Commento su Giac 3,16-4,3; Mc 9,30-37
Le letture di questa domenica sono quanto mai attuali, se guardiamo la situazione internazionale, e interrogano profondamente noi cristiani: chi sono i giusti, qual è il comportamento giusto?
L'uomo sembra naturalmente portato verso l'ingiustizia e il male: san Giacomo ci elenca le ragioni della capacità dell'uomo di perseverare nel male. La sapienza che viene da Dio preferisce invece la mitezza, la sincerità e la pace, le basi per la creazione e di un mondo giusto fatto di persone giuste. Ma non è così semplice: il giusto avrà sì la serenità dell'anima ma è messo alla prova, è testata la sua capacità di sopportazione e di resistenza anche all'ingiustizia evidente e che nessuno riesce a contenere. I cristiani infatti sanno che la loro fede non è fatta solo di esteriorità, di abitudini e di riti, ma di vita vera vissuta con coerenza e profondità, che trae la forza dall'aver compreso -o almeno intuito- il messaggio: la "sapienza", "la buona novella".
Ma come si diventa giusti? Il cristiano fa fatica a distinguere le situazioni, ha bisogno di confrontarsi, di essere supportato e di capire, esattamente quanto capita ai discepoli nel brano del Vangelo. Essi ascoltano Gesù che rivela per la prima volta che cosa lo attende: Egli parla di cose elevate e prospetta un futuro di sofferenza ma di anche resurrezione. I discepoli, pervasi dalla solita logica umana, che ben conosciamo anche noi -per questo il Vangelo è sempre attuale- non capiscono che Gesù sperimenterà sulla sua pelle quanto descritto nella prima lettura, giusto fra gli aguzzini, santo fra i peccatori, Dio fra gli uomini. Invece di chiedere spiegazione iniziano a discutere su chi sia il più meritevole ("il più grande") a prendere il suo posto. Immaginiamo la delusione di Gesù! Ma con grande pazienza, profondo conoscitore dell'animo umano, riprende i discepoli e rispiega loro quale sia la logica corretta: farsi ultimi per imparare a conoscere gli ultimi e fuggire la tentazione di sopraffazione che sempre agita l'animo umano, una comunità e non una organizzazione gerarchica. E compie un passo in più: quanto piccoli devono essere i discepoli? Quanto un bambino, in cui si fondono innocenza, necessità, dipendenza dagli altri: di un ultimo, appunto. Accogliere l'altro nella propria vita come si farebbe con un bambino, come fa Dio che sempre si comporta con noi come un padre: attraverso questa esperienza possiamo avvicinarci a lui. Anche Gesù si fa ultimo e piccolo, vivendo l'esperienza più umana, la morte, ma resuscita dopo tre giorni. Egli sa che Dio sostiene sempre il giusto e che la sua ricompensa ci sarà.
Dio sta dalla parte di coloro che sanno fidarsi e vedere il mondo con occhi disincantati: guardando i nostri piccoli, mettiamoci quindi per un attimo nei panni di quel bambino e, lasciandoci "prendere in mezzo" da Gesù, abbandoniamoci all'abbraccio di Dio!
Per la riflessione personale, di coppia o in famiglia:
- Come fuggire dall'ingiustizia e dall'essere strumento dell'ingiustizia? I tempi odierni ci stanno interrogando profondamente sul senso di giustizia e di accoglienza: basta seguire un qualunque notiziario o leggere un giornale per sentire proporre al nostro cuore la domanda: chi è l'ultimo?
- Interroghiamoci sulla nostra fede: sappiamo resistere alle torture del nostro tempo, alla tentazione di distogliere lo sguardo e di non comportarci da cristiani e prima ancora da uomini e donne? Sappiamo denunciare con chiarezza ciò che è male e supportare chi si fa voce di chi non l'ha, oppure cerchiamo solo la mediazione? Crediamo che Dio possa venire in nostro soccorso, quando meno ce l'aspettiamo?
- Quando ci mettiamo a vivere con spirito di servizio l'uno verso l'altra, o verso i figli, facendoci ultimi anche in coppia o in famiglia?
- Come ci disponiamo ad accogliere una vita nuova ed indifesa, sapendo che viene da Dio e che può arricchire la nostra?
Giacomo Giuliana Mussino Torino.