Omelia (16-08-2015)
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie)
Commento su Pr 9,1-6; Sal 33; Ef 5,15-20; Gv 6,51-58

C'è tutto un percorso sapienziale nella prima lettura di questa domenica, ed è la sapienza (uno dei tanti nomi di Dio?) la protagonista: "A chi è privo di senno ella dice: «Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato. Abbandonate l'inesperienza e vivrete, andate diritti per la via dell'intelligenza»". La sapienza è davvero l'aspirazione più alta dell'umanità: un'aspirazione presente in tutte le grandi tradizioni spirituali che hanno attraversato e che attraversano le latitudini e le longitudini della nostra esperienza storica. Questa sapienza deve seguire le vie dell'intelligenza (che, non dimentichiamolo, non ha solo la propria sede nel cervello, ma nel cuore) senza lasciarsi fuorviare da quella tendenza alla crisi di senno che sembra avere il suo culmine nella vita dei nostri giorni in cui la frenesia ha la meglio sull'uso assennato del tempo, sulla capacità di visioni prospettiche, soppiantate dal desiderio di avere tutto e subito. Già domenica scorsa il Signore ci invitava a "venire" e a riposarci, perché gli idoli dai vari nomi che affollano la nostra vita sono una fonte continua di stress. E oggi Paolo, scrivendo ai cristiani di Efeso, ribadisce questo concetto applicandolo alla comunità cristiana: "Fate dunque molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi, facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. Non siate perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere qual è la volontà del Signore (...) siate invece ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo". Nell'invito di Salomone, figlio di David e re d'Israele a "venire" e mangiare il pane e il vino aromatizzato, e in quello di Paolo che chiede alla sua comunità di cogliere con fantasia e con spirito profetico la volontà del Signore c'è la prefigurazione di ciò che Gesù affermava di se stesso: "Io sono il pane della vita". Un pane "per la vita del mondo". Potremmo dire, senza tema di enfasi, che l'Eucaristia - Gesù, nel brano di Giovanni 6,26, la promette ai suoi amici - è la vita del mondo. Ma in quale senso?


Ancora una volta - e il richiamo non è di dettaglio - troviamo nel Vangelo una straordinaria analogia tra il matrimonio e l'Eucaristia. Come già per il matrimonio, Gesù non istituisce un rito, ma un sacramento. Noi oggi viviamo spesso l'Eucaristia come un rito, rigido, talora escludente, che vorremmo riservato ai "degni", a coloro che si sentono buoni e quindi già giustificati. Ma l'Eucaristia o è per tutti o è un segno banalizzato e svuotato del suo significato più autentico. Considerare l'Eucaristia un segno significa collocarlo immediatamente in un contesto storico ed antropologico che, per sua stessa natura, è sempre in movimento e che ha a che fare con il nostro comportamento quotidiano; significa inserirlo nelle correnti tormentate del nostro tempo per farlo diventare, insieme con tutti i tempi della storia, un autentico "rendimento di grazie" (a questo ci richiama Paolo e questo significa appunto "Eucaristia") al Signore che questa storia ha salvato, salva e salverà fino alla conclusione dei tempi.

C'era nelle famiglie patriarcali - e permane tuttora in alcune comunità religiose - un gesto sacro, quasi eucaristico. Quando ci si sedeva a tavola (il più delle volte una tavola molto povera) l'anziano della famiglia spezzava il pane per tutti i commensali. L'elemento base del pasto - il più povero ed il più comune - veniva così messo a disposizione di tutti, in uno spirito di servizio, per un'alimentazione sobria ma al contempo gioiosa. Non c'erano sprechi, anche le briciole venivano raccolte; il dialogo e una comunicazione semplice si instauravano tra gli abitanti della casa.

Gesù, il "primo" della comunità, spezza il pane ed esprime in tal modo la sua dedizione totale agli altri, invitando ognuno di noi a fare altrettanto. Gesù è il "pane del mondo", è cioè il progetto che serve a sanare il mondo, a farlo "riposare", a "dimorare" in Lui, liberando gli esseri umani dagli idoli vacui. Accogliere lo Spirito di Gesù, mangiare il suo pane è il simbolo che ci lega, un simbolo autenticamente eucaristico. Ci lega perché diventiamo alimento reciproco. L'analogia con il matrimonio è, anche qui, di straordinaria evidenza. È molto bello pensare che gli sposi diventano "alimento" reciproco, che significa servizio e sostegno reciproco, condivisione di ogni emozione, di ogni sentimento, riconoscimento della fragilità di soggetti e di coppia, e al contempo disponibilità di lasciarci esistere reciprocamente come soggetti, di essere quello che ognuno di noi è. Nel segno debole e fragile del pane - e del pane spezzato - vediamo, poi, che Dio stesso si fa fragile, assume la fragilità umana, si accompagna all'uomo e alla donna, alla coppia, nella loro fragilità.


Ma l'Eucaristia ci impegna anche a uscire da noi, coinvolgendoci nelle storie spesso dolorose degli altri, lavorando insieme con loro, offrendo loro umilmente il nostro servizio nella percezione della comune fragilità. Eliminando i conflitti, senza rimuovere le differenze che ci caratterizzano e che per la coppia e per la comunità diventano una risorsa. Facendo dunque della nostra vita un "alimento" per gli altri, "consegnandoci" agli altri. In questo modo facciamo Eucaristia nel (e del) quotidiano, diventando "vita del mondo", cioè "vita eterna". "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna", dice Gesù. Il verbo avere è al presente: "ha", e non al futuro "avrà". Perché Gesù non si limita a promettere: realizza. In un tempo in cui tutti promettono e non realizzano, quella di Gesù è davvero un'autentica rivoluzione. Tutti, ma proprio tutti, sono chiamati a mangiare il pane e a bere il vino della vita, perché per tutti e non solo per i "buoni" e i "puri", è la vita. È soprattutto per i "poveri", per gli affaticati e i delusi della vita. Per quelli che forse non hanno mai vissuto in dignità."Il povero grida e il Signore lo ascolta - recita il salmo 33 - e lo libera da tutte le sue angosce... I poveri ascoltino e si rallegrino". La gioia che può penetrare in ognuno di noi, mangiando il pane insieme con i fratelli e bevendo, insieme con loro, il vino dell'allegria.


Se fossimo davvero capaci di comprendere questo movimento dell'essere durante la messa domenicale alla quale spesso partecipiamo un po' distrattamente, per abitudine, ancora immersi nelle attività che abbiamo appena lasciato - un po' come spesso facciamo (ecco un'altra analogia!) nella nostra vita matrimoniale, avremmo coscienza di compiere non un rito vuoto, ma il gesto più serio della nostra esistenza, l'esistere-per-gli altri, e usciremmo dalla chiesa (o dalla casa) in cui abbiamo celebrato l'Eucaristia con la consapevolezza di non aver tradito la speranza e l'invocazione di liberazione che sale dal mondo, da tutte le coppie e le famiglie, dalla nostra famiglia e dalla nostra stessa coppia.


Traccia per la revisione di vita
- Come consideriamo l'Eucaristia alla quale partecipiamo: un rito, un gesto di devozione privata, o il segno di una realtà che ci umanizza?

- Che cosa facciamo per inserirla nelle correnti del quotidiano vissuto, nelle "strade" della nostra esistenza. nell'esperienza vitale del nostro rapporto di coppia?

- Per noi l'Eucaristia è un dono o un compito?

- Come "spezziamo il pane" insieme con tutti coloro con i quali condividiamo la fatica dell'esistere? Che cosa intendiamo concretamente quando diciamo "tutti"?

- Siamo disponibili a richiamare la nostra comunità cristiana all'esigenza di celebrare Eucaristie che siano sempre più segno della nostra comunione di vita con gli altri?


Luigi Ghia - Direttore di "Famiglia Domani" Rivista del CPM -Italia, edita da "Gazzetta d'Asti".