Omelia (27-09-2015) |
don Maurizio Prandi |
Qualcosa da tagliare Il libro dei Numeri, dal quale è tratto il brano che abbiamo ascoltato nella prima lettura, racconta il seguito e la fine dell'esodo dall'Egitto. In particolare qui ci si riferisce alla partenza degli israeliti dal monte Sinai. Il popolo comincia a lamentarsi per i disagi del viaggio e ricorda con nostalgia gli aspetti piacevoli della schiavitù egiziana, in particolare ricorda il cibo. Il percorso faticoso verso la terra sognata conosce momenti in cui emergono la stanchezza, la confusione, la presa d'atto che diventare liberi non è cosa facile e ricompare la voglia di "tornare indietro"... (già qualche settimana fa abbiamo riflettuto su questo a partire anche da un pensiero di R. Benigni sul fatto che poi in fondo restare "schiavi" ha i suoi vantaggi, le sue "comodità"...) In questo cammino Mosè comprese che era possibile procedere solo se si cresceva nella corresponsabilità. Ognuno doveva sentirsi partecipe di questa impresa. Quanto è importante questo aspetto... quanta fatica faccio e quanta fatica facciamo come chiesa. Mosè, la guida riconosciuta dal popolo, comincia qui un cammino di abbassamento... si rallegra di questo "decentramento", di questa sua "decrescita" fino al giorno in cui egli diventerà inutile, superfluo e il popolo continuerà il proprio cammino. Mosè vedrà la terra promessa solo da lontano. Dio lo conferma in questa intuizione chiedendogli di radunare settanta uomini sui quali riversare il suo Spirito: Mosè non è più l'intermediario unico e privilegiato e proprio per questo si sente più capace di fronteggiare le difficoltà, nella consapevolezza dei propri limiti e nell'affacciarsi di dubbi e domande. Che bello: è la parola di Dio che, oserei dire come sempre, viene incontro all'uomo (in questo caso Mosè) per aiutarlo nelle sue difficoltà. Ripeto... mi pare che troviamo qui un esempio di cosa sia la condivisione, di cosa sia la corresponsabilità, di cosa sia il servizio ad un popolo... non il potere per il potere ma il desiderio di perseguire un bene comune cha nasca dal condividere sogni, aspirazioni, desiderio di portare a compimento il progetto di Dio. Un'idea che papa Francesco ha ribadito con forza domenica scorsa nell'omelia della messa a L'Avana, ma anche parlando ai giovani ribadendo loro di avere e coltivare dei sogni. Sono belli i verbi dell'agire di Dio: scende, parla, prende lo Spirito, infonde lo Spirito, ma soprattutto è bello il modo dell'agire di Dio: il suo Spirito scende anche su chi non è vicino al tabernacolo, anche su chi non è davanti alla tenda. Che bello... quelli che gli uomini non vedono, Dio li vede... trovo qui un legame importante con il vangelo, con quella parola dura, difficile, che chiede di tagliare occhi, mani, piedi... Dio scende, si mette in cammino verso l'uomo... a cosa servono i nostri piedi se non per metterci in cammino verso i nostri fratelli e sorelle? Ecco... se a questo non servono, se invece di avvicinarci, con i nostri piedi ci allontaniamo, è necessario tagliare, per poter recuperarci a quell'immagine e somiglianza di Dio che scende e va incontro. Prende lo Spirito Dio... e lo posa, donandolo, sulle persone: a cosa servono le mani se non per donare, accarezzare, abbracciare, fare il bene... sui foglietti della messa di oggi c'è un bel disegno: un vangelo tenuto insieme da due mani sulle quali è scritto sapienza (conoscere ed operare il bene) e potere (servirsi degli altri per un tornaconto personale)... è soltanto tagliando via da noi l'idea che ci possiamo servire degli altri che il vangelo può giungere alle persone che lo attendono con ansia e gioia! Così gli occhi... quelli di Dio si posano anche su chi gli uomini pensano di escludere... se il mio sguardo è differente, e magari giudica secondo un'appartenenza ad un gruppo, o ad un partito, o ad una chiesa e non secondo criteri di gratuità e di bellezza, forse c'è qualcosa da cambiare, forse c'è qualcosa da tagliare. Un giovane nota con sorpresa tutto questo, che cioè lo Spirito si è posato anche su Eldad e Medad, che non erano usciti dal campo e anch'essi si mettono a profetare. Giosuè cerca di impedirlo, ma Mosè, che oramai ha capito, interviene mostrando una profonda libertà rispetto a ruoli, gelosie, volontà di gestire ciò che è sacro. Mosè ha un unico desiderio e lo esprime: che lo Spirito trasformi tutto il popolo, perché ciascuno possa lasciarsi guidare da Dio e comunicare ad altri la sua volontà. Ciò che è importante per Mosè è trasmettere l'idea che nessuno deve impedire o porre ostacoli all'azione dello Spirito. Della prima lettura mi piace sottolineare ancora questo (son le stesse cose di qualche tempo fa ma rileggendole mi piacevano e quindi le ripropongo): che gli anziani riuniti nello spazio sacro sono abilitati alla profezia, ma per un tempo (non lo fecero più in seguito) e i due che sono fuori dello spazio sacro, in mezzo alla gente, profetano più a lungo. Che bello, dalla tenda alla gente, da un luogo più ristretto (per superficie e partecipanti), ad uno spazio dove il numero delle persone e i confini sono dettati dallo Spirito! C'è una bella interpretazione, di un rabbino del dodicesimo secolo, che dice che i due che erano fuori della tenda non erano andati perché si sentivano indegni, e la loro umiltà aveva comunque attirato lo Spirito. Il Signore vede i cuori e dona il suo Spirito ai suoi eletti anche se non sono entro il confine visibile del luogo santo (Comunità di don Dossetti). E' di una importanza capitale allora quello che il Concilio Vaticano II scrive nella Gaudium et Spes: noi dobbiamo ritenere che lo Spirito santo dia a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale. Non so sinceramente quanto io creda questo, perché lo spazio che riservo al dialogo e a chi la pensa diversamente da me è davvero molto limitato. E' davvero bella l'interpretazione che dà il rabbino di questo episodio... è l'umiltà che "attira" lo Spirito, la piccolezza... ecco che allora possiamo capire meglio quello che Gesù dice riguardo ai piccoli e non dobbiamo lasciarci influenzare dal fatto che domenica scorsa Gesù abbia abbracciato un bambino e tirare delle conclusioni affrettate. Gesù qui non si riferisce ai bambini... il Vangelo, anche attraverso il linguaggio cruento della pietra appesa al collo, allarga, e di molto il monito: c'è un invito severo a non creare ostacoli ai più piccoli della società, ai più piccoli in ogni contesto. Forse si tratta di ricordarlo ogni giorno, di riprendere sempre il discorso dal principio, di rivedere sempre le nostre relazioni, di non dare mai per scontato che siamo (o dovremmo essere!) dalla parte dei più deboli. Forse si tratta di diventare piccoli come quei due che non erano davanti al tabernacolo quel giorno nel deserto, per non mettere bastoni sulla strada degli ultimi e delle ultime... la parola di Dio di questa domenica ancora una volta ci richiama, come chiesa, a non far cadere nulla dall'alto. E' il senso di quanto il papa ha proposto nell'omelia all'Avana sette giorni fa: avere una cura speciale per tutte le fragilità (i piccoli sono i fragili...). Servire significa, in gran parte, aver cura delle fragilità. Servire significa aver cura di coloro che sono fragili nelle nostre famiglie, nella nostra società, nel nostro popolo. Sono i volti sofferenti, indifesi e afflitti che Gesù propone di guardare ed invita concretamente ad amare. Amore che si concretizza in azioni e in decisioni... sono persone in carne ed ossa, con la loro vita, la loro storia e specialmente la loro fragilità, che Gesù ci invita a difendere, ad assistere, a servire. Il cristiano, aggiunge poi papa Francesco, davanti allo sguardo dei più fragili deve mettere da parte le sue esigenze, le sue aspettative, i suoi desideri di onnipotenza... possiamo quindi, con frutto, riprendere in mano in questa settimana anche la lettera di Giacomo della quale oggi ci viene proposto l'ultimo brano... lettera che ho colpevolmente trascurato nei commenti e che, ricordo, ci sprona alla concretezza: ad una fede che per Giacomo è solo una dottrina teorica, (si rivolge ad una comunità che intende così la fede e che già cominciava a nascondersi dietro complessi ragionamenti teologici che poi impedivano la cosa più importante: la conoscenza di Gesù e l'amicizia con lui), tutta di testa e che per questo non ha influssi sulla vita pratica, contrappone le opere della carità cristiana, necessarie come segno di una salvezza ricevuta... è la gratitudine per essere stati oggetto della misericordia di Dio, è una vita nuova che comincia! All'inizio di un nuovo anno pastorale possiamo chiedere questa grazia a Dio per mezzo della Vergine Maria che ogni anno veneriamo qui al santuario di Montallegro: ogni giorno della nostra vita far cadere tutti quegli atteggiamenti che ci impediscono di essere in sintonia con i più "piccoli", con i più fragili. |