Il cielo non è muto
E' un brano fortemente drammatico questo del vangelo di Giovanni perché ci presenta il fallimento di Gesù. Siamo al termine di questo cammino cominciato cinque domeniche fa e Gesù è chiamato a fare i conti con chi non se la sente più di seguirlo e lo abbandona, lo lascia, torna alla vita di prima. Gesù ha moltiplicato i pani, la gente lo ha cercato, lo ha seguito; lui è andato a Cafarnao e nella sinagoga ha fatto questo lungo discorso, questa lunga predicazione dove ricordate si autodefinisce il pane disceso dal cielo, e dove afferma che la sua carne è vero cibo e il suo sangue vera bevanda. Qual è l'esito della predicazione di Gesù? Un esito fallimentare, lo abbiamo appena ascoltato: da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui... chissà Gesù cos'ha provato, chissà quali cocci avrà cercato di mettere insieme tra fallimento e delusione, tra tristezza e impotenza. Chissà... forse questi ci avevano già pensato prima e hanno preso la palla al balzo e quando Gesù l'ha detta un po' più grossa, via! Alle volte forse capita: non te la senti più e alla prima occasione buona lasci. Gesù ora si è pienamente rivelato e nel momento in cui chiede adesione a sé trova lo stesso muro di incredulità che avevano eretto prima i giudei; ma qui non si tratta dei Giudei, si tratta dei suoi discepoli. Sono colti da una crisi e molti si allontanano da lui, non camminano più con lui. Specifico questo verbo, camminare, perché nelle scorse settimane, nella varie celebrazioni lo abbiamo scelto come "icona" del credere: la fede come cammino, non come adesione cieca ad un dogma imposto. La parola fede cosa suscita in me? Cosa vuol dire avere fede?
Non so se possono aiutare, ma queste poche righe di don A. Casati forse gettano una piccola luce è il vangelo di oggi ci dice, con una immagine viva, non pallida, che cosa è la fede: la fede è andare, camminare. Noi abbiamo molto impoverito l'immagine della fede, identificandola prevalentemente in un insieme di parole, di dichiarazioni, di proclamazioni. E' una immagine pallida della fede, se la confronto con quella del vangelo che dice: aver fede è andare dietro a Gesù. Non camminavano più con lui i discepoli; quando scrivo queste cose immagino il cammino che abbiamo fatto ieri e che hanno fatto milioni di persone nei secoli e mi dico che si, la fede va misurata non sulle parole, ma sul verbo andare, camminare. Non posso che domandarmi allora: E io? Cammino con Lui? Dove sono rispetto a Lui?
Parto proprio da quello che dicono i discepoli e che sembra essere la ragione dell'arrendersi di tanti: questa parola è dura, chi può ascoltarla? Cosa vuol dire che una parola è dura? La traduzione del termine greco può avere tre significati: dura, pesante, insopportabile. Chi è che mi rivolge parole dure, pesanti insopportabili? Una parola è dura, pesante insopportabile quando? Certamente quando non la comprendo, e mi viene il nervoso, cerco di capire ma proprio non riesco. Faccio una parentesi, e dico le stesse cose che già domenica scorsa accennavo nell'omelia proprio sul verbo capire quando Gesù stesso, nel vangelo, a proposito della perplessità di tanti di fronte alle parabole afferma che non tutti capiscono questa parola e poi rafforza dicendo: chi può capire, capisca..., vi ricordo che la domanda dei discepoli è: questo discorso è duro, chi può capirlo? Qui non è l'invito a capire con la testa, ma con la vita, facendo esperienza. Il verbo che l'evangelista (in questo caso) Matteo metteva in bocca a Gesù significa: aver territorio. E' una cosa che mi piace, e per capire è necessario avere un territorio, avere lo spazio sufficiente, la Parola di Dio è grande e non tutti possono riceverla. Non tutti capiscono, perché non fanno spazio Parola. Chi può fare spazio, lo faccia raccomanda Gesù, perché soltanto così la Parola può farci fare esperienza di Gesù. Quali spazi nella mia vita e per chi sono questi spazi?
Gesù dice una cosa importantissima subito dopo. Dice che la carne non giova a nulla. L'ho sempre intesa come un giudizio morale su tutto ciò che è carnale e quindi legato al piacere corporale e lì metteteci dentro un po' quello che volete; oggi la intendo un po' diversamente, perché Gesù fa un'affermazione che può farci fare un salto di qualità: guardate... la carne non giova a nulla, non serve a nulla, deperisce, è destinata alla morte, ma lo stile di Dio è proprio quello di assumere la condizione di ciò che non conta, non serve, non giova. Il vangelo infatti ci dice che il Verbo si fece carne... ci credo che poi tutti se ne vanno! Gesù dice ai suoi che il vero servizio è assumere la condizione di ciò che non giova a nulla e quindi di chi non conta nulla. Don Daniele Simonazzi diceva che per Gesù, farsi carne, ha voluto dire morire. La condivisione, la carità, è farsi, è diventare come chi non serve a niente è e ci sono delle persone che non servono assolutamente a niente, che sono di troppo o che non producono, che sono fuori di testa o che aspettano soltanto di dare l'ultimo respiro: Gesù assume la loro condizione e allora non ci può essere niente di loro che ci ripugni o che dobbiamo tenere a distanza.
È bellissimo che Gesù dica: le mie parole sono spirito e vita. La parola di Gesù e le tante parole che si fanno oggi. Ci danno il respiro di Dio le parole di Gesù; ieri vi dicevo dei cieli aperti: ecco, ci sono parole che chiudono i cieli, ci sono parole che tolgono il respiro, ci sono parole che chiudono il cuore: all'andata del pellegrinaggio al santuario della Guardia le persone dicevano, ripetendo di cui nessuno ricordava l'autore: ne ha uccisi di più la parola che la spada. Gesù cerca di spiegare che la sua Parola non uccide come alcune parole degli uomini e qui allora si può pensare che la durezza del linguaggio di Gesù sia dovuta al fatto che lo si comprende benissimo! E' duro quel linguaggio perché lo si capisce, eccome! Lo capisco, ma non intendo offrire il mio spazio interiore, il mio territorio a chi si sta offrendo in cibo per me, perché in fondo in fondo, invitando anche me ad offrirmi in cibo fa suonare troppi campanelli d'allarme. Gesù porta i suoi discepoli e anche noi che lo ascoltiamo al dunque: non si può certo misurare, però possiamo lavorarci un po' sopra e cercare di capire se questo capitolo sesto del vangelo di Giovanni è entrato nel nostro cuore. Alla fin fine cosa possiamo dire delle cose che abbiamo ascoltato dal vangelo: che fare la comunione, ovvero mangiare un'azione, una scelta, un gesto di Gesù, dovrebbe portare anche noi a legarci a coloro che non servono a niente entrando nella logica del dono e sottraendoci a quella del profitto... ripeto: naturalmente c'è chi, a questo punto, se ne va!!!
A questo punto, parlando ai discepoli, la svolta! La propongo così come l'ho ascoltata da p. Ermes Ronchi:
Ed ecco la svolta del racconto: Forse volete andarvene anche voi? In Gesù c'è consapevolezza della crisi, ma anche fierezza e sfida, e soprattutto un appello alla libertà: siete liberi, andate o restate, ma scegliete; e seguite quello che sentite dentro! Gesù non ordina quello che devi fare, non impone quello che devi essere, ma ti porta a guardarti dentro: che cosa desideri davvero? Dove va il tuo cuore? Finita la religione delle pratiche esterne e degli obblighi, si apre quella del corpo a corpo con Dio, a tu per tu con la sua vita, fino a diventare una cosa sola con lui.
Sono chiamato anch'io a scegliere di nuovo. E ci aiuta la stupenda risposta di Pietro: Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna. Tu solo: Dio solo. Un inizio bellissimo. Non ho altro di meglio. È davvero l'affare migliore della mia vita. Hai parole: il cielo non è muto, Dio parla e la sua parola crea, ribalta la pietra del sepolcro, vince il gelo, apre strade e incontri, carezze e incendi. Parole di vita: che portano vita ad ogni parte di me. Danno vita al cuore, lo rendono spazioso, ne sciolgono la durezza. Danno vita alla mente, che vive di verità altrimenti si ammala, e di libertà o muore. Danno vita allo spirito: mantengono vivo un pezzetto di Dio dentro di noi, nutrono la nostra parte di cielo. Parole che danno vita anche al corpo, perché in Lui siamo, viviamo e respiriamo: togli il tuo respiro e siamo subito polvere. Parole di vita eterna, che creano cose che meritano di non morire, che regalano eternità a tutto ciò che di più bello portiamo nel cuore.
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