Omelia (26-07-2015) |
Carla Sprinzeles |
Commento su 2Re 4,42-44; Gv 6,1-15 Questa domenica la liturgia ci propone di mettere al centro la persona di Gesù, il suo insegnamento. Lo stile di vita che Gesù è venuto a proporci era sconvolgente ai suoi tempi, ma non è passato nella nostra vita, ancora oggi. Chiede di amare tutti, di perdonare sempre, di giungere persino ad amare i nemici, chiede di portare il male degli altri. C'è oggi, come allora, un clima di rassegnazione, di passività, di non coinvolgimento. La nostra vita religiosa è spesso molto esteriore, costellata di pratiche, Gesù avvertiva che era necessario un passo avanti verso l'interiorità. A parte alcune persone, alcuni gruppi, non si vive la "comunione", il modo nuovo di vivere i rapporti, che invece caratterizzò le comunità dei primi cristiani, la fraternità, l'esperienza di relazione che vivevano in nome di Gesù, riferendosi al suo vangelo. 2 RE 4, 42-44 La prima lettura è tratta dal secondo libro dei Re. La regione di Galgala, non lontana dall'attuale Tel Aviv, è afflitta da una grave carestia. Arriva dal profeta Eliseo un uomo a portargli in dono venti pani d'orzo e un po' di frumento nuovo, forse le primizie, con le quali onorare l'uomo di Dio. Costui, ben conscio della penosa situazione, non pensa di godere egoisticamente di quell'abbondanza, e dà ordine di condividere con gli altri: "Dallo da mangiare alla gente". In forza della ragione, e anche della matematica, il servitore avanza dei dubbi: "Come posso mettere questo davanti a cento persone?" Un pane d'orzo era la razione per una persona. Venti pani non potevano bastare per cento persone! Il comando risuona la seconda volta senza esitazione, accompagnato dalla motivazione che spinge ad alzare lo sguardo dalla logica umana a quella divina: "Poiché così dice il Signore: "Ne mangeranno e ne faranno avanzare!". La frequentazione del profeta con i progetti di Dio e con la sua onnipotenza dà la granitica sicurezza che i problemi umani sono sempre risolvibili. "Nulla è impossibile a Dio" risuona pIù volte nella Bibbia. E l'uomo di Dio vive di questa affermazione e la traduce in vita per sé e per gli altri. Di fatto le cento persone "mangiarono e ne fecero avanzare". L'elemento importante e decisivo arriva alla fine: "secondo la parola del Signore". Ma era necessario che qualcuno ci credesse, che lo dicesse e convincesse anche gli altri. Questo è il compito di Eliseo e questo è il nostro compito oggi, dove viviamo! GIOVANNI 6, 1-15 Il brano del vangelo che si legge oggi è secondo Giovanni al capitolo 6 e inizia dicendo: "Ora Gesù va all'altro lato del mare di Galilea", abbandona il territorio dell'istituzione giudaica che ha già deciso di ucciderlo e inizia il suo "esodo". Il primo "esodo" terminava nella terra promessa, che da terra di libertà si è convertita in terra di schiavitù e di morte. L'evangelista segnala che "era vicina la Pasqua", festa per la quale tutti gli ebrei erano obbligati a salire in pellegrinaggio a Gerusalemme. Ma "molta folla" non sale al tempio per "sacrificare l'agnello pasquale" e segue Gesù, nel quale riconosce "il vero agnello di Dio". Il popolo identifica in Gesù il Pastore atteso, quello che si sarebbe preso cura della pecora malata, perché vede "i segni che faceva sugli infermi" e lascia da parte la festa dei Giudei, che esigevano che non andassero a mani vuote. Con Gesù questo cambia. E' Dio che si mette a servizio degli uomini! Per questo, di fronte alle necessità della folla che lo segue, chiede a Filippo, uno dei discepoli, "dove compreremo pani perché questi mangino?". Il Signore previene le necessità della folla che lo segue e va loro incontro. La risposta di Filippo è scoraggiante: "Duecento denari di pane non basterebbero perché ciascuno ne toccasse un pezzetto. Nemmeno con il salario di più di sei mesi di lavoro si potrebbe dare un pezzo di pane a ciascuno. Nel gruppo dei discepoli c'è però Andrea che accoglie la sfida di Gesù: intravede una soluzione diversa dal comprare, mostra la disponibilità alla condivisione, anche se ne constata l'impotenza. C'è qui un ragazzino che ha 5 pani d'orzo e 2 pesci, ma cos'è questo per tanti!" Nella storia di Israele si ricordava il prodigio compiuto dal profeta Eliseo, che abbiamo appena letto. Qui gli uomini sono 5000 e i pani solo 5. La prima cosa Gesù fa adagiare la moltitudine. Mangiare sdraiati era proprio dei signori, che si potevano permettere di essere serviti. I discepoli, uomini liberi, sono chiamati a farsi volontariamente servi, perché coloro che si ritenevano servi, si sentano signori. Dall'essere chiamata "folla" passano a essere chiamati "uomini adulti". Gesù vuole che ogni persona che si avvicina a lui abbia coscienza della loro piena libertà e dignità. Poi viene descritta l'azione di Gesù, che riporta i gesti e le parole pronunciate dal Signore nell'ultima cena: "prese i pani, rese grazie, e li distribuì". In particolare in questo capitolo, l'evangelista mostra il senso dell'eucarestia del Signore; l'amore tra i membri della comunità diventa segno visibile dell'amore di Dio e si manifesta in un dono di vita agli uomini. Prima di distribuire i pani, Gesù ringrazia. Ringraziare è un'azione con la quale si riconosce che quel che si possiede è dono ricevuto, espressione dell'amore del Padre. La creazione è per tutti abbondante. Il bisogno e la miseria nascono dall'egoismo di quanti accaparrano per sé, quello che è destinato ad essere di tutti. Quando questi beni vengono liberati dall'accumulo egoistico e messi a disposizione di tutti, scompare la situazione di bisogno e si crea l'abbondanza. Poi Gesù stesso si mette a servire e distribuisce il pane e i pesci, prolungando l'azione del creatore che assegna i doni all'umanità intera, non si limita a dare qualcosa, ma dà se stesso. Il pane che spartisce, frutto del suo amore e del suo servizio, diventa segno visibile dell'amore di Dio, non è un'elemosina, ma una condivisione. L'elemosina crea un benefattore e un beneficato, la condivisione crea dei fratelli. Quando si condivide generosamente quel che sembrava poco, supera il bisogno, e addirittura avanza... Il numero 5000 è lo stesso della futura comunità di Gerusalemme, dell'apocalisse. E' dalla condivisione generosa che nasce la comunità del Signore. Non è facile rendere libero chi è schiavo, perché la schiavitù è soprattutto una convinzione che sia bene essere schiavi. Quanti hanno mangiato il pane e i pesci, frutto della condivisione di Gesù e del gruppo dei discepoli, desiderano impadronirsi di Gesù per farlo loro re. Non è stata compresa l'azione di Gesù, il Signore, che si era fatto servo per rendere liberi i servi. Gesù voleva rendere il popolo libero, ma questo preferisce rinunciare alla propria libertà. Gesù l'aveva invitato alla maturità, esso preferisce sottomettersi a un re. E Gesù si ritira "sul monte, da solo". La folla è pronta ad ascoltare Gesù a patto che la sua salvezza coincida con i propri desideri. E' la perenne tentazione dell'uomo, sicuramente anche di ognuno di noi, di piegare il divino ai propri progetti. Amici, il Bene diffonde se stesso, basta lasciarlo essere, crederci senza impossessarcene. Il bene centuplicherà il dono della nostra disponibilità. Pensiamo a Madre Teresa, piccola suora insegnante, ha saputo rispondere all'immensa folla dei poveri in India, Gandhi ha liberato il suo paese dal colonialismo, don Ciotti ha iniziato facendosi amico dei ragazzi di strada a Porta Palazzo. Sono le persone semplici che sanno ascoltare la loro voce interiore a fare grandi cose. Possiamo provarci anche noi, non siamo diversi da loro strutturalmente, il segreto è dilatare lo spazio interiore, credere e donare quanto abbiamo ricevuto. |