Omelia (30-08-2015)
mons. Roberto Brunelli
La Legge divina segno e fonte di saggezza

Dopo la lunga parentesi tratta dal vangelo secondo Giovanni, riprende la lettura di quello di Marco, con un brano che si può accostare alle altre due letture. Tema comune è la Legge di Dio.
Nella prima (Deuteronomio 4,1-8), costituita da un brano dei discorsi attribuiti a Mosè, egli che aveva trasmesso la Legge divina al popolo d'Israele gli raccomanda di mantenerla intatta, senza aggiungervi né togliervi nulla, perché è costituita da norme giuste, e osservarle è segno e fonte di saggezza. Il salmo scelto a commento di questo brano è il 14, in cui tra l'altro si dice che chi osserva i precetti divini "abiterà nella tenda" di Dio, "resterà saldo per sempre": avrà insomma la vita eterna.
Per una fortuita combinazione anche la seconda lettura, di solito tematicamente sganciata dalle altre, oggi parla dello stesso argomento: "Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi" (Lettera di Giacomo 1,21-22). Le leggi, e a maggior ragione la Legge suprema, non esistono per fare bella figura in un Codice, o per dimostrare l'acume di chi le ha formulate, o per essere studiate e discusse, ma perché si traducano nella vita: parole chiarissime, che non richiedono commento.
Un chiarimento invece può rivelarsi utile a capire il passo evangelico (Marco 7,1-23), che riporta una delle controversie di Gesù con i suoi avversari, i quali non perdevano occasione per cercare di metterlo in difficoltà. Era accaduto, nel popolo ebraico, che i "sapienti" studiosi della Legge l'avevano corredata di norme pratiche, tanto discutibili quanto numerose e minuziose, sino a diventare soffocanti e far perdere di vista la ragione stessa per cui dovevano essere osservate. Un esempio è dato proprio dall'episodio del brano odierno: era prescritto di mantenersi puri davanti a Dio, e allora "i farisei e tutti i giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti".
La pulizia è buona cosa, naturalmente, purché non diventi una mania, un'ossessione, e soprattutto non si creda che basti per essere "puliti dentro", cioè agli occhi di Dio. Per questo, quando alcuni scribi e farisei rimproverano a Gesù di non impedire ai suoi discepoli di violare i precetti religiosi, prendendo cibo senza prima essersi lavati le mani, egli dà loro degli ipocriti, preoccupati delle apparenze e non della sostanza, e applica a loro un severo monito del profeta Isaia: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini".
Anche tra i cristiani si corre un simile rischio. In duemila anni si sono introdotte nella vita cristiana usanze e tradizioni di cui non c'è traccia nel vangelo, e può accadere di perdere di vista quest'ultimo, credendosi a posto solo perché si osservano appunto quelle usanze e tradizioni. E' importante allora ricordare che tra i compiti della Chiesa è anche quello di vigilare e vagliare, di distinguere tra gli insegnamenti di Dio e quelli introdotti dagli uomini; tra questi ultimi, poi, segnalare quelli pseudo-religiosi che in realtà allontanano da Dio perché gli sono contrari o estranei (si pensi alle eresie, o a tante presunte apparizioni della Madonna) e richiamare quelli positivi (ad esempio il rosario, i pellegrinaggi) alla loro finalità, che è quella di portare a Dio o sostenere la vita con lui e per lui. Occorre stare attenti a non credersi "a posto" solo con l'osservanza esteriore dei riti e delle usanze: formule vuote, se non esprimono l'adesione della mente e del cuore.