Omelia (04-10-2015) |
padre Antonio Rungi |
La solitudine che fa male ad ogni uomo che non sa amare La liturgia della parola di Dio di questa XXVII domenica del tempo ordinario ci impegna a fare una seria riflessione e un sincero discernimento sul valore della famiglia, nell'ambito della Sacra Scrittura, alla luce dei testi biblici e soprattutto dell'insegnamento di Gesù sul matrimonio e la famiglia. Oggi tutto è rivolto a dare una significativa rilevanza al matrimonio, alla famiglia, alla vita di coppia, al superamento di ogni solitudine esistenziale che fa male a tutti gli uomini della terra che non sanno amare o non si fanno amare. Infatti, siamo venuti al mondo per un atto d'amore di due persone: padre e madre e all'origine di ogni vita umana c'è una scelta che fa la coppia in ordine alla procreazione responsabile. Suonano forte e di grande invito all'amore le parole della Genesi che oggi ascoltiamo nel brano della prima lettura: «Non è bene che l'uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Capire che non è bene, secondo il progetto di Dio che l'uomo viva nella solitudine è un passo verso l'accettazione del matrimonio, tra maschio e femmina, come un fatto naturale e non biologico. La solitudine è innaturale, ma la coppia e la relazione umana e affettiva sono naturali, quando sono finalizzate alla trasmissione della vita. Tutto questo rientra nell'atto creativo di Dio, che è amore, è comunione, è relazione e non affatto solitudine. Pari dignità dell'uomo e della donna che, una volta compreso che è possibile vivere in comunione, è possibile sperimentare il vero amore, essi procedono nella direzione della vita coniugale e nella via del matrimonio benedetto e consacrato da Dio. Lasciare la famiglia d'origine e costituire una nuova famiglia, risponde al progetto di Dio, alla chiamata di Dio. Il matrimonio quindi entra tra le vocazioni esclusive che una coppia possa sperimentare su questa terra. Tutte le altre chiamate hanno una specificità soggettiva. Nel matrimonio la chiamata è rivolta ad entrambi i coniugi che la devono condividere e poi vivere per tutta la vita. In questa logica della fedeltà, della chiamata-risposta dei coniugi ad una vita di vera comunione tra loro, non si comprende il perché si vuole rompere il vincolo santo del matrimonio, accedendo alla separazione e poi al divorzio. Nel testo del Vangelo di oggi, tratto dall'Evangelista Marco, da Gesù stesso ha affrontato questo argomento ed è Lui stesso a dare una risposta certa e definitiva, davanti alla durezza del cuore di quanti hanno deciso di rompere il sacro vincolo del matrimonio e divorziare. Penso che sia chiara la parola di Gesù al riguardo. Non ammette eccezioni, né si può interpretarla diversamente e magari adattarla alla cultura di oggi, che vede il matrimonio come un peso e il divorzio come una liberazione. Gesù chiede ai coniugi che hanno scelto liberamente di fare un cammino insieme di santità di non abbandonare mai questa strada che santifica di fatto, se è vissuta nella consapevolezza delle proprie responsabilità coniugali. Non a caso Gesù, accentua la sua prima affermazione sul divorzio, affermando, nei versetti successivi del brano del Vangelo di Marco e dice con maggior forza: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio». Il peccato di adulterio è una cosa gravissima nella morale cristiana. Da questo peccato ci si può allontanare se si ritorna, pentiti e convinti, di vivere nella fedeltà alla parola data all'altra metà della propria vita, senza finzioni o mal sopportazioni vicendevoli, in quanto la tomba del matrimonio è l'ipocrisia e la falsità. Dobbiamo apprendere, anche in questo ambito della vita umana e relazionale, quanto ci dice Gesù, nei versetti finali del brano del vangelo di questa domenica, in cui si narra del bellissimo rapporto umano, spirituale e pastore che i bambini sperimentano vicino a Gesù con la semplicità della loro vita, con la loro innocenza e con la loro sincerità e spontaneità. Se si può parlare di un vangelo della famiglia o familiare, questo brano lo focalizza in modo speciale. Lo stile di Cristo, mite ed umile di cuore, deve essere lo stile di vita di ogni ministro dell'altare, di ogni sacerdote. Questo stile è esplicitato nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla Lettera agli Ebrei. E' in Cristo Gesù che trova valore e consistenza la nostra stessa esistenza terrena. Senza illuderci o illudere, facciamo della nostra, breve o lunga, vita su questa terra, un segno di infinito amore da parte di Dio nei nostri confronti, amando chi il Signore ha posto a nostro canto. Perciò eleviamo la nostra preghiera al Signore in questo giorno di festa che, come tutte le domeniche, oltre ad essere il giorno del Signore è il giorno di ogni famiglia e di tutte le famiglie, specie di quelle che sono in difficoltà e disagio: Dio, che hai creato l'uomo e la donna, perché i due siano una vita sola, principio dell'armonia libera e necessaria che si realizza nell'amore; per opera del tuo Spirito riporta i figli di Adamo alla santità delle prime origini, e dona loro un cuore fedele, perché nessun potere umano osi dividere ciò che tu stesso hai unito. Amen. |