Omelia (09-08-2015) |
mons. Roberto Brunelli |
Il dono del Padre contro lo sconforto Nel brano evangelico di oggi (Giovanni 6,41-51) continua l'insegnamento di Gesù, rivolto a quanti l'hanno seguito a Cafarnao, dopo avere beneficiato della moltiplicazione dei pani e dei pesci. All'auto-rivelazione di lui ("Io sono il pane disceso dal cielo"), sentita domenica scorsa e ripresa oggi, i suoi ascoltatori restano sconcertati e si chiedono: "Costui non è forse il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre; come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?" Ma Gesù ribadisce: "Chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita, il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno". E' già chiaro - lo sarà più avanti ancora meglio - il riferimento all'Eucaristia. E per spiegarne la portata egli riprende il confronto con quello che gli ebrei chiamavano il pane dal cielo, la manna che nel deserto aveva nutrito gli antenati, liberati dalla schiavitù dell'Egitto: "I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; io sono il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia". Gesù stesso stabilisce così una sorta di parallelo tra il "pane del cielo" dell'antico testamento e quello del nuovo: un parallelo in cui l'antico preannuncia il nuovo, e anzi trova nel nuovo il suo senso pieno, il suo compimento, la sua perfezione. Un preannuncio dell'Eucaristia nell'antico testamento è anche nell'episodio che costituisce la prima lettura di oggi (1Re 19,4-8). Riguarda il profeta Elia, vissuto nell'antico regno dissidente d'Israele, colto in un momento di sconforto: dopo tante lotte, tanti rischi, tante imprese memorabili per ricondurre a Dio un popolo ribelle, egli deve costatare il proprio fallimento: tutti preferiscono seguire le false, ma facili e comode divinità pagane. Allora il profeta se ne va; si inoltra nel deserto, si corica sotto una ginestra e chiede a Dio di farlo morire; ma Dio interviene, mandandogli pane e acqua con l'ordine di proseguire il cammino, che lo porterà all'incontro diretto con lui. Lo sconforto di Elia riflette quello che prima o poi tanti provano: delusione, sfiducia, amarezza, coscienza dei propri limiti, voglia di gettare la spugna in quel match senza fine che a volte sembrano, uno dopo l'altro, i giorni dell'uomo. Ma quando avviene così, è perché ci si dimentica degli aiuti di Dio: la sua Parola, le sue promesse, la certezza che egli è sempre con i suoi e offre a loro sostegno il vero "pane dal cielo". Elia, come gli ebrei con la manna, come la folla per la quale Gesù ha moltiplicato i pani e i pesci, ha ricevuto un cibo materiale, concesso "una tantum" in circostanze particolari. Ma quanto più grande è il nutrimento spirituale! Eppure esso non è appannaggio di qualche privilegiato: è disponibile per chiunque lo voglia ricevere, e non una volta sola, ma sempre, per quanto possa durare il viaggio sino alla meta. L'Eucaristia è anche il sostegno indispensabile a realizzare quel ritratto del cristiano ideale che l'apostolo Paolo traccia a beneficio dei cristiani di Efeso e di tutti gli altri, di allora come di oggi (seconda lettura, Efesini 4,30-5,2). Dice così: Fratelli, "non vogliate rattristare lo Spirito Santo... Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi (per i meriti di) Cristo. Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi". Quello dell'apostolo è un ritratto duplice: prima delinea come il cristiano non deve essere, per non rattristare il Signore (che bella motivazione!); poi il positivo, per suggerire come vivere nell'amore, imitando l'amore di Cristo per noi. Non c'è da dire nulla di più. |