Omelia (20-09-2015) |
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Settembre è un mese particolare, perché abbiamo addosso ancora il profumo delle vacanze, la voglia di essere spensierati, di non concentrarci troppo sulle cose serie... Ma siamo in buona compagnia, perché nel Vangelo di oggi scopriamo che anche gli Apostoli fanno fatica a prestare ascolto al Maestro, quando vuol fare con loro discorsi seri, impegnativi, faticosi: "Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà. Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni." Gesù ha appena preannunciato la sua morte. Ha spiegato che cosa gli accadrà: lo arresteranno, lo tortureranno, lo uccideranno. Il Maestro ha paura di ciò che lo attende e cerca di coinvolgere i suoi amici per sentirli vicini. Ma loro non capiscono. Il Rabbi ha lasciato intravedere persino la sua risurrezione: ma i Dodici non sanno di che parla. Non sembrano interessati. Tanto che appena si avviano per la strada, concentrano la loro attenzione su altro. "Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande." Quando leggo questa pagina dell'evangelista Marco, mi sento molto confortata: anche gli Apostoli facevano li stessi discorsi che si fanno tra noi! Mentre camminano, vogliono stabilire chi di loro è il più grande: cioè chi è il più capace, chi è il più bravo, chi è il migliore... forse persino chi è il preferito del Maestro! Vogliono stabilire una classifica. Assegnare il voto a ciascuno. Fare una graduatoria. Se ci pensiamo, capita spesso anche nella nostra realtà! Nello sport ci sono classifiche, continuamente aggiornate. A scuola ci danno il voto per ogni verifica, ogni interrogazione e pure sul comportamento. Tra amici, poi, c'è solo l'imbarazzo della scelta: stabilire chi è il più forte, chi è il più alto, chi veste meglio, chi è il più simpatico, chi suona meglio uno strumento musicale, chi è il più bello, chi sa fare le battute migliori... E se andiamo a mangiare fuori, ormai sono pochi quelli che non controllano quanti pallini di Tripadvisor ha ricevuto il ristorante o la pizzeria! Insomma, siamo sempre tra le classifiche. Cambiano le epoche, rispetto al tempo di Gesù, ma il bisogno di stabilire chi è il più grande, ce lo portiamo dentro ancora adesso. E i Dodici in cammino con il Rabbi di Nazareth vogliono proprio riuscire a fare la loro classifica. Chi può essere il più grande? Quello più anziano tra loro? Oppure quello che ha studiato di più? Chi proviene dalla famiglia più ricca? O chi è nato nella città più importante? In base a quale criterio si può stabilire chi è il più grande? Ne discutono strada facendo e vanno avanti a lungo, perché il percorso non è breve. Naturalmente non riescono a mettersi d'accordo ed alla fine, una volta giunti a destinazione, si sentono interpellare direttamente dal Maestro. Gesù ha camminato davanti a loro, senza unirsi alle conversazioni, che però ha udito di certo. Eppure chiede: "Di che cosa stavate discutendo lungo la via?" I Dodici ammettono sinceramente di aver discusso su chi fosse il più grande. Sicuramente il Maestro e Signore potrebbe indicare con verità chi è tra loro il più grande: lui che è Dio, conosce ogni più recondita piega della nostra anima, quindi può con certezza stabilire la più accurata delle graduatorie! Ma proprio perché è Dio, Gesù non sta al loro gioco e risponde in un modo inaspettato: "Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti." Attenzione: per prima cosa si mette seduto. Non è un gesto di poca importanza: è il segnale per chi lo ascolta, anche per noi, che in questo momento sta per dire qualcosa di importante. Che le parole che sta per pronunciare non sono una semplice conversazione, ma un insegnamento. Sta parlando come Maestro e Signore. Infatti li chiama tutti intorno a sé, perché ascoltino senza distrarsi. Cosa deve dire di così importante? "Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti." Questo è il criterio che Dio sceglie per stabilire chi è il primo: se sa servire. Se sa mettersi a servizio. Non è che servire sia proprio entusiasmante, vi pare? Ci si sporca, si suda, si sta scomodi, ci si stanca... Pensate, per esempio, ai camerieri al ristorante: per tutto il tempo in cui noi beatamente ci godiamo il buon cibo seduti a tavola, loro sono sempre in piedi. Vanno e vengono dalla cucina. Devono sopportare il caldo, vestiti nella loro divisa. Devono raccogliere i nostri piatti sporchi. E se un cliente non è soddisfatto, il primo con cui si sfoga è sempre il cameriere. Un altro esempio? A me vengono subito in mente le signore che, alla fine delle lezioni, vengono a pulire la scuola. Trovano cestini pieni di spazzatura, fazzoletti sporchi appallottolati sotto i banchi, briciole e altre delizie sparse in giro... E per non turbare il vostro stomaco, non mi soffermo a parlare dello stato terrificante in cui trovano i bagni!!! Quanto disgusto dovranno superare queste persone che sono al nostro servizio? Eppure Gesù dice che proprio dal servizio si misura la grandezza. Dalla nostra disponibilità a sporcarci le mani, a stancarci; dalla disponibilità a superare l'antipatia verso qualcuno o il disgusto verso qualcosa; dalla disponibilità a vincere la pigrizia e la voglia di mettere sempre al centro noi stessi. Servire è mettere gli altri al centro della mia vita, dei miei pensieri, del mio cuore. Essere capaci di servizio vuol dire rifare il proprio letto e tenere in ordine i propri giochi... Servire vuol dire apparecchiare, sparecchiare, portare fuori la raccolta differenziata... Servire vuol dire svolgere i nostri compiti senza farci pregare, senza farcelo ripetere mille volte... Servire vuol dire non sprecare, non sciupare, non dare per scontato tutto quello che è a nostra disposizione: a casa, a scuola, in parrocchia... Servire vuol dire avere un gesto, uno sguardo, un sorriso, per chi è lasciato da solo, per chi è messo un po' in disparte... Lo so che state pensando: tutto qui? Ce lo hai detto tante altre volte! Si tratta di fare le cose di ogni giorno! Sì, esattamente: si tratta proprio di fare le cose di ogni giorno. Perché la grandezza si costruisce ogni giorno. Portando avanti al meglio di noi le piccole cose, i gesti quotidiani, quei servizi magari noiosi o antipatici, sapendo che è esattamente quello che Dio si aspetta da noi. Allora prendiamoci un momento per pensare concretamente: in questa settimana che inizia oggi, quale servizio voglio svolgere senza protestare né brontolare, per essere come Dio si aspetta da me? Commento a cura di Daniela De Simeis |