Omelia (11-10-2015) |
don Alberto Brignoli |
Dio sta forse nella ricchezza? Ultimamente, a Gesù sembra non andargliene bene neppure una. Le incomprensioni con i capi del popolo e con le autorità religiose del suo tempo non ci hanno mai stupito più di tanto, fanno parte un po' del gioco: la religiosità che Gesù propone è totalmente differente rispetto a quella della tradizione giudaica, su molti aspetti. Dal modo di interpretare il sabato, alle idee sul matrimonio e sull'uguaglianza uomo-donna, fino a giungere al tema della ricchezza ascoltato oggi, il Vangelo di Gesù sconvolge - e non di poco - le certezze della fede giudaica. Ci aspetteremmo una maggior comprensione nei suoi confronti quantomeno dai suoi discepoli, che conoscendone il pensiero dovrebbero rappresentare il suo principale promotore e difensore. Invece - lo abbiamo visto a più riprese nella Liturgia della Parola delle scorse domeniche - pare proprio che i suoi discepoli facciano molta fatica ad accettare il messaggio di Gesù, soprattutto quello riguardante la sua funzione di Messia. I discepoli speravano che stare a fianco del Messia significasse l'opportunità di ricevere una certa importanza e pure un pizzico di autorità nel Regno di Dio che stava per venire; e invece, per essere importanti nel Regno di Dio occorre farsi insignificanti, umili, poveri, bambini, privi di ogni aspirazione al comando, attenti e disponibili al servizio. Gesù, per realizzare la sua idea di Regno, non può certo fidarsi di persone così, proprio ora che sta camminando in maniera decisa verso Gerusalemme. Se ogni tanto saltasse fuori qualcuno un po' capace, desideroso di andare a fondo nella comprensione del suo messaggio, pronto anche a qualche passo un po' "radicale", attento all'essenzialità del rapporto con Dio più che all'osservanza delle tradizioni e della Legge di Mosè...beh, diciamo che a Gesù non dispiacerebbe affatto. E oggi sembra incontrare proprio quello che fa al caso suo: un tale - siamo abituati a considerarlo un giovane, ma non è detto che lo sia - che si presenta a Gesù con un affanno, con un'angoscia, talmente importante da risolvere che si getta in ginocchio davanti a lui, come fanno molti personaggi del vangelo quando vogliono ottenere una guarigione miracolosa da parte del Maestro. Anche questo tale è malato. Malato di perfezione, ma non solo: malato di desiderio di possedere, di avere tutto. Era talmente ricco (Marco stesso ce lo rivela più avanti) che l'unica cosa che gli mancava da ereditare era addirittura "la vita eterna". E stando alla mentalità corrente del pio ebreo (e anche dei discepoli di Gesù), le ricchezze con cui Dio lo aveva benedetto e ricolmato erano il segno evidente che ormai gli mancava poco per essere perfetto; per cui, va da Gesù a riversargli addosso la sua angoscia, ossia sapere "che cosa deve fare per avere in eredità la vita eterna". Gesù agisce con estrema scaltrezza. I comandamenti - alla cui osservanza lo rimanda - chiedevano prima di tutto di amare Dio con tutto il cuore e con tutta la mente, e successivamente il prossimo attraverso il rispetto dell'altro. Ma a quanto pare, quest'uomo non ha bisogno che gli venga detto cosa deve fare con Dio, perché le ricchezze che possiede sono per lui il segno che Dio è già stato buono con lui (e glielo ricorda, "solo Dio è buono"). Ereditare la vita eterna significa amare Dio attraverso l'amore e il rispetto per il prossimo: "Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre". E per non farsi mancare proprio nulla, Gesù gli ricorda un altro precetto, che non fa parte dei dieci comandamenti, "non frodare", ossia non negare il giusto salario all'operaio...a un ricco vale la pena sempre ricordare questa cosa. Ma qui, stavolta, abbiamo uno che ha tutto e ha già fatto tutto: a lui manca solo la vita eterna. Nemmeno l'osservanza dei comandamenti gli basta: vuole di più! Gesù si accorge di avere davanti a sé il discepolo ideale, ma conoscendo già come sarebbe andata a finire, non può che fissarlo con uno sguardo d'amore, tra l'affettuoso e il compassionevole. E visto che costui vuole sapere cosa gli manca, sferra l'affondo decisivo: "Va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo. E vieni, seguimi!". Come a dire: la via della perfezione non è questione di cose da fare o da osservare, ma consiste nel creare con Dio un rapporto di totale fiducia e abbandono, basato sulla rinuncia totale alle proprie sicurezze, anche a quelle che - come le ricchezze e i beni materiali - siamo convinti che siano opera di Dio e segno della sua benevolenza, una specie di condizione necessaria per raggiungere la perfezione. E invece, non è così, anzi: è l'esatto contrario. Le ricchezze trattenute per sé non sono la via, ma l'ostacolo alla vita eterna. Beh, a questo punto è inutile seguire il Maestro... A questo punto, tutto ciò in cui abbiamo confidato come segno evidente della presenza di Dio nella nostra vita, come segno della sua benedizione, non conta nulla! A questo punto...non si salva più nessuno! Se nemmeno il ricco (l'uomo da sempre benedetto da Dio) riesce a entrare nel Regno di Dio, nessuno più può salvarsi, e i fondamenti della fede crollano! Da qui, lo stupore dei discepoli ribadito per ben due volte da Marco. Gesù cerca di dare loro coraggio, per cui li guarda in faccia e fa capire loro che Dio può tutto, anche ciò che gli uomini non possono, per cui può addirittura trasformare un ricco avaro che tiene tutto per sé, in un signore che ciò che possiede lo dona ai più poveri. In questo modo, l'accesso al Regno di Dio è assicurato. Non bisogna trattenere per sé ciò che si ha, benedicendo Dio per quello che ci ha dato: tanto o poco che sia, ciò che abbiamo va condiviso con chi non ha nulla, perché amare Dio e dimenticarsi del prossimo non può fare parte del DNA del cristiano. Gesù è rimasto deluso anche stavolta: si aspettava un nuovo discepolo, si è ritrovato un ricco avido e scontento che ha preferito continuare a credere nel Dio dell'abbondanza. Ma quel Dio lì non è certo quello appeso all'albero della croce. |