Omelia (30-08-2015) |
don Alberto Brignoli |
Contrabbandieri di Dio Il contrabbando è una piaga sociale ed economica spaventosa. Oltre che avere un indicibile risvolto di immoralità, mette in ginocchio pure l'economia e la struttura sociale di un paese. Basandosi sulla vendita a buon prezzo di merce e servizi scadenti o falsi, muove una rete d'illegalità che invece di creare benefici (spendere di meno per gli acquisti) crea disoccupazione e povertà. 18 miliardi di euro e 105.000 posti di lavoro sono le cifre del deficit creato lo scorso anno in Italia dal contrabbando. Senza parlare del contrabbando di vite umane, le cui tragedie provocate da uomini senza scrupoli (i trafficanti di carne umana del Mediterraneo come i caporali delle campagne della Puglia) sono notizia di questi giorni, sotto gli occhi e sulla bocca di tutti. Ma la cosa peggiore è quando si arriva a contrabbandare Dio. Sì, si può arrivare anche a contrabbandare Dio, creandone un monopolio sulla scorta della nostra presunta conoscenza di lui, e offrendolo "a buon mercato" attraverso l'osservanza di alcuni precetti che, spesso, nulla hanno a che vedere con Dio e con la sua Legge. Il ritorno alla lettura del Vangelo di Marco ci presenta quest'oggi il capitolo settimo, incentrato su una discussione talmente aspra con i farisei e gli scribi "venuti da Gerusalemme" appositamente per giudicare Gesù e i suoi discepoli, che il Maestro sarà costretto, successivamente, a rifugiarsi in territorio straniero. Che cosa rimproveravano a Gesù gli scribi e i farisei? Il collegamento a quanto avvenuto con la moltiplicazione dei pani e dei pesci è evidente. I farisei, invece di gioire e di glorificare Dio per il gesto compiuto da Gesù che sfama i cinquemila, com'è nel loro stile vengono a rompere le uova nel paniere, insinuando che questo gesto miracoloso in realtà è un reato contro la legge di Mosè, e quindi non può esserci dietro di tutto questo l'opera di Dio. E l'infrazione contro la legge di Mosè è legata al culto, e avviene nel momento in cui i farisei notano che i discepoli di Gesù "prendevano il cibo con mani impure". Che questo "prendere il cibo" si riferisca alla distribuzione dei pani e dei pesci alla folla o che si riferisca al fatto che i discepoli mangiassero di quel cibo, forse poco importa: certamente, il riferimento è a quel fatto, che a detta dei farisei non può considerarsi opera di Dio in quanto irrituale e irrispettoso della Legge. Marco, che è stato discepolo sia di Paolo che di Pietro e quindi conosce bene la discussione sulla validità della Legge di Mosè all'interno della Chiesa nascente, ci spiega in maniera anche abbastanza ironica quale fosse il motivo di questa teoria dei farisei. Spende, infatti, due versetti di questo capitolo per descrivere le tradizioni dei farisei (a detta sua, di tutti i Giudei), cose un po' grottesche che hanno molto poco a che fare con Dio, a quanto pare: ed è proprio ciò a cui vuole giungere Gesù nella discussione con i farisei, sostenendo che essi contrabbandano la legge di Dio, impressa eternamente dentro l'uomo, con le tradizioni degli uomini, destinate come ogni cosa umana a scomparire. La setta dei farisei era giunta a creare un insieme di 613 tra prescrizioni e proibizioni, che erano il risultato della somma di 248 (le parti del corpo umano, secondo l'anatomia dell'epoca) con i 365 giorni dell'anno, a dire che tutta la nostra persona, ogni giorno, è chiamata a osservare la legge di Dio. Magari si trattasse della legge di Dio! Moltissimi di questi precetti non avevano alcun riscontro nella Legge di Mosè, quindi nella Sacra Scrittura rivelata da Dio al suo popolo: facevano parte del Talmud, che è la trasmissione orale delle osservanze del popolo ebraico, e per quanto possano essere autorevoli, sono comunque sempre interpretazioni umane della Legge, e quindi destinate a cambiare proprio perché non eterne. Un rischio, quello di confondere la tradizione degli uomini con la Legge e la Parola di Dio, molto presente anche nella nostra fede cristiana, quando abbiamo la pretesa di far coincidere importanti e significative leggi ecclesiastiche (importanti, ma pur sempre opera umana) con la Parola di Dio o addirittura con la sua volontà. Non si può mascherare la genuinità della fede espressa dalla Parola di Dio con una qualsivoglia legge umana, per nobile che essa sia: mascherare la Parola di Dio con le leggi degli uomini significa dissimulare, comportarsi da attori, da teatranti, ovvero da ipocriti, come Gesù definisce i farisei. Un'ipocrisia che giunge al culmine quando si attribuisce all'osservanza esteriore delle tradizioni umane il potere di "rendere puro l'uomo", diremmo oggi di "donargli la salvezza". A questo erano arrivati i farisei, e a questo può giungere ognuno di noi quando confonde la salvezza con un rapporto con Dio basato sull'osservanza dei precetti legati al culto, rispettando o no i quali si è salvati o si è condannati, indipendentemente da ciò che il nostro cuore vive al suo interno, cioè dall'amore verso tutto ciò che riguarda Dio e i fratelli. Gesù è chiaro: "Sono le cose che escono dall'uomo a renderlo impuro". La discriminante per la nostra salvezza non sta in ciò che, esteriormente a noi, siamo tenuti - osservandolo - ad assimilare, ma nell'esatto contrario, ovvero in ciò che viviamo dentro di noi e che riportiamo all'esterno. Gli atteggiamenti malvagi che Gesù elenca al termine di questo brano di Vangelo - badiamo bene - non riguardano il nostro cattivo rapporto con Dio basato sulla non osservanza delle leggi cultuali, ma il nostro rapporto con il prossimo, guastando il quale, di fatto, abbiamo guastato profondamente anche il nostro rapporto con Dio. Mentre noi, come i farisei, spesso "barattiamo", "contrabbandiamo" la vita di fede e la salvezza cui tendiamo con l'osservanza esteriore di quei precetti minimi legati al culto, una volta rispettati i quali ci sentiamo ipocritamente a posto. Ma sappiamo bene che non è così: sappiamo bene che non è sufficiente andare a messa alla domenica, o confessarsi a Natale e Pasqua, o compiere l'iter dei sacramenti dell'iniziazione dei nostri figli per dirci cristiani. Così come non ci dona la salvezza, l'attaccamento incondizionato e irriflesso alle leggi ecclesiastiche che, sia pur necessarie, se non sono vissute secondo lo spirito della Legge di Dio e della sua Parola, rimangono lettera morta. Insomma, Dio non si contrabbanda con nessun surrogato o con alcun precetto. Dio si ama, con tutto il cuore, proprio come egli fa con noi. |