Omelia (11-10-2015) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Il cristiano uomo del "magis" Salomone considera la sapienza come il dono più apprezzabile e perseguibile, che messo a raffronto con tutti gli altri risulta molto più prezioso. E' risaputo anche ai nostri giorni che ci sono cose molto più importanti dell'oro e del denaro, come la salute, i valori e le qualità personali, ma a dire di questo monarca ciò che sovrasta per intero ogni cosa è appunto la sapienza. Il dono per eccellenza, che ci fa scrutare ogni cosa con gli occhi stessi di Dio, che ci consente di interpretare gli eventi e le situazioni secondo il volere del Signore e di conseguenza sotto questa stessa ottica ci fa anche prendere decisioni e assumere atteggiamenti secondo la stessa ottica. Il dono della sapienza ci viene elargito a piene mani da Dio, ma non con altrettanta premura noi siamo disposti ad individuarlo e ad esercitarlo nelle nostre situazioni quotidiane, quando esso ci può essere d'aiuto nelle difficoltà, nelle indecisioni e nelle perplessità. La Sapienza ci aiuta anche ad adottare l'atteggiamento più adeguato anche nella stessa vita secondo Dio, che è sempre finalizzata al bene di noi stessi e degli altri. Secondo la Sapienza per esempio l'uomo è infelice finché non supera se stesso valicando i propri confini e andando oltre all'ordinarietà. Non che dobbiamo sentirci onnipotenti e presuntuosi di grandezza e di autoaffermazione, non che dobbiamo esaltarci più del dovuto, ma è nel nostro stesso interesse e comunque volontà di Dio uscire dalla mediocrità e dalla pochezza che tante volte ci caratterizza, superarci nell'apatia e nella neghittosità per cui ci accontentiamo di fare solo il sufficiente e non lo straordinario. La vita cristiana dovrebbe in effetti distinguerci per particolarità di eroismo e di eccezionalità rispetto agli altri e dovrebbe renderci di richiamo agli altri quanto ad esemplarità e trasparenza. Ragion per cui non è sufficiente fare il proprio dovere, ma occorre farlo con amore e dedizione, accettando anche di fare qualcosa in più rispetto a ciò che ci si chiede. Già Democrito nell'antichità diceva poi che "il bene non sta nel non commettere ingiustizie, ma nel non volerle"; ma Gesù ci insegna che il bene consiste, oltre che non commettere alcun male, anche e soprattutto nell'amare di cuore gli altri senza distinzioni, avendo attenzione anche per i nostri nemici: "Pregate per coloro che vi perseguitano"; "fate del bene a coloro che vi fanno del male". Dalla Sapienza deriva quindi la capacità di autotrascenderci e di superarci fino all'eroismo e alla consumazione di noi stessi e ciò che si esercita con fatica e immolazione diventerà causa di gioia e di autoaffermazione. Nella sua volontà la nostra pace, scriveva Dante. Credo che sia questo innanzitutto l'insegnamento di Gesù nell'incontro con il giovane ricco che, deluso dalla proposta del Signore, se ne allontana perché timoroso di perdere i propri beni: certamente in lui è lodevole il fatto che abbia sempre osservato le leggi comuni fin dalla sua prima infanzia e che abbia adempiuto con abnegazione e costanza ai propri doveri. In lui c'è sempre stata una grande propensione alla buona volontà e alla puntualità nel bene, forse anche per educazione familiare e per questo merita in ogni caso che Gesù lo guardi con amore. Tuttavia questo non è sufficiente: proprio perché lui ha una radice consolidate nei suoi doveri, è pronto e predisposto per le cose più importanti, può benissimo "uscire dai suoi ambiti abituali" e pertanto fare qualcosa di straordinario, che in questo caso riguarda la rinuncia ai beni personali a vantaggio dei poveri per la conquista del Regno. Il brano qui descritto viene di solito sfruttato per le catechesi vocazionali in ordine alla scelta del sacerdozio o della vita consacrata e in effetti in tal senso è il brano più appropriato perché nella scelta di speciale consacrazione quale quella intrapresa da sacerdoti e religiosi si intraprende inevitabilmente un itinerario di vita che impone molto coraggio e decisione: la rinuncia alla proprietà privata, alla propria libertà personale, agli affetti coniugali e della famiglia, alle proprie comodità e al vantaggio personale per la causa di Dio e di Gesù su Figlio, da scegliere in modo esclusivo, senza rimpianti e deliberatamente. Ciò nonostante il brano è di richiamo a tutti i i cristiani poiché siffatte rinunce a vantaggio di Gesù Cristo in un modo o nell'altro ci riguardano tutti, e principalmente è indispensabile in ogni caso la scelta di fuggire l'insufficienza e la banalità. Come diceva un sacerdote che ho avuto modo di incontrare il cristiano è l'uomo del "magis", cioè del "di più", che non si accontenta semplicemente di fare l'indispensabile, ma che ambisce a fare anche quello che altri non farebbero o che rimanderebbero a domani. Il "magis" che ci viene sovente chiesto ma che con troppa facilità siamo soliti eludere e disattendere è soprattutto quello dell'eroismo nel dare, della carità sincera e operosa e della disponibilità alla rinuncia sacrificata per amore degli altri. Similmente a quello che avviene in questo giovane benestante, nella maggior parte dei casi non vogliamo rinunciare alle nostre garantite e consolidate sicurezze e siamo disposti a dare agli altri solo quando abbiamo messo al sicuro noi stessi e i nostri forzieri. Solitamente ci protendiamo verso il prossimo quando ci siamo costruiti una solida base economica e in ogni caso quando il donare agli altri non comporta per noi particolari rinunce. E di conseguenza la generosità non mai cristiana, visto che si limita alla perdita del superfluo e non comporta nulla della nostra abnegazione effettiva. La richiesta del "magis" da parte di Gesù riguarda invece la capacità di perdere perfino noi stessi per donarci interamente agli altri e di essere disposti a "costruirci averi nel Cielo" donando ai poveri quelli acquisiti su questa terra, ovvero di privarci delle succitate sicurezze a volte effimere e banali per guadagnare solamente Cristo. |