in quale modo il Signore intende occuparsi concretamente del suo popolo, egli aggiunge: Verranno giorni nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Sappiamo che questa profezia si è realizzata in Gesù e nel vangelo di oggi vediamo la compassione di Dio all'opera: Sceso dalla barca Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. Gesù è Dio che realizza la sua promessa di occuparsi direttamente, personalmente, del suo gregge. Se Dio ha preso questa decisione di occuparsi lui stesso del suo popolo e l'ha realizzata in Gesù, perché ci sono ancora dei pastori umani, dei preti, dei vescovi che si occupano del popolo di Dio? Una prima risposta è che anche questo corrisponde ad una decisione del Signore anch'essa annunciata nell'oracolo di Geremia. Nel luogo stesso in cui dichiara Io stesso pascolerò il mio popolo, il Signore aggiunge: costituirò su di esse nuovi pastori che le faranno pascolare, così che le pecore non avranno più nulla da temere. Questo si compie in maniera concreta nel Nuovo Testamento quando Gesù chiama i dodici, li instituisce apostoli e li invia ad evangelizzare nel suo nome. Questo vuol dire che se ci sono dei pastori non è perché il Signore sia tornato sulla sua decisione di occuparsi personalmente del suo gregge, ma perché inaugura un nuovo modo di essere pastori che riposa interamente sulla sua stessa azione - non su quello che fanno gli uomini, ma su quello che opera Dio. Cosa distingue dunque questi nuovi pastori da quelli che Geremia rimprovera, quelli che Dio rigetta? Come faranno questi nuovi pastori a non fallire come quelli che li hanno preceduti? La risposta del Vangelo è che il segreto di questa nuovo modo di essere pastori riposa interamente sulla relazione a Gesù. Nel vangelo di oggi i discepoli sono condotti in disparte da Gesù. Più in generale, nel vangelo di Marco vediamo che i discepoli sono sempre con Gesù. Il primo atto di Gesù è di chiamare dei discepoli perché siano con lui, perché vivano con lui. All'inizio del suo ministero, andando lungo il mare di Galilea, Gesù vede Giacomo, Giovanni, Pietro, li chiama e dice: Venite dietro a me. Chiama i discepoli fin dall'inizio del suo ministero. Devono restare con lui non solo per essere istruiti, ma prima di tutto perché l'essenza del ministero affidato a questi nuovi pastori è nella relazione con Gesù. Questo tratto si ritrova in modo significativo ed esplicito dopo la resurrezione di Gesù nel libro degli Atti degli Apostoli, al capitolo 1, quando bisogna sostituire Giuda. In questo momento decisivo, il criterio adottato per scegliere un nuovo apostolo è quello enunciato da Pietro: bisogna che tra coloro che ci furono compagni per tutto il tempo in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi, uno divenga insieme con noi testimone della sua resurrezione. Per essere apostolo, per essere pastore nel nome di Gesù, bisogna essere stato suo compagno, aver vissuto con lui tutto il tempo che lui è stato su questa terra, per tutta la durata del suo ministero. Quindi il fondamento della vita pastorale, dell'esercizio del ministero pastorale è proprio questa relazione con Gesù. I discepoli vanno e vengono con Gesù. Questo tratto lo ritroviamo ancora in modo particolarmente suggestivo e toccante quando Gesù per tre volte chiede all'apostolo Pietro: Mi ami tu? E ogni volta Pietro deve rispondere: Sì Signore, io ti amo, e l'ultima volta: Signore, tu lo sai, tu sai tutto, io ti amo. E' allora che Gesù gli dice: Pasci i miei agnelli. La possibilità per i discepoli di poter pascolare il gregge nel modo che piace a Dio, nel modo che corrisponde al ministero e alla missione affidata da Dio, è proprio questa: amare Gesù. Ritornando al vangelo di oggi, vediamo i discepoli che vanno in disparte per essere consolati, fortificati da Gesù stesso, cioè per ritemprarsi nella relazione con lui. Probabilmente se ancora oggi nell'esercizio del ministero ci sono così tante difficoltà, se si attraversano periodi di così grave negligenza, a volte magari anche senza volerlo, e soprattutto se il ministero diventa sterile, la prima spiegazione risiede sempre nella relazione con Gesù. Che cosa ha fatto il pastore della relazione che deve avere con Gesù. Se questa relazione si riduce, si impoverisce, è naturale che il ministero pastorale ne soffra. Un altro aspetto importante del ministero pastorale nel Nuovo Testamento è anche il fatto che questi pastori devono sapere che il pastore è solo Gesù - gli altri pastori sono solo dei segni che manifestano, che indicano Gesù. Devono sapere che le pecore non appartengono a loro, ma continuano ad appartenere a Gesù. E' molto significativo, per esempio, che Gesù dica a Pietro: Pasci le mie pecore, cioè "quelle che restano le mie pecore anche nel momento nel quale te le affido, che io continuo a pascere mentre le faccio pascolare a te, che tu puoi pascolare solo perché in realtà le sto pascendo io". Quindi vediamo questa "dis-appropriazione", questo distacco fondamentale che deve caratterizzare il ministero pastorale cristiano. Da una parte c'è la relazione profonda con Gesù, la relazione di amore, di preghiera, l'essere in disparte con Gesù, il vivere con lui, e dall'altra parte c'è questa consapevolezza costante di essere solo dei segni che manifestano o che sono al servizio della presenza stessa di Gesù: Io sono con voi - conclude Gesù nel Vangelo di Matteo - tutti i giorni, fino alla fine del mondo. La presenza, l'azione, la fecondità del ministero pastorale della Chiesa, del ministero dei nostri preti, dei nostri vescovi, del Papa e dei religiosi dipende dall'azione dello Spirito Santo, dipende dalla relazione che questi pastori intrattengono con Gesù. Ma esso dipende anche da tutti i fedeli. Un altro aspetto fondamentale del ministero pastorale nei Vangeli è infatti che Cristo lo fa dipendere, lo vuole far dipendere dalla preghiera di tutti. Dice infatti ai suoi discepoli: La messe è grande e pochi sono gli operai. - E si può aggiungere: "pochi e inadeguati sono gli operai". Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe. E possiamo nuovamente aggiungere: "perché mandi degli operai fedeli, degli operai che restino fedeli al loro ministero, degli operai che sappiano rinnovare costantemente la loro fedeltà attraverso una relazione profonda con Gesù". Sappiamo di attraversare oggi un periodo di grande crisi vocazionale, soprattutto nei paesi occidentali, crisi che ha certamente delle ragioni sociologiche, le stesse che spiegano la crisi del matrimonio e della famiglia: ci sono meno figli, le famiglie sono troppo protettive o troppo permissive e in questo modo impediscono ai figli di crescere e di fare una scelta, e poi c'è un benessere generale che anestetizza le coscienze e che certamente non incoraggia, non aiuta a prendere delle decisioni coraggiose. Ma la crisi delle vocazioni, la crisi del ministero pastorale, è sintomo soprattutto di una crisi di tipo spirituale, una crisi di fede. Abbiamo dimenticato che è Dio che chiama, questo stesso Dio che può suscitare dei figli di Abramo dalle pietre - come dice Giovanni il Battista ai farisei -, un Dio al quale tutto è possibile e che può sempre operare dei miracoli. Il contesto di oggi non è più difficile di quello di tanti altri periodi della storia della Chiesa. La chiamata è un miracolo oggi come lo è stato in tutta la storia della chiesa. Ci sono contesti sociologici naturalmente nei quali la chiamata al ministero pastorale è favorita dalla fede vissuta e praticata in famiglia, ma questi fattori, anche se facilitano il fiorire delle vocazioni non sono mai sufficienti a spiegarlo. Lo sbocciare di una vocazione al ministero pastorale, a diventare preti, monaci, religiosi, suore, monache, è sempre un miracolo. E' sempre il risultato di una grazia che il Signore accorda - e questo Gesù stesso ce lo dice - sulla base della nostra preghiera. Vuole che noi preghiamo. Se non ci sono vocazioni oggi, è perché non si prega per le vocazioni, non si chiama più a seguire il Signore attraverso questa via particolare. Il Vangelo ci mette davanti alla compassione di Gesù per il suo gregge e alla inadeguatezza dei pastori, ma nello stesso tempo ci annuncia la volontà di Gesù di continuare a servirsi di pastori per condurre la sua Chiesa. Questo dovrebbe condurci a rinnovare la nostra fede, ad uscire dal torpore nel quale ci lasciamo imprigionare dal punto di vista spirituale e ad avere il coraggio di pregare, di pregare con perseveranza, di pregare per la Chiesa, e di pregare in modo particolare perché il Signore chiami dei pastori. Siamo tutti sempre pronti a lamentarci dei nostri pastori ed è vero che molto spesso i pastori sono inadeguati. Ma dovremmo essere altrettanto pronti, ogniqualvolta vediamo l'inadeguatezza dei nostri pastori, a pregare per loro; altrettanto pronti, ogni volta vediamo la mancanza di pastori, a pregare perché il Signore ne susciti altri. In questo modo ci renderemmo conto che il Signore aspetta proprio questo per intervenire in modo decisivo, come lo ha promesso, nella vita della chiesa, e per fare ciò che vuole fare: istituire, costituire, chiamare, far sorgere ancora pastori secondo il suo cuore, che sappiano pascolare il gregge attingendo a questa relazione profonda con Gesù che fa di essi un'icona della presenza costante di Gesù in mezzo alla sua Chiesa, in mezzo al suo popolo. |