Omelia (09-08-2015) |
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COMMENTO ALLE LETTURE Commento a cura di don Paolo Ricciardi Capita, soprattutto in questo periodo estivo, che il pane diventi ancor più alimento per le soste del cammino. Un viaggio lungo in automobile, un'escursione in montagna, una gita al mare... sono spesso momenti estivi accompagnati da un pranzo al sacco, con panini preparati a casa o da preparare sul momento... Proprio il pane, già da sempre simbolo di tutto ciò che alimenta le nostre esistenze, in queste domeniche di agosto si ritrova nella liturgia come Segno semplice e grande della presenza del Signore nella vita del credente. Gli appassionati dell'opera di Tolkien sanno che nel lungo viaggio della Compagnia sarà a volte indispensabile nutrirsi di un pane elfico («Basta, basta!», esclamarono gli Elfi all'hobbit ridendo; «quel che hai mangiato è sufficiente per un lungo giorno di marcia... noi le chiamiamo lembas, o pan di via, e sono più nutrienti di qualsiasi cibo fatto dagli Uomini, e senza dubbio di gran lunga più gradevoli delle gallette».) Sembra proprio che l'autore del Signore degli Anelli, fervente cattolico, conoscesse bene, a questo proposito, il bellissimo brano della prima lettura: Elia attraversa il deserto, perseguitato dalla regina Gezabele, che aveva deciso la sua morte dopo lo sterminio dei profeti di Baal. Sarebbe morto, anzi desiderava morire, sopraffatto dalla fatica fisica e spirituale, se non avesse avuto in dono un pane offerto, per le mani di un angelo, direttamente da Dio. Dentro il grande segno offerto al profeta, si rivela anche un tenero gesto di attenzione: Dio stesso prepara un pasto per Elia che inizialmente sembra non capire: mangia e basta, rimettendosi a dormire. Ha bisogno di un nuovo risveglio, di una maggiore consapevolezza: quel pane non è "pane di sosta" ma "pan di via", serve per un lungo cammino! Per questo andiamo a ricevere la Comunione - e ripartiamo da lì - camminando... Noi spesso siamo come Elia... Ci nutriamo del Pane, senza curarci più di tanto del fatto che Dio stesso si "è scomodato" dal cielo per noi e, invece di metterci in cammino, torniamo a dormire. Oggi questa liturgia vuole essere uno "scossone" che ci risveglia. Le parole che risulteranno "dure" agli ascoltatori di Gesù nella sinagoga di Cafarnao, ci ricordano che Gesù Cristo è Pane per la nostra fame e che ogni Eucaristia, come quella che celebriamo oggi non è un semplice atto di culto, ma un Dono immenso della vita di Dio, dato a noi attraverso il pane, perché anche noi nella vostra vita diventiamo pane per la fame dei fratelli. E invece, considerando anche l'assenza di molti dalla Messa nel periodo estivo, c'è chi continua a credere che l'Eucaristia sia solo "qualcos'altro da fare" per essere bravi cristiani ma, se ci prendiamo un po' di vacanza anche da questo "dovere", non è poi la fine del mondo... Non c'è da meravigliarsi dunque se la gente che ascoltava Gesù, mormorasse. Del resto si dice che il cibo e la mormorazione vadano di pari passo. Quante volte a tavola, con la scusa o a causa del cibo, ci si accusa e si mormora... A casa, a mensa, al ristorante... in chiesa. E il pane che dovrebbe essere motivo di comunione, diviene motivo di guerra. Già era successo nel deserto dell'esodo contro Dio e contro Mosè: il mormorare è l'espressione tipica dell'incredulità, o di chi vuole fermarsi alla materia, al pane materiale, senza provare a "varcare la soglia" per passare dall'uomo a Dio, dal pane al Pane con la "P" maiuscola. Non è più l'ora di "aspettare la manna dal cielo", anche perché, pure quando arriva, siamo capaci ugualmente di criticare e di decidere noi quale sia il cibo migliore. Preferiamo "cambiare canale" e andare da un "Master chef" alla "Prova del cuoco", pur sapendo che non possiamo mai gustare qualcosa attraverso lo schermo... Da che mondo è mondo, potremmo dire, nessun cibo, anche il più buono, ha dato la vita eterna. Niente ci sazia dando alla nostra vita il sapore della eternità. Ora ci vuole la fede. Per questo Gesù spiega che cosa significhi credere. E se il mormorare è il verbo attorno a cui ruota la crisi dei Giudei e il loro ostinato rifiuto, il credere è il verbo dell'accoglienza del Pane di vita: un pane dato da un Padre che attira e dal Figlio che risuscita. Questo Pane che dà la vita eterna è incomprensibile per chi si ferma a ciò che è terreno. Allora oggi, con semplicità, con fiducia, con umiltà, proviamo a fissare gli occhi al Cielo - pur rimanendo con i piedi per terra - e forse riscopriremo che se siamo qui è perché il Signore ci attira. Noi possiamo andare da Lui solo se ci liberiamo di tutti i pesi che ci impediscono di essere "più leggeri" - superbia, egoismo, mormorazione, etc... - e solo possiamo essere attirati senza fatica e capire che l'uomo è fatto per camminare verso una meta precisa, che è Dio. E per questo cammino abbiamo bisogno del Pane che è Dio. Nell'Eucaristia la distanza tra Dio e l'uomo si accorcia, entrando in comunione con Gesù e, nello stesso tempo, entrando in comunione con la Chiesa, la famiglia di Dio, per cui tutti ci diventano cari, fratelli, intimi, anche se non ci conosciamo. È l'invito che ci fa Paolo nella lettera agli Efesini, nell'essere "benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, pronti al perdono", per non rattristare lo Spirito e camminare nella Carità. Un unico pane sazia la fame di Dio e ci fa fratelli e si pone come segno di una Fedeltà che chiama a gran voce la nostra fedeltà: solo amati in questo modo, possiamo a nostra volta amare. Fidiamoci di Dio, ancora una volta e, forti di questo Cibo, alziamoci, mangiamo perché è ancora lungo il cammino. Lungo..., ma bellissimo, quando si cammina con Dio. |