Omelia (30-08-2015) |
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COMMENTO ALLE LETTURE Commento a cura di Padre Alvise Bellinato TEORIA E PRATICA La parola che ricorre come un ritornello nelle letture odierne è "pratica". 1. "Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica" (prima lettura); 2. "Colui che cammina senza colpa, pratica la giustizia, colui che agisce in questo modo resterà saldo per sempre" (salmo responsoriale); 3. "Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi" (seconda lettura); 4. "Trascurando il comandamento di Dio, voi mettete in pratica (στήσητε) la tradizione degli uomini" (Vangelo). É vero, come dice un proverbio, che "tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare", tra teoria e pratica c'è una bella distanza. E la Parola di Dio odierna sembra insistere molto su questo punto: non basta ascoltare, commentare, apprezzare i comandamenti di Dio, ma è necessario metterli in pratica, per ricevere la benedizione divina. "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli" (Mt 7, 21). Nelle letture ascoltate c'è come una graduatoria, una classifica, un crescendo graduale di promesse. Dio fa delle promesse, che sono sempre più grandi. La prima lettura, tratta dal Deuteronomio, promette tre cose a chi osserva i comandamenti: la vita, il possesso della terra promessa e l'ammirazione dei popoli vicini. Il Salmo 14 promette qualcosa di più: una stabilità duratura (cioè la certezza di non inciampare e di fallire: un senso profondo nella vita). La lettera di Giacomo promette la possibilità di raggiungere la salvezza (del corpo e dell'anima). Il Vangelo promette il massimo: la vita eterna, a chi mette in pratica i comandamenti. Per entrare nella vita eterna occorre un esame non solo di teoria, ma di pratica: bisogna dimostrare che ci siamo comportati concretamente come Dio comanda, seguendo le sue istruzioni e cercando di incarnare nel quotidiano il nostro essere cristiani, attraverso atteggiamenti concreti e verificabili. LA TENTAZIONE DEL FARISEISMO Gesù, nel corso della sua vita terrena, è stato in conflitto contro i farisei: la loro osservanza dei comandamenti era solo esteriore e non "con il cuore". Essa diventava motivo per sentirsi migliori degli altri e per giudicare. La loro osservanza era diventata, col tempo, esteriore e priva di convinzioni. Per questo motivo Gesù li critica nel Vangelo. Eppure i farisei non erano cattive persone: erano uomini che si sforzavano di raggiungere una vera pietà e perfezione. Nelle loro intenzioni e alle origini i farisei erano persone in gamba. Cristo aveva degli amici tra loro. Severi custodi dell'osservanza in un'epoca di fortissima influenza pagana, essi erano stati i salvatori dell'anima del popolo di Israele. Avevano accentuato troppo le pratiche cultuali, dando loro la precedenza sui doveri della fraternità umana e della giustizia sociale. L'attaccamento alla Legge, che ha reso grande il giudaismo (prima lettura) e che in più di un caso è stato motivo della salvezza di Israele, aveva portato a mettere sullo stesso piano tutti i precetti, religiosi e morali, civili e cultuali, abbandonandoli alle sottigliezze dei casisti, il culto della Legge finiva per imporre un giogo impossibile da portare (Mt 23,4; At 15,10). In questo modo, da segno di alleanza e di libertà la Legge diventava una catena di schiavitù. Inoltre, col tempo, essi arrivarono a fondare la «giustizia dell'uomo» di fronte a Dio, non sulla grazia e sulla iniziativa divina, ma sull'obbedienza ai comandamenti e sulla pratica delle opere buone, come se l'uomo fosse capace di salvarsi da solo. Il fariseismo non è un atteggiamento che riguarda solo il passato, ma una tentazione continuamente risorgente anche presso le persone e le istituzioni che iniziano con le intenzioni più pure e più rette. Un modo di pensare farisaico può sempre infiltrarsi subdolamente in noi cristiani. Dobbiamo stare in guardia: una forma mentis farisaica può continuare anche oggi, nel seno della Chiesa. Si possono esagerare e assolutizzare la legalità, il precetto, l'esteriorità; si può anche oggi vivere un cristianesimo legalista, esteriore, periferico, più preoccupato di ubbidire passivamente a norme ricevute, che di dare una risposta personale e responsabile alle chiamate di Dio e alle invocazioni dei fratelli. Papa Francesco ci richiama continuamente a mettere al centro della nostra vita sempre la misericordia, un buon antidoto contro il legalismo. Anche quando non si distingue l'essenziale dell'evento cristiano nella storia, dalle diverse forme storiche e culturali in cui esso si manifesta, imbrigliando nelle nostre categorie l'inafferrabile azione dello Spirito, cercando di mantenere sotto il giogo della legge coloro che ne sono stati liberati dalla morte di Cristo, si rischia di essere rimproverati da Cristo: «"Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini". Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». NON CAMBIATE NULLA C'è un altro aspetto che ci può aiutare nella meditazione odierna: l'invito a non cambiare nulla della legge di Dio. Il Deuteronomio ci offre un chiaro invito: "Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo". La seconda lettura ci ricorda che presso Dio Padre, creatore della luce "non c'è variazione né ombra di cambiamento". Dio non cambia idea: i comandi che ci ha dato restano validi per sempre. Nel Vangelo invece Gesù critica il modo di non cambiare nulla dei farisei, e lo considera causa di rovina spirituale. Ma anche Gesù ha sottolineato: "Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli" (Mt 5, 19). Esiste una integrità, un conservare i precetti di Dio senza cambiamenti, che è positiva e richiesta da Dio stesso, ma esiste anche una forma di conservazione che porta alla morte. Esiste, cioè una fedeltà autentica a Dio, basata sull'osservanza vera del Vangelo, sine glossa direbbe S. Francesco, senza sconti, che è capace di accogliere gli inviti del Signore in tutta la loro radicalità e portata e di rispondere generosamente e creativamente. Ma esiste anche una falsa fedeltà, un conservazionismo spirituale che porta alla morte, all'indurimento del cuore, al tradimento di Dio. La teologia dei segni dei tempi ci invita a tenere gli occhi aperti, per saper discernere sapientemente la presenza di Dio in questo mondo e il modo di servirlo adeguatamente, onorandolo non con le labbra solamente, ma con le labbra e il cuore. |