Omelia (04-10-2015) |
fr. Massimo Rossi |
Commento su Marco 10,2-16 Il Vangelo di oggi ci offre un bel po' di elementi sui quali riflettere: la pagina di Marco, molto famosa, presenta in poche righe l'insegnamento di Gesù sull'indissolubilità del matrimonio: in questa materia il Signore innova, rispetto alla Legge di Mosè, la regolamentazione sulle unioni matrimoniali: non abroga formalmente l'istituto del ripudio - non ne avrebbe avuto il potere -, ma dichiara che colui il quale ripudia il partner e ne sposa un altro si rende colpevole di adulterio, anche se ha la legge dalla sua parte. È un caso clamoroso di divergenza della legge umana dalla Legge divina. Il fatto era, il fatto è ancor più clamoroso, se consideriamo che Israele vantava di avere Dio come legislatore. Anche Matteo riporta lo stesso insegnamento, prevedendo però un'eccezione per la quale il ripudio sarebbe consentito anche da Gesù: è il caso di concubinato - cosiddetto inciso matteano: cap.5, v.31 -: ai tempi di Gesù l'unione matrimoniale tra consanguinei, in greco porneia, veniva chiamata ‘concubinato'. In concreto: nel caso in cui, tra marito e moglie, esistessero i vincoli di parentela elencati nel libro del Levitico (18,16-18), il marito aveva il dovere di ripudiare la moglie. Anche negli Atti degli Apostoli (15,28-29) si parla di porneia, con lo stesso significato. La legislazione cristiana recepiva quella ebraica, e considerava illegittima, dunque da sciogliere, l'unione matrimoniale tra consanguinei. Prima e più che la differenza sessuale tra uomo e donna, i valori che il Vangelo odierno canonizza sono la fedeltà e l'indissolubilità dell'unione more uxorio tra i due partners. Inoltre precisa anche che la colpa grave, il peccato di adulterio, non consiste nella rottura del rapporto matrimoniale, ma nella nuova unione, more uxorio, con una terza persona. La questione del ripudio, o del divorzio, non è una novità degli ultimi cinque secoli - motivo ufficiale della rottura tra il Papa e il Re d'Inghilterra -, ma è sempre stata al centro dell'attenzione della Chiesa. La Chiesa conosce bene il tormento dei suoi figli e lo segue da vicino, anche se in taluni momenti è sembrata insensibile al dolore di coloro che, subìto il divorzio, si vedono anche condannati ad una vita di castità per il resto dei loro giorni, quale condizione per ricevere i sacramenti. L'introduzione di eccezioni alle sanzioni canoniche contro i divorziati conviventi (con altra persona), o risposati, era già presente ai tempi di Gesù; perché non dovrebbero essere riconosciute anche oggi? Il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia rappresenta un momento delicato, importante per la Chiesa italiana; speriamo che segni un passo avanti nel cammino della riflessione morale, ma soprattutto nel ministero pastorale. Il vero peso della questione è sulle spalle dei sacerdoti che incontrano i divorziati conviventi, o risposati; i quali (sacerdoti) devono decidere se applicare con assoluto rigore le norme vigenti, dicendo cioè NO alla confessione e all'eucaristia (ai divorziati conviventi/risposati); oppure disobbedire, ricorrendo alla cosiddette soluzioni pastorali: in sostanza, il sacerdote valuta discrezionalmente le eccezioni in e si assume la responsabilità di amministrare i sacramenti, anche quando la legge generale non lo consente... La responsabilità dei preti che ricorrono alle soluzioni pastorali non è meno pesante e gravosa rispetto alla carenza - ingiusta? - patita dai divorziati conviventi/risposati, ‘colpevoli' di aver dovuto sopportare un divorzio che non volevano. L'ulteriore obbligo dell'astinenza sessuale e il divieto di ogni nuova relazione, che non sia l'amicizia, costituisce per questi ultimi una condizione talora troppo gravosa, per poter ricevere i sacramenti. La questione rimane aperta, la riflessione continua; resta la speranza in una maggiore attenzione ai singoli casi, con l'introduzione di alcuni ‘distinguo' rispetto alla normativa generale.
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