Omelia (16-08-2015) |
don Luciano Cantini |
Dono agli altri Non bevete il suo sangue Il pane della vita (Gv 6,48) divenuto pane vivo è carne del Cristo per la vita del mondo. Se Gesù voleva scandalizzare la folla dicendo di dare la sua carne da mangiare, raggiunge il colmo affermando il mio sangue è vera bevanda. Siamo davanti ad una proibizione assoluta: Non mangerete sangue di alcuna specie di essere vivente, perché il sangue è la vita d'ogni carne (Lv 17,14). Ma Giovanni insiste e ripete più volte (sette, numero della totalità), ha bisogno che quanto affermato rimanga bene fisso nella mente della comunità cristiana. Si dice che Giovanni trasferisce qui quello che non ha raccontato dell'ultima cena e va molto più in profondo di quanto non facciano Paolo e i Sinottici. Questo fa pensare, non tanto che il mancato racconto fosse ormai pleonastico perché vissuto dalla comunità, quanto la necessità di correzione, se non addirittura il superamento di un rito così come oggi è ancora celebrato: il racconto della Lavanda dei piedi (Gv 13,1-15) è assolutamente significativo, quando Gesù depone la sua vita ai piedi dei suoi discepoli e chiede di fare altrettanto, mentre un boccone perde il suo significato di comunione per diventare segno di tradimento. Ha la vita eterna Il senso dell'Eucaristia non è tanto compiere un rito quanto avere in voi la vita. Gesù ci chiede la comunione profonda con lui come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre. Dio entra nel profondo dell'esperienza umana, la sua carne e il suo sangue ne sono il segno concreto, è la sua realtà umana offerta al mondo. La carne e il sangue che Gesù offre è il sacrificio della croce per la vita del mondo, mangiare la sua carne e bere il suo sangue ha il significato di entrare in questa ottica di dono in cui ogni cristiano è chiamato a rimanere: rimanere nel mistero d'amore totale. Questo dono ricevuto deve diventare il nutrimento della nostra vita, dei pensieri e dei nostri sentimenti perché anche la nostra vita si trasformi in dono. Giovanni va molto oltre l'idea di imitazione di Cristo, il dono dell'incarnazione, la sua carne e il suo sangue devono compenetrarci (mangiare e bere): dobbiamo interiorizzare la sua vita perché diventi la nostra vita. Rimane in me e io in lui Dio è mistero di relazione tra il Padre e il Figlio nel vincolo d'Amore che li unisce, così è anche per l'uomo, che si lascia assimilare in Cristo. Nel tempo presente che ha generato individualismo, egoismo e egocentrismo, l'idea di una comunione totale scandalizza e non è compresa. (Un esempio potrebbe essere l'atteggiamento della Chiesa e di una certa politica davanti al fenomeno dei profughi da accogliere). Mangiare e bere di Cristo è colmare il bisogno di farsi dono agli altri, tutti gli uomini che si nutrono di Gesù fanno propria la responsabilità di Cristo e come lui sentono la necessità di creare un mondo che permetta una vita pienamente umana: l'amore di tutti e di ciascuno per tutti, questa è la vita per sempre, eterna. Siamo relazione, comunione, vita nell'Altro e per l'Altro: come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. La comunione a cui siamo chiamati mangiando e bevendo non è per appagare la nostra fame e la nostra sete, come gli israeliti nel deserto, ma per la fame e la sete degli altri. Vivere per Cristo in dono totale di sé è consegnarsi a chi si consegna a noi, cercare Lui in ogni volto, in ogni evento perché l'unica vita eterna è proprio quella perduta per amore. Cristo, nella concretezza della sua persona, viene a vivere veramente in colui che si nutre di lui. Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me. Ciò che ora vivo nella carne, lo vivo nella fede nel figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me (Gal 2,20). |