Omelia (30-08-2015) |
fr. Massimo Rossi |
Commento su Marco 7,1-8.14-15.21-23 "Ascoltare la Parola di Dio" - "Mettere in pratica la Parola di Dio"... Si tratta di due atteggiamenti diversi, non opposti, ma certamente non sovrapponibili, che individuano due forme precise di religiosità. Potremmo chiamarle: la prima, religiosità della domenica, il vestito bello della festa, da conservare con cura nell'armadio...; la seconda, religione della vita quotidiana, o, come lo definisce il Signore, culto in spirito e verità (cfr. Gv 4). Una religione che si esprime, ma anche si esaurisce nell'ascolto (passivo) della Parola di Dio proclamata a Messa, corrisponde a quel tipo di religiosità che i profeti e Gesù criticano; religione di facciata, un atteggiamento esteriore che non ha la forza (e la volontà) di radicarsi nella vita reale. Assistiamo così a quel curioso fenomeno di persone superassidue alle celebrazioni religiose, ma sostanzialmente perdenti sul fronte dell'esistenza: vanno a Messa anche tutti i giorni, ma, parlando con loro, si scopre che sono tristi, frustrate, scontente,...anche poco simpatiche; persone che, quando le vedi da lontano, ti vien voglia di girare l'angolo per non doverle incontrare... Certa religiosità di facciata è una forma di ipocrisia: Gesù chiama ipocriti i farisei e i capi del popolo; ‘ipocrità è termine tecnico che deriva dal greco, e indica l'istrione, l'attore di teatro, che recita una parte, un copione imparato a memoria - aspetto fondamentale della religiosità di facciata -; al termine della performance, quando i riflettori si spengono e la platea si svuota, l'attore scende dal palco, depone il costume di scena - altro aspetto importante della religiosità di facciata - e si riappropria della sua vera identità; finalmente torna ad essere se stesso, finalmente fa sul serio e smette di recitare. Penso a quegli uomini e donne di spettacolo che hanno fatto fortuna dando vita ad un personaggio diventato poi famosissimo... saranno anche ricchi e famosi, ma la loro vita rimane per sempre imprigionata nei panni di quel personaggio; e quando li si incontra, li chiamiamo con il nome del personaggio, e non con il loro nome.... Una vera e propria condanna! Quando e dove facciamo veramente sul serio? qual è il nostro vero io? Quello che manifestiamo la domenica a Messa, oppure quello che viviamo altrove? Non di rado i messaggi che inviamo alla gente - e anche a noi stessi - non sono univoci; talvolta sono addirittura contraddittori. Nella maggior parte dei casi, la verità di noi non è quella che ostentiamo in chiesa... questa è una finzione; forse non ne siamo del tutto consapevoli; ma è così. C'è molto moralismo, c'è molto di emozionale: le emozioni funzionano dentro di noi, ci illudono di essere nel giusto, che Dio è contento di noi, che incarniamo l'identità del buon cristiano, etc. etc.; il moralismo funziona invece fuori di noi; chiamatelo sindrome da maestrina, ipercriticismo... Il moralismo può sfociare nel fondamentalismo, una deriva molto pericolosa, come ben sappiamo. Gesù denuncia la fede apparente dei maestri della Legge: una fede confessata con le labbra, ma lontana dal cuore. L'aspetto peggiore che il Figlio di Dio sottolinea è la confusione tra comandamenti di Dio e precetti degli uomini: proviamo a fare un serio esame di coscienza sui contenuti della nostra fede: siamo proprio sicuri che tutto ciò in cui crediamo per fede sia contenuto nel Vangelo? siamo sicuri che lo abbia proprio affermato Gesù Cristo? Talune convinzioni religiose sono frutto di tradizioni umane che rasentano il folklore. La religiosità popolare è ricca di elementi folkloristici, sacrosanti, per carità... ma, onestamente, non si può far risalire questi aspetti alla volontà di Dio! non sono Rivelazione! Li buttiamo? No! riconosciamo semplicemente il loro giusto valore, niente di più... E se i nostri figli non si sentono di condividerli, perché non rientrano nella loro sensibilità, AMEN; sono tradizioni degli antichi, non costituiscono l'unità di misura della fede. A proposito: avete notato? l'espressione "tradizione degli antichi" compare nel Vangelo di oggi, per ben tre volte. Lo ripeto: Gesù non è contrario alle tradizioni religiose in quanto tali; vuole tuttavia insegnarci, o anche solo ricordarci che le tradizioni religiose non sono Parola di Dio, e dunque non impegnano la fede. Fede e religione non sono sinonimi! Eccoci al cuore della questione! L'accusa che i farisei muovono a Gesù e ai suoi discepoli è quella di non credere nel Dio dei padri, perché non si adeguano alle tradizionali pratiche religiose. Per dovere di verità, è necessario distinguere la Tradizione ufficiale della Chiesa, dalle tradizioni locali: il termine TRADIZIONE, o SACRA TRADIZIONE indica la trasmissione della fede, avvenuta dapprima oralmente, poi in forma scritta. La Tradizione fa parte delle modalità di trasmissione della Rivelazione - depositum fidei - della Chiesa cattolica, unitamente con le Sacre Scritture e il Magistero. Per maggiori informazioni rimando alla voce ‘tradizioné contenuta nel Catechismo della Chiesa cattolica. La Tradizione della Chiesa garantisce che l'insegnamento del Signore, trasmesso da lui personalmente agli Apostoli e da questi ai Vescovi, è rimasto immutato e tale rimarrà fino alla fine dei tempi. Voi capite, le tradizioni locali hanno tutt'altro valore, rispetto alla Tradizione ufficiale della Chiesa. Purtroppo nell'immaginario collettivo del popolo di Dio, il rapporto fra Tradizione e tradizioni è, per così dire, rovesciato... le tradizioni locali contano assai più che quella ufficiale. La grande Tradizione della Chiesa, manco la conoscono; conoscono invece benissimo le tradizioni locali, tra le quali, le devozionirappresentano un elemento importante, forse il più importante. Non c'è tempo per affrontare la delicata questione del rapporto tra devozioni private e preghiera della Chiesa: il Concilio Vaticano II se ne è occupato esprimendo in forma autorevole, semplice e chiara il pensiero (autentico) della Chiesa: se volete chiarirvi le idee su questo nodo cruciale della nostra fede, potete leggere la Costituzione Sacrosanctum Concilium, il documento promulgato dal Concilio per primo, segno che la preghiera è la carta di identità della Chiesa. "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me." dice il Signore: siamo disposti a dichiarare, in tutta coscienza, che il Signore non stia parlando di noi? |