Omelia (16-08-2015)
don Maurizio Prandi
La vita viene dall'umanità di Gesù

La liturgia della Parola ascoltata ci aiuta a fare altri passi importanti nel nostro cammino di discepoli. Un tratto importante e decisivo ci viene offerto dalla prima lettura: il discepolo ha una vocazione ben precisa, quella di fare esperienza. Torna, se volete, quello che due domeniche fa ci dicevamo sull'importanza di imparare Gesù ricordate? Il tema quella volta è stato introdotto dalla lettera agli Efesini, che continua a farci compagnia, e dal vangelo di Giovanni che ci aveva presentato una folla che ancora non aveva imparato Gesù, non aveva ancora fatto esperienza di Lui. Anche oggi non capiscono... anche oggi quello che Gesù dice loro è qualcosa di immensamente difficile per la mentalità del tempo e anche oggi... si fatica. Mangiare la carne e bere il sangue... comprensibilmente si fatica a capire.

Faccio una piccola parentesi approfittando di un pensiero che facevo venerdì nel triduo di preparazione alla festa dell'Assunta, quando abbiamo sostato sul vangelo in cui Gesù, a proposito di parole dure, difficili, dice: Non tutti capiscono questa parola e poi rafforza dicendo: chi può capire, capisca. Forse merita sostare un attimino perché il vangelo di domenica prossima porgerà una domanda che gli stessi discepoli faranno a Gesù: questo discorso è duro, chi può capirlo? Credo che possa aiutare perché ancora una volta qui non è l'invito a capire con la testa, ma con la vita, facendo esperienza. Il verbo che l'evangelista Matteo metteva in bocca a Gesù significa: aver territorio... è una cosa che mi piace →per capire è necessario avere un territorio, avere lo spazio sufficiente, la Parola di Dio è grande e non tutti possono riceverla. Non tutti capiscono, perché non fanno spazio Parola. Chi può fare spazio, lo faccia raccomanda Gesù, perché soltanto così la Parola può farci fare esperienza di Gesù.

Bella la prima lettura, tratta dal libro dei Proverbi... ci dice che per poter imparare, per poter fare esperienza, è necessario sedersi al banchetto che la Sapienza offre per festeggiare la costruzione della sua casa; ci sono due condizioni però per entrare e sedersi al banchetto essere piccoli, inesperti e privi di senno... per poter imparare quindi, non si può confidare in se stessi, e magari essere convinti che si possa essere capaci di fare il cammino da soli. La Sapienza offre pane e vino... ecco un'altra condizione necessaria: l'aver fame e l'aver sete, non essere sazi. Che bello! Soltanto ieri, nella festa di Maria Assunta al cielo, le parole della Vergine esaltavano proprio le condizioni della piccolezza come quelle "guardate" da Dio.
L'altra immagine importante (oltre a quella del banchetto) è quella della casa: la Sapienza si è costruita una casa su sette colonne... ascoltavo con piacere le interpretazioni che vengono date di questa casa, davvero significative, possono farci bene: la casa è la creazione, è il mondo intero, ed essendo la Sapienza la manifestazione di Dio, quella casa, quel mondo dove gli uomini vivono è la casa di Dio. Abitare il mondo vuol dire riconoscere la mano di Dio, il progetto, il disegno che sta dietro alla creazione. E poi (altra interpretazione) questa casa è costruita su sette colonne, esattamente tante quante sono le collezioni in cui è diviso il libro dei Proverbi. Don Claudio Doglio dice che è come se fosse una pubblicità per il libro stesso, un invito ad entraci dentro perché è come una casa dove si può mangiare e bere, godere di un banchetto gratuitamente preparato. Il piccolo, l'inesperto, il privo di senno è invitato ad entrare nel libro, nella Parola di Dio per potersi nutrire e fare esperienza. Se prima dicevo che è necessario fare spazio alla Parola, qui succede il contrario: è la Parola ad avere spazio per noi!

E' importante, considerando tutte le anticipazioni della celebrazione dell'Eucaristia che sono presenti in questo brano; tenere presente questo: il dono di Dio che ogni giorno riceviamo nella duplice mensa della Parola e dell'Eucarestia, ed il nostro atteggiamento con cui dobbiamo disporci a questo dono che deve essere di docilità (Famiglie della Visitazione).

La Sapienza, che come dicevo prima è la manifestazione vitale di Dio, non consiste prima di tutto in un insegnamento, in una parola che si indirizza all'intelligenza. La Sapienza è un incontro: Dio si manifesta a noi perché ci incontra, perché cammina con noi, perché non è mai al di fuori della nostra vita. Dio stesso quindi, si consegna a noi attraverso l'immagine della casa e del banchetto, non attraverso chissà quali straordinarie e fantasmagoriche visioni.
Il brano di Vangelo è davvero qualcosa di molto difficile e la folla non accetta che lui possa essere quel pane disceso dal cielo che dà la vita eterna. La folla non lo accetta perché Gesù, che si presenta come uomo: l'umanità diventa un ostacolo a credere, ad andare in profondità, ad accettare la sua origine divina... sempre perché se Dio è Dio, deve fare cose straordinarie! Il linguaggio dell'evangelista Giovanni è certamente molto difficile e complesso, ma se proviamo a leggerlo dal punto di vista di Dio (!!!) forse diventa più semplice. La carne e il sangue significano l'uomo nella sua... umanità concreta. Gesù oggi ci rivela molto semplicemente questo: la vita viene a noi dalla sua umanità, dalla sua vita offerta per il mondo. E sulla crudezza del linguaggio usato, mangiare la carne e bere il sangue, ricordo soltanto quanto dicevamo un po' di tempo sul fare la comunione: fare la comunione vuol dire mangiare un'azione di Gesù e farla propria, viverla... mangiare una scelta di Gesù e farla propria, viverla... mangiare una sua Parola e farla propria, viverla.
Gesù ci invita a questa comunione... mangiare e bere vuol dire credere in lui... chi accetta questo, va incontro, dice il vangelo, a tre conseguenze importanti:
- avere la vita eterna, cioè sperimentare una pienezza di vita, sperimentare la piena realizzazione della nostra vita
- dimorare, abitare, rimanere insieme a Gesù
- vivere non per se stessi ma per gli altri: Io vivo per il Padre dice Gesù... e questa frase vuol dire che vive grazie al Padre ma anche per Lui, in obbedienza a Lui per portare a compimento il suo disegno, il suo progetto.

Sono andato a rivedere quanto scrivevo alcuni anni fa su questo brano di vangelo e devo ammettere che sono ancora fermo lì, al palo e allora me lo ripropongo e ve lo propongo perché nella confusione della mia interpretazione sottolinea ancora di più l'importanza del mangiare le azioni, le scelte, le descisioni di Gesù. Il quale ripete per otto volte che è necessario mangiare la sua carne e bere il suo sangue. Anche qui allora un banchetto al quale siamo invitati ed una esperienza necessaria per poter dire di essere in comunione con Lui: mangiare. I vangeli di queste domeniche, lo avete certamente notato, ci parlano dell' Eucaristia. Il vangelo di Giovanni non ha l'istituzione dell'Eucaristia nel contesto dell'ultima cena, lo sapete bene; al posto dell'istituzione dell'Eucaristia Giovanni ha la lavanda dei piedi, mentre fa il discorso sull'Eucaristia, sul pane di vita qui, al cap. 6, immediatamente dopo la condivisione dei pani. Giovanni, essendo l'ultimo degli evangelisti in ordine cronologico, aveva già intuito che nelle liturgie vi poteva essere una sorta di ritualismo o la tentazione di considerare le liturgie come un'azione magica. Giovanni ha un obiettivo ben preciso allora: vuole opporsi alla "spiritualizzazione" dell'Eucaristia, cioè vuole dirci che non può esserci distacco tra ciò che celebriamo ogni domenica e vita di tutti i giorni. E' necessario scegliere quindi, e capire che il rito deve informare la vita. Ad esempio nel senso del dimorare, del rimanere. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui... bello questo invito a fare casa con Gesù, bello e impegnativo. Il verbo dimorare è uno dei verbi più importanti del vangelo di Giovanni. Per capirlo bene è necessario sapere (e anche questo è un sapere che nasce dall'esperienza), cosa vuol dire vivere con qualcuno che ci ama e che noi amiamo. E' la condivisione di tutta la vita. Gesù dimora in noi, e facendoci dimorare in Lui ci rende anzitutto partecipi del suo amore così grande che lo ha portato a fare dono della sua vita fino al sacrificio della croce... condivisione di tutta la vita ripeto. Ma mangiare traduce il greco trogein che non vuol dire semplicemente mangiare (scusate le ripetizioni)... vuol dire masticare e mangiare con particolare cura, attenzione, cura per assaporare ogni frammento, cura per non perdere nulla di quello di cui ci nutriamo, cura per leggere dentro quello che mangiamo. Nel commentare questo brano, don Daniele Simonazzi sottolinea come "mangiare e bere" sono azioni che esprimono e realizzano l'accoglienza, realizzano l'assimilazione. "Mangio e bevo", vuole dire: accolgo dentro di me un nutrimento e una bevanda, e li assimilo, e diventano roba mia. Ebbene, la carne e il sangue di Gesù contengono la vita, perché sono "sangue e carne per", perché sono state trasformate da un amore che si dona a qualcuno. Quella "carne e sangue" che sono carne e sangue umano, quindi con tutta la debolezza della condizione umana, in Gesù sono trasformate in amore, e per questo contengono la vita. Se "io mangio e bevo" vuole dire: accolgo dentro di me quella vita trasformata in amore, che è la vita del Signore; accolgo la forma del Signore dentro di me; assimilo la vita del Signore trasformata in amore; accolgo, mi lascio formare dentro secondo la forma della vita di Gesù. Per cui se la vita di Gesù è una "vita per2, e io l'accolgo e l'assimilo. Il senso è che la mia vita diventi una "vita per". Ed è l'unico senso che si può dare alla parola assimilare, non posso assimilare una vita come quella di Cristo senza che la mia vita prenda quella forma, senza che la mia vita assuma la logica della vita del Signore.

Che possa essere così per ognuno di noi... desiderare di essere vita donata, spesa, non trattenuta, che possiamo vincere la paura di attraversare quel tratto di strada che separa le panche sulle quali ci sediamo dalla comunione con Gesù eucaristia per poter fare esperienza, leggere dentro, vivere.