Omelia (20-09-2015)
Carla Sprinzeles
Commento su Sap 2,12.17-20; Mc 9,30-37

Oggi ci poniamo una domanda: perché il giusto viene perseguitato?

Mi sento sovente porre la domanda da amici: perché chi si comporta bene viene perseguitato e invece chi non ha scrupoli sembra che la vita lo premi!

Oggi ascoltando e meditando le letture troviamo una risposta a questa domanda.

Chi diffonde libertà dà fastidio a chi vuole dominare.

Gesù faceva questo, chiamava a libertà: di fronte alle strutture sacre richiamava la voce della coscienza (perché non giudicate voi stessi cos'è bene?)-Lc. 12,57-, richiamava alla dignità di figli.

Chiedeva di esprimere continuamente misericordia nei confronti degli altri, di riconoscere la loro grandezza, la loro dignità di figli di Dio. Questo certo dà fastidio a chi vuole il dominio.

Ora quello che per noi è importante è capire che anche le forme di persecuzione, di incomprensione, quando nascono dal bene che si vuole fare, quando nascono dalla volontà di rivelare l'amore di Dio, non è qualcosa che si aggiunge dall'esterno, fa parte della stessa missione.

Se diffondiamo il bene, necessariamente sorgono incomprensioni, ostilità, contrapposizioni, perché il bene come tale, nella situazione imperfetta della creazione e dell'umanità, dà fastidio.



SAPIENZA 2, 12, 17-20

Con la prima lettura ci è presentato questo messaggio: il giusto in un modo ingiusto deve attendersi la persecuzione e anche la morte.

Nel capitolo 2 della Sapienza, di cui leggiamo una piccola parte, è proprio indicata questa reazione molto facile di fronte a un giusto: "ci mette in imbarazzo, ci dà fastidio con la sua stessa presenza, eliminiamolo; poi se giusto è figlio di Dio e se figlio di Dio, Dio lo proteggerà. Per cui mettiamolo alla prova, condanniamolo a una morte infame, vediamo cosa succede."

Il testo della Sapienza, scritto 50-80 anni prima di Gesù, non si riferiva immediatamente a Gesù, si riferiva al giusto, che a quel tempo veniva considerato figlio di Dio.

I giusti erano coloro che accolgono la parola di Dio.

Questo valeva per tutti i popoli, per tutta l'umanità e per tutte le culture.

Poi inizierà la fase della "nuova alleanza" con Gesù, che sarà il paradigma della figliolanza, per cui siamo chiamati a diventare figli in lui. Prima i giusti erano comunque figli di Dio.

Gesù probabilmente non conosceva il libro della Sapienza, perché era stato scritto in greco poco tempo prima e girava in ambienti greci.

Successivamente i primi cristiani leggendo questo passo della Sapienza ebbero uno strumento per capire la morte di Gesù, le sue scelte, la fedeltà all'annuncio del vangelo in una situazione di rifiuto, per cui c'era il rischio di morte. Questa era la situazione.

Non dobbiamo pensare che la sofferenza sia una prova di Dio, lui ci conosce e non ha bisogno di nessuna prova!

Non è necessario soffrire per essere giusti e non è una fatalità.

Ci è chiesto di camminare nella direzione del bene, dell'amore di Dio, per questo è necessario chiederci sempre quali sono le ragioni delle nostre scelte, anche quando operiamo il bene.

Perché lo facciamo? Realmente per diffondere il dono di Dio, il suo Amore, per comunicare forza di vita agli altri?

O perché vogliamo apparire, perché vogliamo emergere, dominare sugli altri, crescere nella nostra autorità, fare carriera?

Se le ragioni sono queste, pur facendo il bene, non cresciamo come figli di Dio, operiamo il male!

Ciò che vale non è cosa facciamo, ma il messaggio di vita che trasmettiamo, la forza che comunichiamo agli altri: questo eleva l'umanità, il resto passa tutto, scompare tutto.



MARCO 9, 30-37
Oggi leggiamo il passo del vangelo secondo Marco dove Gesù mentre prima girava i villaggi e le città e annunciava il vangelo del regno, ora si dedica di più alla formazione del gruppo dei suoi discepoli, perché ormai le voci che venivano da Gerusalemme erano allarmanti e certamente c'era il rischio grave che venisse preso e condannato o forse venisse lapidato per una rivolta; c'era infatti anche questa possibilità, per cui Gesù a un certo momento ha temuto di essere lapidato.

Quindi Gesù si dedica con molta più cura alla formazione dei suoi; per questo desidera che non si sappia che sta attraversando la Galilea, in modo che non accorra molta gente portando malati.

Nella formazione dei discepoli insiste su alcuni particolari.

Prima di tutto cerca di liberarli dalla convinzione che avevano che la missione che stavano compiendo avrebbe avuto pieno successo, per cui sarebbero diventati persone importanti per la vita sociale di quel tempo.

I discepoli lo stavano seguendo secondo le loro prospettive.

Per questo "non capivano ciò che diceva", capivano le parole, ma non la prospettiva di Gesù.

Proprio per far capire queste prospettive Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni per salire sul monte, pregare e riflettere sulle scritture.

Gesù stava maturando la decisione di salire a Gerusalemme, di continuare fino in fondo la sua missione. C'erano alternative possibili. Dobbiamo liberarci dal pregiudizio che Gesù sapeva tutto, è insensato, non si capirebbe la preghiera e la riflessione di Gesù sulle Scritture.

Quando Gesù stava comunicando ai suoi che sta per essere ucciso, i suoi apostoli discutono per sapere chi è il più importante tra loro. Come se dicessero:"Abbiamo capito, morirai, ma dopo, chi di noi sarà il più grande?"

Mancava loro la consapevolezza che siamo creature, cioè luogo dove qualcosa di più grande si esprime, quello che siamo, lo siamo per un dono che viene continuamente rinnovato, per un'offerta di vita, che continuamente ci viene donata. Continuamente. Non è che Dio ci ha dato la vita all'inizio e poi ci ha detto: "adesso sbrogliatevela!", no, continuamente offre. Per questo siamo creature. Noi non siamo creature perché un certo giorno abbiamo iniziato a vivere, ma continuamente dipendiamo dall'azione creatrice di Dio per essere viventi, per pensare, operare quello che pensiamo e operiamo.

Non c'è nulla di nostro, possiamo perdere tutto, non siamo noi il principio di quello che siamo.

Siamo lo spazio dove fiorisce il bene come amore.

Se viviamo in questa prospettiva tutto ci appare in una luce diversa.

La convinzione contraria ci conduce a essere presuntuosi nei confronti degli altri!

Occorre che non ci mettiamo mai al centro!

Gesù pone al centro un bambino, in quei tempi i piccini erano bocche inutili, valevano meno degli animali, forse come i ragazzi di strada in America latina.

Gesù invita a capire dove sta la vera grandezza, la vera realizzazione dell'uomo.

Non sta nella sottomissione agli schemi del mondo, che sono quelli della sopraffazione, della violenza.

Ogni potere corrompe. La sete di dominio trascina l'uomo fuori di sé, è menzognera!

Gesù stimola ad abbandonare ogni aspirazione a ruoli importanti, come fanno gli adulti, e a diventare servi gli uni degli altri, a dimostrare a ogni uomo il suo valore infinito.

Chi vuol essere il primo si metta a servizio di tutti, come ha fatto Gesù.

Siamo ancora molto lontani da questo insegnamento!
Gesù si era dedicato con una cura particolare alla formazione dei suoi discepoli, ma in fondo non è riuscito a convincerli, perché non avevano accettato ancora il vangelo.

Poi dopo la resurrezione, dopo l'incontro con Gesù risorto, è iniziato un nuovo cammino; ma un cammino che deve riprendere costantemente da capo, perché ogni generazione deve riscoprire la verità del vangelo.



Non scoraggiamoci di essere molto lontani da questo insegnamento, viceversa occorre dare testimonianza efficace del servizio, della disponibilità, della capacità di dialogo.