Omelia (06-09-2015) |
don Maurizio Prandi |
Dio non ci lascia mai soli C'è una parola al centro del vangelo che la chiesa ci consegna questa domenica, la XXIII del tempo ordinario: EFFATA', parola aramaica che significa APRITI! È un imperativo, è una necessità, è un compito, è una responsabilità... aprirsi è tutto questo ed è anche molto di più! Sta lottando Gesù ricordate? Sta lottando contro le chiusure del cuore, contro chi divide gli uomini in categorie: ci sono persone per le quali non esistono gli uomini... allora c'erano i puri e gli impuri. Come oggi ci sono italiani e stranieri, profughi e clandestini, immigrati ed extracomunitari... non c'è più l'umanità, ci sono appartenenti a categorie. Ecco... domenica scorsa le letture ci parlavano del rischio, serio per ognuno di noi, di stabilire che l'impuro, lo sporco, lo strano, lo sbagliato, il malato, sia sempre l'altro. Abbiamo ringraziato Gesù domenica scorsa, perché ci ha svelato il nostro cuore, ci ha detto chi siamo quando il nostro cuore è chiuso. Contro la chiusura del cuore l'imperativo: Apriti! Come potete notare, siamo sempre, nonostante linguaggi diversi, teologie diverse, evangelisti diversi (Giovanni e Marco), nel medesimo solco delle settimane precedenti, dove ci è stato detto che, prima di noi, c'è Dio che apre! Apre i cieli per discendere, apre i cieli perché la sua parola giunga a noi, apre i cieli perché è un Dio vicino... tanto vicino da assumere la condizione di chi non giova, di chi non serve a nulla. Ripensando anche alla base che abbiamo come ascolto della parola di Dio nelle scorse domeniche, dove il richiamo alla vita eterna è stato costante, e pensando anche ad una traduzione nella vita concreta di ognuno di questo termine, vita eterna appunto, che è stato abbozzato durante la tre giorni di Assisi con i ragazzi e i loro animatori, provo a riassumere il contenuto di quanto ascoltato oggi. Partendo dal presupposto appunto che (come si diceva), vita eterna è una vita piena, realizzata, la prima lettura di questa domenica possiamo definirla come un canto, un inno alla gioia che sprona, incoraggia gli ebrei a mettersi nuovamente in marcia, in cammino verso la terra che il Signore ha dato loro, perché la vita del popolo in esilio a Babilonia possa tornare ad essere piena. Il cielo è chiuso sul popolo in esilio, tanto da non permettere di vedere quanto Dio prepara per lui ma non solo: non ci si accorge, perché si è ciechi, non ci si incammina, perché si è zoppi, non si può gridare di gioia perché si è muti. Bello il testo, che parla di vendetta e usa una parola normalmente carica di significati cruenti e sanguinari per invitare ognuno di noi a pensare secondo Dio... la sua vendetta è la sconfitta di coloro che con la loro prepotenza, fanno di tutto perché non tutti ascoltino, non vengano a sapere... la vendetta è la sconfitta di chi vuol far tacere gli altri e zittirli nei loro diritti e nelle loro speranza, nel loro grido di sofferenza (A. Casati). Ecco il vostro Dio, egli viene a salvarvi! Ci dice semplicemente questo il profeta Isaia: il bello della nostra vita è la presenza di Dio che viene. Questi versetti capitolo 35 del libro d'Isaia che leggiamo oggi sono una descrizione di bellezza: il mondo cambia, (il cielo si apre), le persone stanno bene. Tutto questo sembra fare a pugni con il presente che viviamo, con le nostre fatiche e tanti pensano o dicono (anche giustamente dal loro punto di vista): ma è tutto vero oppure è solo una favola? Perdonatemi una lunga citazione tratta da un commento fatto dalle "famiglie della Visitazione": Secondo Gesù le cose sono buone non di per se stesse, ma perché Lui le vive con noi. Tutto il gran bene che Lui ci fa non è fatto nelle cose o in noi, ma avviene perché non ci lascia mai soli. Il deserto fiorisce perché c'è Lui, io resto cieco ma Lui mi descrive così bene tutte le cose che anch'io ci vedo, Lui tiene la mia mano nella sua e allora tutta la vita cambia. Gesù è così importante non perché cambia le cose, ma perché ci vuole bene. Quando si è voluti bene tutto cambia. Tutto cambia perché Dio ci ama. La vera potenza e il vero segreto di Dio è quello di volerci bene e noi cristiani abbiamo un solo, grande dovere: voler bene. E' un dovere che tutti possiamo fare, piccoli e grandi ed è l'unica cosa che Gesù ci chiede di fare. Gesù viene in mezzo a noi per insegnarci questa grande arte; noi siamo qui per far sapere ad un mondo così poco buono che tutti ci dobbiamo voler bene. Così le nostre comunità possono essere un giardino soltanto alla condizione che ci siano persone che vogliono bene. Voler bene è fare posto, Dio ci ha fatto un posto immenso nel suo cuore. Rispetto sempre al tema della pienezza di vita, la seconda lettura ci mette in guardia su ciò che potremmo pensare potesse coincidere con la vita piena: vita piena è la vita di chi sta bene, vita piena è la vita delle persone importanti, ricche e benestanti... vita piena è quella dei potenti, delle persone influenti, che sempre sono tenute in considerazione... il grande rischio è quello di legare a quell'idea di pienezza sogni e desideri del cuore. E' importantissimo che Giacomo scriva alla sua chiesa per dire che non è quella la strada da percorrere, perché vita piena è non cedere ai favoritismi, vita piena è non discriminare, vita piena è non giudicare, vita piena è fare nostre le scelte di Dio e sono scelte a favore dei poveri, a favore di chi non ha, di chi non può, di chi, agli occhi del mondo, non è! Vi dicevo già la settimana scorsa che da subito le riunioni cristiane hanno corso il rischio di cadere, scivolare nella ricerca del magico, del meraviglioso, dello straordinario e di pari passo le comunità cominciavano a cercare gli appoggi delle cosiddette "persone che contano"... Giacomo è molto chiaro, oggi come allora: la chiesa non può generare distanze anzi... la celebrazione dell'Eucaristia è proprio il luogo dove deve essere proclamata l'assenza delle distanze e la scelta dei poveri va proprio in quella direzione: coloro che la vita e le ingiustizie hanno messo distanti devono essere collocati al centro. Il vangelo ci dice che vita piena è "aprire" i cieli e i fratelli... leggendo il testo di oggi è chiaro che l'imperativo all'apertura è rivolto al sordomuto ma credo sarebbe possibile anche un'altra interpretazione: guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: Apriti! Lo so che probabilmente forzo il testo in nome di una passione fortissima che ho per questa immagine dei cieli aperti, però mi piace pensare che Gesù si rivolga al cielo e gli comandi di aprirsi, squarciarsi. E' in forza del cielo che si apre su questo sordomuto che finalmente egli può ascoltare e parlare correttamente. Nel vangelo di Marco questa sarebbe la seconda volta in cui si parla di apertura dei cieli; era già successo nel giorno del battesimo di Gesù, quando vide squarciarsi i cieli. Mi viene da dire che ogni volta che Gesù viene riconosciuto dal Padre come colui che assume una condizione (quando si è messo in fila con i peccatori) o come colui che condivide, o come colui che si prende cura, ecco che i cieli si spalancano. Ricordo sempre, (mi ripeto e mi scuserete), che il mio rettore del seminario sottolineava come nella lingua di Gesù, la parola "cielo" e la parola "cuore dell'uomo" inteso come l'intimità profonda, si dicono nello stesso modo... capisco allora meglio un'affermazione di don Daniele Simonazzi: ciò che apre a noi i cieli, ciò che apre a noi il cuore di Dio, è la condizione assunta dal figlio facendosi tutt'uno con noi peccatori. Paradossalmente quindi è il nostro peccato che apre il cuore di Dio (!!!)... che bello questo: non gli siamo nel cuore perché siamo perfetti, non gli siamo nel cuore per i nostri meriti, gli siamo nel cuore e gli apriamo il cuore proprio perché siamo dei peccatori... è meraviglioso: ognuno di noi ha un posto assicurato nel cuore del Padre. Questa apertura che Gesù ci chiede con forza riguarda noi e i nostri fratelli...aprire il nostro cuore, aprire il cuore dei nostri fratelli... e don Daniele pone questa domanda: da che cosa e per che cosa otteniamo l'apertura del cuore delle persone che amiamo? Certo il cuore non lo apri con la violenza... Gesù apre il cuore del Padre e il cuore del sordomuto con un sospiro. Alle volte insistiamo, insistiamo, insistiamo... e invece è necessario imparare da coloro che non possono avere nessun'altra pretesa che quella del loro sospiro, dell'ultimo sospiro (don Daniele Simonazzi) è necessario imparare da Gesù, la cui ultima parola è stato quel sospiro che ha aperto nuovamente i cieli, che ha aperto per sempre il cuore del Padre. Tutto è introdotto dal cammino di Gesù: sta tornando da Tiro ed è diretto dove? In quella parte del mare di Galilea che si trova nel territorio della Decapoli... Decapoli è una parola greca che significa 10 città. Non c'è però qualche stranezza nel percorso che Gesù sceglie di fare? Fa una strada lunghissima... ci vuole molto più tempo... ci si stanca di più... si spende di più... ecco: a Gesù piace camminare perché sulla strada incontra tante persone, parla con loro, li ascolta. Se qualcuno cercava Gesù, sapeva dove trovarlo: sulla strada... e proprio lì gli portano il sordomuto protagonista di questo brano di vangelo. Che bella anche questa immagine di chiesa che ci viene suggerita da gente pagana, che non conosce Dio: portare a Gesù qualcuno che ha bisogno... Gesù voleva incontrare tutti e non gli importava se era in territorio straniero (Tiro e Sidone), o pagano (la Decapoli). Lui andava, percorrendo città e villaggi dice il vangelo, senza stancarsi mai... di fare che cosa? Parlare... di Dio... incoraggiare... guarire... aiutare... pregare... Possa essere così anche la nostra vita, una vita aperta, capace di mettersi in cammino, per poter dire e lasciarsi dire che la vita è bella perché Dio non ci lascia soli, ci prende per mano, ci porta in disparte, ci dice, in un sospiro, che la sua ultima parola è quella dell'amore, del dono della sua vita per noi. |