Omelia (11-10-2015)
Michele Antonio Corona


Il terzo annunzio della passione (10,32-43) è immediatamente preceduto da questa breve sezione presentata nel vangelo liturgico. Apparentemente essa sembra concentrarsi sul rapporto con le ricchezze e la raccomandazione a fuggire dalla tentazione del possesso spasmodico e dalla cupidigia alienante. La buona notizia sottesa in questi versetti è molto più liberante di quanto lo sia l'utopia di vivere senza nessuna proprietà e senza legami.

Il contesto del brano è ancora segnato dal "camminare per la strada". Essa non è solo il luogo fisico dell'avvicinamento a Gerusalemme, ma è simbolo della vita quotidiana, delle relazioni, dell'incontro, del discrimine tra rifiuto e accoglienza. In questo percorso Gesù incontro significativamente due persone, due uomini: il ricco e Bartimeo. Il primo se ne va via triste, scegliendo di non seguire il Maestro sulla via; il secondo, riacquistata la vista come dono per la sua fede, lo segue per via. All'interno di questi due incontri si situa la seconda parte del brano evangelico.

La domanda lapidaria e scoraggiata dei discepoli potrebbe essere considerata la chiave di volta dell'intera pagina evangelica e lo spettro per comprendere anche il motivo del rifiuto del ricco: "E chi può salvarsi?" (v. 26). La logica totalmente sballata dei discepoli è ciò che rende la sequela da difficile a impossibile. Il paradosso del cammello e della cruna dell'ago, variamente interpretato fin dall'antichità, rivela l'assurda pretesa di potersi salvare da soli, di poter guadagnare la vita eterna attraverso la pratica legalistica dei comandamenti. Il tale che si presenta a Gesù cerca la ricetta decisiva, il segreto nascosto per potersi sentire salvo. È carico di beni, forse sovraccarico, e non riesce ad andare oltre, a superare quella cruna d'ago per poter entrare nel nuovo ordine del vangelo. Gesù lo invita a andare e vendere. L'immagine del cammello (carico di beni) è molto vivida se paragonata a quel tale che dalle molte ricchezze è attanagliato. Sembra quasi che non sia lui a possederle, ma esse posseggono lui e lo bloccano. Gesù incrocia il suo sguardo e gli rivolge la parola decisiva: va' e vendi, poi, vieni e seguimi. Il Maestro buono lo invita a liberarsi dall'oppressione, lo vuole rendere padrone delle sue ricchezze e non schiavo. Solo con la decisione di rimettere i beni al piano loro destinato, chi li possiede può essere libero. La critica di Gesù non è al denaro in sé, alle ricchezze, ma a coloro che da esse si fanno accalappiare e vivono una vita da schiavi. I discepoli rimangono sbigottiti di fronte alla radicalità della parola di Gesù e del vangelo.

Gli Atti degli apostoli mostrano le diverse idee sulla povertà e condivisione dei beni presenti nelle prime comunità cristiane. Nei racconti evangelici Gesù non denuncia chi possiede, non allontana le persone ricche, ma aiuta a ricomprendere le giuste misure del rapporto fraterno e con Dio. I comandamenti citati da Gesù riguardano solo la sfera comunitaria e non viene citata nessuna norma riguardante Dio. Il Padre è onorato già all'interno di un corretto rapporto umano; il volto del Maestro che guarda ed ama colui che lo interroga ne è l'immagine plastica più pregnante. Gesù non discrimina chi è ricco, né condanna a priori una qualche categoria di persone: salvarsi è impossibile agli uomini!

E allora? È necessario cambiare la prospettiva dal "salvarsi" ad "essere salvati". È fondamentale riconoscere la dimensione del dono totale e gratuito di Dio, senza cadere nella tentazione di guadagnare la vita eterna come si è fatto coi beni posseduti. "Quanto è difficile per coloro che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio!". Certo che è impossibile se si ritiene di potervi entrare con la stessa dinamica del guadagno e del possesso. L'osservazione finale di Pietro provoca la risposta risolutiva di Gesù. Chi ha lasciato tutto e seguito il Maestro riceve il centuplo insieme a persecuzioni. Non si presenta un'assicurazione sulla vita né un tasso di interesse molto conveniente, ma si evidenzia quanto diventi ossigenante l'apertura al dono di Dio. È notevolmente interessante notare che Gesù non promette beni in un tempo futuro e procrastinabile, ma "già ora". E questo non è detto ad una piccola cerchia elitaria di persone, ma a tutti coloro che lasciano tutto per seguirlo, per stargli dietro nella via verso Gerusalemme. Il discorso è mirato alla croce, al dono totale di sé, alla volontaria e generosa condivisione della sorte del Maestro che non rifiuta di passare per la strettoia della croce per giungere alla vita. Egli stesso nella croce lascia tutto, abbandona tutto e rimane spoglio per poter abbracciare meglio la gioia della vita eterna.