Omelia (20-09-2015) |
don Maurizio Prandi |
Accogliere i piccoli... accogliere Dio L'autore del libro della Sapienza concede la parola ad un gruppo di malvagi i quali esprimono bene la loro filosofia di vita parlando di un giusto anonimo che viene da loro descritto e condannato senza neppure concedergli il diritto di replica o di difesa. Del resto, è questo il messaggio che l'autore del libro della Sapienza vuole trasmetterci: il sapiente non è colui che sa, che conosce tante cose, ma è colui che ha ben presente cosa sono il bene e il male e lotta per scegliere di operare il bene. Ma potremmo dire che è il giusto, con il suo stile di vita differente che incarna un sistema di valori diametralmente opposto a quello dei malvagi, a giudicarli. Il giusto è un testimone scomodo perché la sua vita, (dice il versetto 15 purtroppo omesso dalla liturgia di oggi) è troppo diversa da quella degli altri e allora i malvagi decidono di eliminarlo dopo averlo messo alla prova, pensando di raggiungere un triplice obiettivo: screditare un sistema di valori basato sulla giustizia e la correttezza, dimostrare che il giusto finisce male i suoi giorni, affermare che Dio alla fine è mosso come da una sorta di ingratitudine, perché non si occupa di lui e di quelli che come lui stanno dalla Sua parte. Certo... sembra che abbiano ragione loro, ma nel prosieguo del libro, al cap. 5 apparirà chiaro il pensiero di Dio che pone i malvagi tra due fuochi: da una parte il giudizio "muto e paziente" del giusto perseguitato e ucciso, dall'altra parte il giudizio di Dio, che parla attraverso l'autore del libro. Ci è fin troppo facile leggere in controluce, in questa prima lettura, quella che sarà la vita di Gesù. Il pensiero di Dio... lo sguardo di Dio e quello degli uomini... Ricordo che tempo fa sintetizzavo così il messaggio di fondo della liturgia della parola di questa domenica: ci vengono proposti come due sguardi, lo sguardo degli uomini e lo sguardo di Dio. Ed è quest'ultimo lo sguardo che siamo chiamati ad avere sulla nostra vita. Torno ai malvagi del libro della Sapienza il cui discorso possiamo parafrasare così: Noi abbiamo un obiettivo e quella che conta nella vita è raggiungerlo. Quello che conta è il nostro progetto e la nostra volontà. Quello che desideriamo realizzare è il nostro progetto, che deve riuscire meglio che si può, deve avere successo. Queste sono persone che desiderano vivere sopra agli altri, calpestandoli; in cima ai loro pensieri sta il loro disegno. Per portarlo a termine sono disposti a tutto, anche ad uccidere chi li scopre, chi dice la verità sulla loro vita e li smaschera. La domanda di fondo che il libro della Sapienza mi pone oggi è questa: che posto ha il progetto di Dio nella mia vita? Che cosa veramente conta per me? I miei progetti, i miei pensieri, o il pensiero di Dio? E come reagisco di fronte ai fratelli e alle sorelle che mi dicono una parola vera su di me, sulle mie scelte, sulle mie contraddizioni? Diventano una opportunità per scoprire la mia verità, per conoscermi sempre meglio oppure non li ascolto e li rifiuto? Davvero questo brano di vangelo è caratterizzato da quel doppio sguardo sulla vita del quale ho già accennato... credo sia importante sottolinearlo... Lungo la via Gesù parla ai suoi discepoli delle sue cose più importanti, della consegna della sua vita, del dono che ognuno di noi è chiamato a fare e ad essere. I discepoli no, parlano di quello che tra di loro è il più importante, il più grande, il migliore, di quello che tra di loro è il primo della classe. Ancora una volta il vangelo ci dice che di fronte allo sguardo degli uomini sulla vita, (sguardo che ha necessità di raccogliere successi, vittorie, trionfi), c'è lo sguardo di Gesù, che sempre ci parla di servizio fatto in silenzio, di umiltà, di gratuità, di totalità. Infatti dice di essere servi di tutti. Mi piace molto questo essere servi di tutti... cosa vuol dire? Vuol dire una cosa difficilissima... è necessario cambiare perché ad esempio servire un amico è più facile che servire chi mi è antipatico, o celebrare in Basilica la domenica è più gratificante magari che celebrare in una parrocchietta perduta nei monti... ecco: servi di tutti, punto. E. Ronchi scrive che la gioia degli uomini sta nel comandare, ottenere, possedere, essere i migliori, non certo essere i servi. E poi i servi di tutti, senza limiti di gruppo, di etnia, senza esclusioni, senza preferire i miei amici ai lontani, i poveri buoni ai poveri cattivi... Questi sguardi differenti possono anche essere resi più espliciti dall'icona che ci consegna il vangelo: Gesù abbracciato ad un piccolo, ad un bambino, a qualcuno che secondo la mentalità corrente non aveva ancora dignità o voce in capitolo... non era per niente stimato e lo si considerava come un essere immaturo, testardo, irragionevole, al quale si doveva applicare, senza esitazione, la frusta. Che bello Gesù abbracciato a qualcuno che non è autosufficiente, che non può proteggerti o far niente per te se non sorriderti o chiederti di essere preso in braccio in un atteggiamento di fiducia che a volte può sorprenderti... il bambino è quello dell'abbandono senza calcoli, senza doppi sensi e senza interessi. Gesù abbraccia un bambino legando a questo gesto le parole sul servizio: quale autorità puoi esercitare sui bambini se non quella del servizio e dell'umiltà? Il "bambino" è evidentemente un debole, viene preso come misura proprio perché socialmente non può farsi valere; quindi l'accoglienza del bambino è un'accoglienza gratuita, rivolta a chi è bisognoso, a chi non può pretendere nulla (D. Simonazzi). E i suoi discepoli che, poveretti, devono ancora fare un sacco di strada e prima di arrivare ad abbracciare il cammino che Gesù propone loro desiderano abbracciare il potere... ma non tutto è perduto, neanche per chi sembrerebbe mosso soltanto da una logica mondana, perché saranno loro a dirci, solo qualche anno più tardi, con le loro scelte, che la Chiesa deve interessarsi attivamente di tutte le creature indifese, di tutti gli ultimi, di tutti i "servi" sfruttati dagli altri perché sono essi i grandi per Dio, i primi del Regno. Anche la Chiesa non può vivere avendo per fine la propria grandezza, ma esiste solo come servizio per la comunione di Dio con l'umanità. |