Omelia (09-08-2015) |
don Maurizio Prandi |
Il discepolo: colui che apre i cieli Continuiamo questo bellissimo percorso domenicale in ascolto della Parola di Dio... il verbo camminare, emerso con tanta chiarezza le scorse domeniche, continua a nutrirci e a stupirci: - Il cammino di Elia, tra trionfo e paura, fino al monte di Dio. questo cammino ci dice che il discepolo non è un eroe, non è uno che cade sempre in piedi, non è uno sicuro di sé, non è uno che cerca o si nutre di successi, non è un forte (così come noi intendiamo la forza). - Il cammino nella carità, così come ce lo propone l'apostolo Paolo dicendoci anche che così come ha fatto Gesù, possiamo vivere anche noi - Il cammino di Dio che, se ancora avessimo dei dubbi, se per caso fossimo smemorati, non è un salire per conquistare, ma è un discendere (io sono il pane disceso dal cielo... quante volte lo abbiamo ascoltato in queste domeniche!) Possiamo con frutto sostare un po' sulla vicenda di Elia, che, come accennavo, si svolge tra trionfi e paure, tra esaltazione e depressione... dalla Transgiordania, dove nacque, si sposta nel Regno del Nord dove annuncia con passione il Dio Unico opponendosi con vigore al culto di Baal e a chi lo favoriva, entrando così in grande conflitto con il re Acab e la regina Gezabele. Abbiamo ascoltato il brano che ci propone lo snodo decisivo tra le due fasi della vita del profeta: una prima fase trionfale, perché presenta alcuni miracoli prodigiosi e la vittoria contro i 450 sacerdoti di Baal uccisi da lui (!) sul monte Carmelo. Questo è l'inizio però della seconda fase, con la regina che perseguita Elia: lo vuole morto ad costo! E' il momento della crisi più profonda del profeta: deluso, amareggiato, impaurito, stanco di profetizzare e, come abbiamo ascoltato, persino di vivere. Il profeta di Dio ha paura, non è garantito... si chiude in sé, rimugina, scappa! Accompagnato da un servo decide di rimanere solo e comincia un viaggio, una sorta di Esodo al contrario andando verso l'Oreb, il monte dell'Alleanza, come un ritorno nel grembo della fede (servizio della Parola). Nel momento più difficile dice a Dio: Basta! Prendi la mia vita. In ebraico viene usata una parola, nepesh, che si, vuol dire vita, ma anche affettività, desiderio. Un uomo "svuotato"... non vuol più spendersi, oramai privo di affetti e desideri. In questo momento di "discesa" della vita di Elia si situa l'intervento di Dio che per mezzo di un angelo "tocca" Elia: mi piace condividere con voi questa nota sul verbo usato per dire che l'angelo tocca nagà, il verbo ebraico significa allo stesso tempo avvicinarsi, accarezzare ma anche colpire... lo sottolineo perché mi piace che l'intervento di Dio possa avvenire a questi livelli: non si spaventa della nostra lontananza e ci accompagna, consolandoci ma anche scuotendoci. Per due volte l'angelo è costretto a "toccare" Elia, che abbandonato il desiderio di vivere è sopraffatto dal sonno... quello che traggo per me è che Dio insiste con noi, ci nutre, ci sprona, ci scuote, ci colpisce... tutto per farci capire che, come scrive don Angelo Casati, il cielo non è chiuso sopra di noi. Forse è proprio così... Elia considerava chiuso il cielo sopra di lui, ma Dio attraverso il suo angelo squarcia i cieli. Penso a me... penso a tanti e mi dico che sono bravo a chiudere il cielo; è facile farlo, perché tutto dipende da quello che mi aspetto dal cielo: se dal cielo, da Dio, mi aspetto che risolva i miei problemi, ecco che il cielo rimane chiuso; se al cielo chiedo di togliermi la fatica del vivere, la fatica delle relazioni, la fatica del camminare, il cielo rimane chiuso; se dal cielo mi aspetto che vengano tolte le paure... il cielo resterà chiuso. Ad aprire il cielo un "messaggero" (è la traduzione di malak che si può anche tradurre angelo)... un amico che propone un "rimedio" poi non così strabiliante. Si perché Elia viene messo in piedi ed in grado di camminare non da chissà quale banchetto o cibo dall'alto contenuto energetico, ma da una focaccia e un po' d'acqua, che davvero sono poca cosa, ma ci ricordano che la potenza di Dio sta nella debolezza dei mezzi, nelle cose semplici, essenziali, quotidiane: un po' di pane, un po' di acqua, un amico. La seconda lettura vi dicevo ci propone di camminare nella carità, camminare nell'amore e viene detta subito una cosa importante: non possiamo mettere ostacoli allo spirito di Dio... ci viene detto che possiamo essere questo messaggero, questo angelo che rimette in piedi le vite piegate e piagate; ci viene chiesto qualcosa di molto netto far scomparire, eliminare durezze, rancore, ci viene chiesto di non essere persone velenose (è una possibile traduzione di "sdegno")... ci viene chiesto, all'interno di un conflitto, di ascoltare l'altro e non di corpirlo o assordarlo con la nostra superiorità vocale. E' interessante secondo me che il termine che abbiamo tradotto con "maldicenza", in realtà sia "bestemmia". C'è una bestemmia contro Dio, ma san Paolo ci dice che c'è una bestemmia anche contro il fratello. Che bella poi la continuazione di questa seconda lettura: Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo. Fatevi dunque imitatori di Dio... perché possiamo essere imitatori di Dio? non è forse cosa troppo grande? Possiamo imitare perché siamo amati, perché sperimentiamo l'amore: lo facciamo amando a nostra volta Il discepolo è anche colui che si pone accanto, benevolo perché ha ricevuto benevolenza, misericordioso perché ha ricevuto misericordia, desideroso di essere per altri, come dicevo prima, quel messaggero che un giorno ha reso la sua vita una vita capace di camminare ancora. Che bella questa lettura... benevolo, misericordioso, capace di perdonare. Possiamo essere questo angelo, questo messaggero, questo amico inviato agli altri, a patto di essere, come Dio, una presenza che non giudica, non fa prediche, presenza attenta, che si fa vicina e che aiuta gli altri a ritrovare la forza e la voglia di vivere. E' importante ribadire ancora che tutto nasce dalla Pasqua di Gesù, che come Paolo ricorda, ha dato se stesso per noi. Fatevi dunque imitatori di Dio... cosa ci dice il vangelo a questo proposito? Riprendo quanto scrivevo un po' di tempo fa influenzato da un commento mi pare di ricordare di Ermes Ronchi: Ecco chi è il discepolo, colui che desidera imitare il proprio maestro, un maestro che fugge lo spettacolo, la maestosità, la grandezza. Dico questo perché se dal cielo ti aspetti segni tanto meravigliosi da togliere ogni dubbio rispetto alla provenienza divina, anche lì il cielo rimane chiuso e Gesù rimane un Nazaretano al massimo... se dal cielo ti aspetti che venga eliminato il nemico romano così come Elia aveva ucciso i sacerdoti di Baal, il cielo rimane chiuso e Gesù a farla grossa rimane il figlio di Giuseppe... se dal cielo ti aspetti l'onnipotenza, il cielo lo chiudi irrimediabilmente e Gesù resta uno del quale conosci il padre e la madre. Come dicevamo domenica scorsa, Gesù è necessario impararlo, altrimenti diventa conoscenza libresca e per sentito dire. Fatevi imitatori, diventate pane, diventate dono, diventate servizio, diventate cura, diventate gratuità, diventate disinteresse. Fatevi imitatori: discendete, inginocchiatevi, mettetevi nei panni, chinatevi, guardate dal basso. Può sembrare la cosa più difficile e distante di questo mondo imitare Dio, impossibile, forse perché non si può non pensare alle meraviglie, all'onnipotenza, ed ecco che Gesù viene in nostro aiuto e ci dice: io sono il pane... e torniamo ad essere catapultati nel quotidiano, nel feriale: nessuna grandezza nel pane, nessuna meraviglia nel pane, nessuna onnipotenza nel pane. Farsi pane allora, cioè farsi nutrimento, presenza, sostegno... messaggero, angelo, amico. |