Omelia (27-09-2015) |
don Luca Garbinetto |
Per non essere pietra d'inciampo I discepoli di Gesù sembrano piuttosto preoccupati di non avere concorrenti in campo! Sono stati chiamati a seguire il Maestro, hanno lasciato tutto per rispondere alle esigenze della sequela, sono ormai da tempo i più intimi di questo sorprendente Rabbi, la cui fama si diffonde in tutta la Palestina. Bisogna riconoscere che hanno qualche buon motivo per rivendicare un minimo di privilegio gerarchico. E di fronte a qualche altro uomo religioso, che opera prodigi, o che parla in nome di Gesù, o che risponde a qualche richiesta della gente appellandosi all'azione del Cielo, è comprensibile anche che i discepoli siano preoccupati di custodire una cosiddetta ‘ortodossia' del messaggio del Maestro. Se uno si appella al Suo nome, come minimo dovrebbe essere da Lui conosciuto o inviato. Non sono atteggiamenti strani: in fondo li viviamo anche noi, discepoli del terzo millennio, e sempre uomini. Nel nostro sincero impegno di cercare e di seguire Gesù, avvertiamo una sorta di sottile gelosia verso chi sembra seguirlo con... maggior esito e successo. Oppure ci presentiamo come ferventi difensori dei deboli, quando mettiamo in luce tutti i ‘contro' di una azione pastorale o di un progetto evangelizzatore che non è gestito da noi... rischiando di perdere di vista tutti i notevoli ‘pro'. Altro che trave dentro il nostro occhio! Che cosa è in gioco, in tutto ciò? Come mai anche nelle sante cose di Dio siamo così vittime delle più mediocri beghe di relazione? È facile rispondere e risolvere la questione ricordandoci che siamo uomini fragili e che lo resteremo sempre. Lo si dice anche della Chiesa, quando la si sente attaccata o giudicata per i dolorosi errori dei suoi membri: ‘in fondo', si dice, ‘anche i preti sono uomini, bisogna capirli!'. In un certo senso, tutto questo è vero. Ed è anche utile prevenirci dalla costante tentazione di pensarci angelicamente perfetti e intoccabili dagli istinti e dalle pulsioni della carne, allorché abbiamo intrapreso la via della conversione sulle tracce di Gesù. Ma non è utile concepire questa idea di umanità per poterci giustificare della nostra perseveranza nell'invidia, nella gelosia, nella critica e nella mormorazione. No: una certa idea accondiscendente verso il nostro peccato induce a una forma di superbia tanto sottile quanto pericolosa. È l'idea che sotto sotto ‘non cambieremo mai' perché non vogliamo cambiare. E ancora di più: è la convinzione che Dio non ci può cambiare. E dunque è un atto di profonda idolatria: idolatria di se stessi e della propria presunta inalterabilità, anche nella debolezza riconosciuta. Si tratta alla fin fine di coltivare una immagine di sé statica e dunque sbagliata, radicata in una immagine distorta anche di Dio. Gesù diviene allora un paladino dei propri comodi, se non addirittura della propria violenza, piuttosto che un Maestro da seguire, sulla via della conversione, che è la via della croce. Oggi Gesù mette in guardia i suoi discepoli, e noi fra loro, contro la tentazione di impossessarsi di Lui per farne un idolo, sotto il quale nascondere la nostra paura di cambiare e l'insistente tentativo di gestire non solo la vita nostra, ma anche quella degli altri. Di fatto, Gesù invita i suoi a spostare lo sguardo, e a purificarlo. Verso gli altri, invita a guardare con occhi di misericordia e di tenerezza, per essere capaci di cogliere anche il più piccolo gesto di amore compiuto da chiunque. Basta un bicchiere d'acqua dato a un suo discepolo, per meritare la compiacenza di Dio. Perché Dio posa il suo sguardo su ogni semplice atto di carità, senza fare i conti con l'etichetta da cui è uscito. E verso se stessi, Gesù sollecita ad avere uno sguardo altrettanto fine e delicato, nel saper cogliere i rischi sottili del nostro narcisismo. A volte basta un occhio avido, una mano violenta, un piede pauroso perché diventino una dura pietra di inciampo nel cammino del discepolo. O peggio ancora, per essere pietra di inciampo per quei piccoli che cercano la via sulla quale percorrere il cammino di Gesù. La cercano con difficoltà, la cercano feriti dalla storia, la cercano affaticati da tanti tentativi falliti: quale enorme responsabilità per il discepolo di Gesù, per il cristiano, chiamato a prostrarsi ai piedi dell'altro perché trovi aiuto e sostegno nel proprio percorso, anziché riempire la via di pietre insidiose, che possono uccidere e lapidare. Per Gesù questa finezza di spirito, che parte dalla cura della propria interiorità e si manifesta nell'instancabile testimonianza di tenerezza, vale più di qualsiasi miracolo e di qualsiasi successo pastorale. I piccoli che desiderano fidarsi di Lui trovino un compagno di strada in chi ha ascoltato la chiamata del Maestro. Questa premura di pellegrini disposti a rinunciare a sé, pur di non essere di ostacolo e impedimento ai fratelli più deboli, manifesta non soltanto il volto di una Chiesa più autentica, ma soprattutto la verità di un Dio libero e innamorato di tutti, verso il quale nessuno può rivendicare un diritto di proprietà privata. |