Omelia (16-08-2015) |
mons. Roberto Brunelli |
Non una serie di regole ma una persona Le raccomandazioni di Paolo che sono state lette domenica scorsa (Efesini 5), con le quali l'apostolo traccia un ritratto del cristiano ideale, hanno un seguito oggi, con l'invito a fare buon uso del tempo. E in effetti chi lo spreca nell'ozio, o nel vizio, o nelle banalità, non può certo dirsi un buon cristiano, perché spreca occasioni di bene. Quanto al vangelo, si conclude col brano odierno (Giovanni 6,51-58) il discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao, centrato sull'Eucaristia che egli avrebbe istituito qualche tempo dopo, nel corso dell'Ultima cena. Qui egli torna sulla comunione in termini di un realismo al limite della crudezza, e con un'insistenza impressionante: "Il pane che io darò è la mia carne... Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue... La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda... Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue... Colui che mangia me...". Si capisce come simili parole possano aver disorientato, lo sentiremo domenica prossima, i suoi stessi discepoli, i quali non sapevano ancora in che modo egli avrebbe dato se stesso in cibo. E tuttavia quelle parole sono fondamentali; non a caso l'evangelista che le riporta ha cominciato il suo resoconto della vita di Gesù con un'affermazione (Giovanni 1,14) che ne costituisce quasi il titolo: "Il Verbo si fece carne". Sempre nel prologo, l'evangelista annuncia anche perché il Verbo, cioè il Figlio di Dio, si è fatto carne, cioè uomo: "In lui era la vita. A quanti l'hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio". Con questa espressione l'evangelista sintetizza un altro aspetto del discorso di Cafarnao, quello costituito dalle conseguenze del "mangiare la carne di Gesù". Lo si capisce completando le frasi riportate sopra: "Il pane che io darò è la mia carne 'per la vita del mondo'. Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita; 'chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna'. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue 'rimane in me e io in lui'. Colui che mangia me 'vivrà per me'." Queste frasi inducono anche a riflettere su un tema più generale, ma fondamentale: che cos'è la fede? Che cos'è la religione, e in particolare la religione cristiana? In che cosa quest'ultima si differenzia dalle altre? Nell'opinione di qualcuno una religione vale l'altra: si tratta in ogni caso del rapporto tra l'uomo e quelle che egli considera entità trascendenti, comunque le voglia chiamare. Ma un minimo di approfondimento basta a manifestare come una simile opinione sia infondata; tutti gli studiosi riconoscono quanto meno la basilare differenza tra le religioni positive (il monoteismo di ebrei, cristiani e islamici), che professano di basarsi su una rivelazione divina, e le religioni naturali, in genere politeiste, originate dalla semplice riflessione umana. Senza poi volersi dilungare su un argomento così complesso, la fede cristiana si distingue per l'Incarnazione: Dio non si è limitato a rivelarsi agli uomini, si è fatto uomo lui stesso nella persona di Gesù, il Verbo fattosi carne. Conseguenza, il cristiano non è un uomo che riconosce come divini una serie di enunciati e cerca di tradurli nella propria vita; essere cristiani non significa abbracciare una filosofia, né condividere con altri una serie di pratiche di culto. Il cristiano ha di suo, speciale, qualcosa che non si riscontra in nessun'altra religione: la sua fede gli fa incontrare una persona, lo fa aderire a quella Persona unica che è uomo e nel contempo Dio, una Persona con cui intessere un rapporto d'amore, di fiducia, che porta ad accogliere tutto di lui, le sue parole, il suo stile di vita, le sue promesse. E quel rapporto si alimenta, trovando insieme la sua manifestazione visibile, nella partecipazione all'Eucaristia, in cui chi ama si nutre dell'Amato, si fa tutt'uno con lui. |