Omelia (11-10-2015) |
fr. Massimo Rossi |
Commento su Marco 10,17-30 La prima lettura individua una relazione stretta tra la prudenza e la sapienza, quasi che la sapienza coincidesse con la prudenza. In verità, se non identiche, le due virtù sono particolarmente correlate, pur con le proprie qualità specifiche. E possiamo tranquillamente dichiarare che la persona prudente, nel senso vero del termine, è certamente una persona sapiente. Si può avere tutto dalla vita: soldi, carriera, successo, amori... Ma non per questo si è sapienti. Al contrario, chi è sapiente ha tutto, nulla più gli manca. Le ricchezze di questo mondo sono qualcosa di esterno a noi, e resteranno sempre fuori di noi. La sapienza, invece, è una virtù, è qualcosa di intimo, di interiore, di profondamente nostro. Il ricco ha molte più probabilità di inorgoglirsi; il sapiente, invece, quello vero, non ha motivo di inorgoglirsi, perché sa che la sapienza è un dono di Dio; diversamente, non sarebbe sapiente, ma saccente; la sua virtù non sarebbe perfetta; anzi, non sarebbe neppure una virtù... casomai un vizio; tutto ciò che suscita orgoglio è già vizio. Il sapiente non ha alcun bisogno di ostentare le sue doti: la sapienza, quella vera, non si ostenta, si ostende, si mostra da sé. Perché oggetto della sapienza è la verità e la verità non si ostenta, si ostende, si mostra da sé...prima o poi. Che c'entra tutto questo con il Vangelo? C'entra eccome! Quel tale che incontra Gesù e gli domanda che cosa debba fare per avere in eredità la vita eterna, è già in cammino per raggiungere la sapienza. La fede ci conduce per mano nella nostra riflessione e ci porta ancora più lontano: per fede noi crediamo che la vera sapienza è Cristo. Il Figlio di Dio lo dichiarò esplicitamente ai Dodici, durante la cena di addio: "Io sono la via, la verità e la vita!" (Gv 14,6). Conoscere la Verità è sapienza perfetta. Seguire Cristo, conoscere Cristo è sapienza perfetta. Lo ripeto: nulla è più importante in questo mondo; pur di guadagnare Cristo, vale la pena lasciare tutto, donare tutto...anche la vita; visto che, a proposito di vita, Cristo è la vita! Interessante il dialogo tra Gesù e il tale: la tentazione di ogni uomo per bene è quella di chiedere che cosa debba fare per guadagnarsi la vita eterna: ogni uomo per bene - ma anche la donna! - ha un solo chiodo fisso, un solo tormento, un solo fine: comportarsi in maniera moralmente irreprensibile; l'attenzione è rivolta agli atti umani: ciò che si deve, o non deve fare, per essere appunto irreprensibili dal punto di vista morale. "Osserva i comandamenti!", gli risponde Gesù, e tira avanti per la sua strada. Del resto, Gesù non è venuto per inaugurare una nuova morale, una morale alternativa. La morale c'era già; chi è interessato esclusivamente alla morale, basta che osservi il Decalogo, sempre che ci riesca da solo.... Peccato che all'uomo per bene, all'uomo moralmente irreprensibile - ammesso che si possa essere moralmente irreprensibili - manca qualcosa... E quel tale del Vangelo lo sa. Tra l'irreprensibilità (morale) e la perfezione cristiana ci sta appunto la famosa differenza cristiana, la fede. Ecco, il Verbo si è fatto carne per insegnarci che non è sufficiente osservare i Comandamenti. Per entrare nel Regno dei Cieli è necessario credere in Lui. Anche il Vangelo di Giovanni, conferma al grande novità cristiana; nel famoso discorso sul pane di vita, alla domanda: "Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?", il Signore risponde: "Questa è l'opera di Dio: credere in colui che Egli ha mandato." (Gv 6, 28-29). Ma ecco il problema: siamo in grado di raggiungere, da soli, questa perfezione, aderendo alla fede? Sembra di no; da soli non ce la facciamo, è troppo grande la seduzione che il mondo esercita sulla nostra concupiscienza. Non intendo solo l'attaccamento ai beni materiali; francamente non credo che sia questo l'unico, vero ostacolo alla fede piena. Penso piuttosto agli affetti personali. C'è qualcosa che va oltre il possesso che fa di noi dei materialoni, destinati alla solitudine in questa vita, ma anche in quella eterna... Sarà che il sottoscritto non ha mai posseduto né soldi, né altre ricchezze materiali... Stento a concepire che si possa attaccare il cuore ai beni di questo mondo; piuttosto ci si può legare in modo esagerato alle persone, con la mente, con il corpo e anche con l'anima. Tuttavia il Vangelo di oggi mette proprio in guardia dall'esagerato attaccamento alla ricchezza. Il Signore dedica molti dei suoi insegnamenti alla custodia del cuore dalle insidie dell'accumular tesori sulla terra: "Là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore." (cfr. Mt 6,199ss.) La tristezza che si intuisce sul volto del (giovane) interlocutore di Gesù è il sintomo che la ricchezza di questo mondo rende inevitabilmente schiavi, perennemente scontenti, affamati di nuova ricchezza, inquieti per l'assillo di doverla amministrare, diffidenti verso gli altri a cui la nostra ricchezza fa gola... Insomma, un problema a tutto tondo! Un filosofo che andava per la maggiore qualche anno fa, Zygmunt Bauman, è autore del famoso saggio "L'arte della Vita" (edito in Italia da Laterza), ove commenta il risultato di un sondaggio fatto in America su che cosa pensa la gente dell'equivalenza ricchezza-felicità. Ebbene, questo sondaggio aveva clamorosamente smentito l'ipotesi che la ricchezza fosse sinonimo di felicità. Beh, noi credenti in Cristo non abbiamo certo bisogno di sondaggi d'opinione, e neppure che l'illustre filosofo Bauman ne dia il pur doveroso risalto... Noi cristiani sappiamo che soltanto la fede nelle Verità rivelate dal Signore in parole e opere possono farci intravedere la felicità. La intravediamo soltanto... quanto basta per alimentare il desiderio del Cielo. E qui mi fermo, per evitare di scadere nella retorica religiosa, tanto diffusa nei nostri ambienti cattolici in genere, clericali e suoreschi in specie. La speranza - e più che una speranza! - è che Dio compie in noi ciò che a noi non è possibile portare a compimento Anche questo era, anche questo è necessario saperlo. E il Figlio di Dio ce l'ha rivelato, durante la sua breve vita pubblica, ma soprattutto dall'alto della croce: "Padre, nelle tua mani affido il mio spirito". |