Omelia (09-08-2015) |
don Luciano Cantini |
Il pane e la carne Il pane vivo Gesù, il figlio di Giuseppe fa una proposta disarmante, talmente assurda da provocare scandalo e fuga:... Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. Tentare di capire il senso di questa frase ci chiede non poca fatica, dovremmo disincrostare il pensiero dalle lente sedimentazioni che nella storia, la Chiesa, le teologie, le prassi liturgiche, hanno permesso di accumulare per provare ad essere quegli orecchi che per la prima volta l'hanno udita. Quando si panificava una volta a settimana, l'idea che l'immagine del pane vivo ci offre è quella del pane fragrante di forno, capace di coinvolgere tutti i sensi col profumo, il calore, la croccantezza, il colore dorato... tutt'altro rispetto all'immagine che la bibbia ci tramanda del pane disceso dal cielo, la manna, specialmente quando gli ebrei si sono lamentati perché nauseati di questo cibo così leggero (Nm 21,5). Il pane è il cibo più comune nel mondo, possono variare gli ingredienti, i metodi di lavorazione, i modi di cottura, la forma, il gusto, ma il pane è essenzialmente nutrimento: Gesù si pone davanti agli uomini come nutrimento, buono, fragrante, così profumato da stuzzicare l'appetito. Mangiare Gesù è la dimensione necessaria del credere, mangiare Gesù come nuova manna, come pane in grado di dare vita e vita eterna. Se uno mangia Mangiare è questione di vita, la mancanza di nutrimento porta inesorabilmente alla morte. Mangiare è un processo che coinvolge tutti i sensi: tocchiamo il cibo, ne percepiamo la consistenza, il calore, ne distinguiamo i colori e le forme, ne apprezziamo l'odore, nella bocca ne sentiamo il gusto, lo mastichiamo per renderlo digeribile e per far scaturire tutti i sapori che la saliva esalta, lo lasciamo scivolare giù lungo l'esofago per raggiungere lo stomaco fino alla sensazione di pienezza e di soddisfazione. Allora il cibo diventa parte vitale di noi stessi donandoci quanto ci è utile alla vita. Non ogni cibo è salutare e non tutti i cibi fanno bene, anche nel mangiare è necessario discernimento. Se il Signore si presenta come nutrimento, il rapporto con Gesù non può essere diverso: ci deve prendere, coinvolgere tutti i sensi, muovere la fame di lui, necessita dei suoi riti e dei suoi tempi fino alla sensazione di pienezza: Gustate e vedete quanto è buono il Signore (Sal 34,9). Certo possiamo gustare il Signore come un panino da fast-food o come un pasto da gourmet, semplice come un pranzo di casa o un complesso di ricchi ingredienti, assunto nella freddezza di un self-service o condividendo la mensa in famiglia e con gli amici. In un mondo veloce come il nostro in cui, a volte, ci accontentiamo di un tramezzino industriale servito da una macchina automatica, forse c'è da ripensare alla nostra relazione col Signore perché non soddisfi i bisogni di un momento ma davvero nutra di vita tutta la nostra esistenza. E' la mia carne Assistiamo ad un doppio passaggio: il pane della vita, diventato il pane vivo, nel dono (che io darò) si fa carne per la vita del mondo. Se nei sinottici e Paolo, ricordandone l'istituzione, l'Eucarestia è Corpo di Cristo qui l'espressione usata da Gesù ha una forza e un significato totalmente nuovo: la carne non è il corpo. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14). Fin dall'inizio del suo vangelo Giovanni ci racconta l'inabissamento del Verbo di Dio nella condizione povera, malata, ferita e mortale dell'umanità. Il Figlio di Dio non si è fatto genericamente uomo, il mistero della incarnazione raggiunge l'uomo nella sua infimità - spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo (Fil 2,7) - fino a diventarne scarto, e proprio per questo è fonte della vita del mondo. Accogliere questa Parola impone che noi riconosciamo e proclamiamo che Dio manifesta la sua potenza nella suprema debolezza della carne: è lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla (Gv 6,63). Per noi è essenziale passare dal mangiare del pane, anche se quello venuto dal cielo, a un livello più radicale che è quello di mangiare la sua carne data per la salvezza del mondo, far entrare nella nostra vita e nella nostra esperienza il mistero dell'incarnazione fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2,8 ), entrare nella dimensione dello scarto. È proprio l'assurdità della sua proposta che la rende universale, non una idea, una filosofia, una via mistica, neppure una religione, non un gesto o un rito sacramentale, ma lasciare coinvolgere la nostra vita dalla sua, la nostra debolezza dalla sua. |