Omelia (26-07-2015) |
Paolo Curtaz |
Il miracolo della condivisione Confesso un certo disappunto liturgico, se devo essere sincero. Speravo, dopo l'ultimo, impegnativo, vangelo di domenica scorsa, di commentare oggi il proseguimento di quel racconto. Si sarebbe comunque parlato di moltiplicazione dei pani e dei pesci ma Marco, questo il disappunto, avrebbe aggiunto qualche dettaglio inquietante che, di solito non si commenta. Ricordate l'entusiasmo con cui i discepoli sono tornati dalla loro prima missione, fatta nonostante il rifiuto ricevuto alla sinagoga di Nazareth? E di come Gesù li avesse portati con sé per fare una specie di "vacanza"? Bene: davanti alla folla che li ha raggiunti Gesù prova compassione. I discepoli, quelli pronti all'annuncio, il futuro luminoso del Regno, quelli che dovrebbero avere imparato dal Maestro, davanti alla folla affamata hanno anch'essi una soluzione. Quale? Che si arrangino! Sì, avete capito bene, così dice Marco. Gesù, davanti a questa reazione, resta interdetto. Prima si occupa della folla, poi costringe i suoi a imbarcarsi mentre lui se ne sta tutta la notte a pregare e a rimuginare. Mi capiterà di parlarne, spero. Per ora concentriamoci su Giovanni che, per dirla tutta, è anch'egli un bel peperino. Disastri Il miracolo della moltiplicazione, che preferisco chiamare miracolo della condivisione perché il vero miracolo è stato far parte di quel poco che si aveva, è, in assoluto, il miracolo più popolare dell'intero Vangelo, viene raccontato per sei volte in tutti e quattro i vangeli. Ma anche il peggior miracolo di Gesù, almeno nell'interpretazione di Giovanni che, essendo il vangelo scritto per ultimo, ha avuto tempo di riflettere e di restituirci alcuni dettagli importanti. Eppure, come vedremo alla fine del lungo discorso del pane di vita, questo miracolo rappresenta l'inesorabile declino della missione di Gesù. Da qui in avanti la missione di Gesù si blocca, trova mille ostacoli, la folla, fino ad allora plaudente, si rivela ambigua e scostante. Il grande guru perde consensi, quella che doveva essere l'apoteosi si rivela una fragile ed effimera notorietà. Dettagli Confrontando il testo di Giovanni con quello dei suoi compagni notiamo alcuni significativi dettagli. Uno, in particolare, mi sta davvero a cuore: è un ragazzo che offre la sua merenda a Gesù per provocare il miracolo. Un adolescente generoso sente la richiesta di Gesù rivolta ai discepoli e tira per la tunica il più vicino, Andrea, mostrandogli le cose che la madre previdente gli ha infilato nella sacca. Pochi pani d'orzo, il pane dei più poveri. Una merenda da condividere con una folla immensa e affamata. Davanti ad una folla affamata questo ragazzo offre la più inadeguata ed ingenua delle soluzioni. Gesù sorride: quando capiremo noi adulti che Dio ha bisogno della beata incoscienza degli adolescenti? Davide non fu scelto re quando ancora faceva il pastorello? E Maria la madre non fu chiamata nell'età del fidanzamento, quando aveva tredici o quattordici anni? Il problema di noi adulti è quello di smarrire il sogno, di essere talmente realisti da diventare aridi. Dio, eterno adolescente, ama il gesto ingenuo e straordinario del ragazzo. E sfama la folla. Forza! Davanti alla crisi greca, davanti alla follia dell'Isis, davanti ad una Chiesa spesso inadeguata, il rischio di diventare anche noi, come tutti, insopportabili profeti di sventura è tutt'altro che lontano. Smettiamola di recitare le litanie delle nostre fragilità e delle nostre incapacità di fronte alle tragedie del mondo, piantiamola di inanellare pessimistiche analisi sul destino del mondo e della Chiesa, finiamola di gufare all'inizio dell'anno pastorale quando vediamo il nostro quartiere crescere e la nostra parrocchia arrendersi alla stanchezza e alle forze insufficienti! Un po' di leggerezza, prego. Dio ha bisogno della nostra merenda per sfamare il mondo. Non è sufficiente, ovvio. Ciò che manca a noi lo mette il cuore di Dio. Gesù trasforma la merenda di questo ragazzo, il più saggio di tutti, in abbondanza. Dio è fatto così: non interviene al posto nostro, chiede la nostra collaborazione, non si sostituisce a noi, esige che ci mettiamo in gioco, che diamo del nostro. Davanti alla tristezza e alla devastazione del nostro mondo, Dio si manifesta il più equilibrato e il più logico di tutti, chiedendoci di intervenire. Dio opera, ma a partire da ciò che siamo disposti a mettere nel piatto. Idiozie La folla guarda attonita le ceste di pane che passano, mangia, rimangia, mangia ancora, infila il pane nelle bisaccie, le riempie, avanza ancora, un boccone, due, lo stomaco scoppia, ne avanza ancora... Qualche istante di silenzio, poi il brusio diventa grido, la gente si alza, ora ha capito. Il nazoreo dona pane per tutti. No, non ha capito, ha capito il contrario. Gesù, con quel gesto, dice: "Davanti alla difficoltà, anche se non hai le forze, mettiti in gioco, dona quel poco che hai e diventerà un miracolo di condivisione" La folla ha capito: "Gesù ci dona da mangiare gratis, abbiamo finito di tribolare". L'esatto contrario. Gesù scappa, turbato. È dunque così difficile spiegarsi agli uomini? Clicca qui per guardare il video del commento di Paolo Curtaz per la stessa domenica • Dal 5 all'8 novembre a Vilnius con me per riflettere sulla misericordia. Sconti per chi si iscrive entro il 31 luglio. http://www.paolocurtaz.it/i-viaggi-dellassociazione-zaccheo/pellegrinaggio-in-lituania-vilnius-novembre-2015/ |