Omelia (26-07-2015) |
dom Luigi Gioia |
Distribuì a quelli che erano seduti quanto ne volevano Il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci è denso di reminiscenze dell'Antico Testamento e di riferimenti simbolici. Uno dei più significativi è posto proprio all'inizio di questa pagina evangelica, quando offrendo un dettaglio apparentemente solo temporale, l'evangelista osserva che era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. In realtà questa nota fornisce il contesto a tutto il passaggio e ci spiega il senso profondo di quello che sta succedendo. Pasqua vuol dire passaggio. Vuol dire passare da uno stato ad un altro, da una situazione ad un'altra. Ogni volta che si menziona la Pasqua si rievoca il passaggio miracoloso del Mar Rosso, il passaggio dalla schiavitù dell'Egitto alla libertà di un popolo che segue il proprio Dio e al quale Dio manifesta la sua volontà, la sua parola, una legge, e che costituisce come popolo. E' passaggio dalla fame alla sazietà, perché il popolo sarà nutrito direttamente da Dio. La prima moltiplicazione dei pani è proprio il dono della manna ottenuto attraverso l'intercessione di Mosè. Il miracolo della moltiplicazione dei pani è quindi una maniera di presentare Gesù come il nuovo, come il vero Mosè. La Pasqua poi è il passaggio dalla miseria, dall'infelicità, alla beatitudine eterna. Per questo, questo passaggio del popolo di Israele dalla schiavitù dell'Egitto al deserto e poi alla Terra Promessa è diventato il simbolo di tutti gli altri passaggi che il Signore fa vivere a noi, suo popolo, alla Chiesa e a ciascuno di noi. Può essere il passaggio dalla morte alla vita, dalla non-fede alla fede, il passaggio della conversione e, soprattutto, l'ultimo passaggio da questa vita alla vita eterna che egli ha preparato per noi. Ma il passaggio che il Signore vuole farci vivere non è soltanto né prima di tutto esteriore quanto soprattutto interiore. Ci è detto che era vicina la Pasqua perché era il momento nel quale Gesù avrebbe rivelato la durezza di cuore dei suoi discepoli, di noi tutti, avrebbe rivelato l'idolatria che tiene prigioniero il cuore di ciascuno di noi e avrebbe condotto il popolo, coloro che lo seguivano, i suoi discepoli, e quindi ciascuno di noi, alla vera fede. Il popolo, una volta uscito dall'Egitto, una volta attraversato il Mar Rosso, una volta liberato dalla schiavitù, dall'oppressione e dal pericolo, anche imminente, dell'esercito egiziano, non entrò direttamente nella Terra Promessa, ma passò quaranta lunghissimi anni a vagare nel deserto. Questo soggiorno nel deserto è il periodo della prova, non intesa però come punizione né come una maniera di far meritare al popolo quello che sarebbe venuto dopo. Il soggiorno nel deserto è prova nel senso che è rivelazione, appunto, di tutta la contaminazione con l'idolatria che il popolo aveva contratto in Egitto. E' questa lenta educazione del popolo ad aver fiducia solo in Dio. Ad un certo punto il popolo non ha più acqua, dubita di Dio, e il Signore da loro da bere. Il popolo non ha più da mangiare e nonostante abbia visto come Dio ha aperto il Mar Rosso, lo ha liberato dall'esercito egiziano, gli ha dato l'acqua, di nuovo dubita quando ha bisogno di pane. Ed una terza volta, quando il popolo è saturo di questa manna e vuole carne, vuole un cibo diverso, ancora dubita, e ancora una volta il Signore mostra la sua fedeltà al suo popolo. La prova consiste dunque nella rivelazione dell'idolatria e soprattutto della mancanza di fede costante del nostro cuore. Per quante prove, per quante dimostrazioni il Signore ci dia della sua fedeltà, del suo amore, della sua presenza nelle nostre vite, continuiamo a dubitare di lui, della sua esistenza, e soprattutto del fatto che si occupa di noi. Tutti questi elementi siamo invitati a cercare nel passaggio di oggi, ed effettivamente c'è questa piccola nota, molto importante: è Gesù che pone la domanda: Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?. Gesù sapeva quello che stava per compiere e lo dice il vangelo: egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Eppure si rivolge ai suoi discepoli come se non sapesse cosa fare, per vedere la loro reazione, per metterli alla prova. Quanto spesso nelle situazioni della nostra vita, quando sembra che ci troviamo in un vicolo cieco, quando sembra che non ci siano più vie d'uscita, quando siamo tentati di disperare, di perdere ogni speranza, il signore di nuovo ci invita con questa domanda: "Chi ti libererà? Chi verrà in tuo aiuto? Chi ti permetterà di affrontare questa situazione?". A volte sono situazioni anche materialmente molto preoccupanti - in fondo qui si tratta di pane-, una difficoltà gravissima dal punto di vista economico, una situazione familiare inestricabile, un conflitto insanabile. In questi contesti siamo messi "alla prova", siamo invitati a verificare cosa davvero abbiamo nel cuore, a credere in Dio e a sperare in lui contro ogni speranza. Filippo nel Vangelo di oggi risponde pragmaticamente, da un punto di vista non ancora trasfigurato dalla fede: Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo. La situazione sembra bloccata, sembra che non ci sia nessuna soluzione. La mancanza di fede ostacola l'agire di Dio, non perché Dio non possa agire, ma perché Dio vuole agire in risposta alla nostra fede. Cosa sblocca allora la situazione? Cosa succede a questo punto nel Vangelo? Qualcosa di commovente: Uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro, disse: «C'è qui un ragazzo...». La situazione è bloccata dall'incredulità di coloro i quali erano stati scelti da Gesù per essere dei modelli, per trasmettere la fede, per insegnare al resto dell'umanità a credere e che si rivelano incapaci di assolvere al compito che era stato loro affidato. La soluzione arriva grazie ad uno sconosciuto che non è neanche nominato. Qui i discepoli sono nominati: Filippo, Andrea, Simon Pietro. Invece di questo ragazzo non ci è detto neanche il nome. Però è qui: C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci. In una situazione di questo genere il ragazzo è fortunato: ha una sicurezza materiale, non ha bisogno di un miracolo di Gesù - ha di che mangiare. Ma si fa avanti. Ancora una volta la reazione dei discepoli di fronte a questo gesto è pragmatica, cinica, rassegnata dell'incredulità: ma che cos'è questo per tanta gente?. Vedono solo la materialità di ciò che il ragazzo mette a disposizione - ed è vero che cinque pani d'orzo e due pesci non possono nulla, non vedono oltre... Ma in realtà ciò che questo ragazzo mette a disposizione del Signore è ciò che il Signore stava aspettando, è ciò che gli permette -perché il Signore questo vuole- di compiere le meraviglie, i prodigi di cui lui solo è capace. Ciò che ha questo ragazzo, ciò che questo ragazzo mette a disposizione di tutta l'umanità, di tutte queste persone, è la fede: crede in Gesù. E' la speranza: spera in Gesù contro ogni speranza. Questo è dunque il messaggio fondamentale del Vangelo di oggi. Siamo sempre pronti a svolgere attività per la Chiesa, per Dio. Anche nell'ambito del nostro servizio ecclesiale siamo sempre tentati di credere che la cosa più importante consista nella realizzazione di opere. Ed effettivamente questa generosità è importante. Ma essa ci fa contare solo sulle nostre forze e nei momenti di crisi, quando misuriamo la pochezza delle nostre forze e la nostra incapacità, quando siamo confrontati all'immane dimensione del compito da assolvere che è al di sopra e al di là di tutte le possibilità umane - ebbene in questi momenti di crisi questa generosità troppo umana, troppo fondata sulle nostre forze ci può far disperare, ci può far credere che nulla sia possibile, ci può imprigionare nel cinismo e nella rassegnazione. Se reagiamo in questo modo è perché non abbiamo ancora capito la maniera nella quale Dio agisce. Ciò di cui il Signore ha bisogno, ciò che il Signore vuole, sono questi 5 pani, questi 2 pesci. Il poco che noi facciamo è importante, è preziosissimo agli occhi del Signore. Quindi non si tratta di squalificare il nostro fare - ma abbiamo bisogno di capire che ciò che dà al nostro agire il suo vero valore e la sua vera fecondità è la nostra fede: C'è qui un ragazzo... Chiediamoci davanti al Signore cosa ne è della nostra fede. Siamo tutti testimoni dell'incapacità della Chiesa di far fronte al compito immane che le è stato affidato, quello dell'evangelizzazione dell'umanità, nella quale ci sono certamente delle riuscite, ma molto più grandi sono i fallimenti. Di fronte a questa incapacità chiediamoci che cosa ne è non solo del nostro fare, ma soprattutto fondamentalmente del nostro credere. Abbiamo fede nel Signore? Siamo pronti ad avanzare, a presentarci a lui e a dirgli come Tommaso: Mio Signore e mio Dio? Siamo pronti a mettere tutto noi stessi a disposizione del Signore? A credere in lui? A sperare in lui? A sperare contro ogni speranza? Ricordiamoci le parole di Paolo: La speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato versato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato dato. In ogni momento, in risposta alla speranza che egli stesso suscita nei nostri cuori, il Signore può riversare questo Spirito che trasforma i cuori, che trasforma la terra intera, che fa avvenire, fa apparire la nuova creazione, che sfama anche le folle. |