Omelia (11-10-2015) |
don Luciano Cantini |
Avvolti dal suo sguardo Fissò lo sguardo su di lui Lo sguardo di Gesù si fissa su quel tale. Quante volte nei vangeli incontriamo quello sguardo, è uno sguardo che cerca (Mc 5,32), coinvolge (Mc 3,34), che si indigna (Mc 3,5), invoca (Mc 7,34), rimprovera (Mc 8,33), osserva (Mc 11,11). Qui Marco ci regala il senso profondo dello sguardo di Gesù che sembra non volersi staccare da quell'uomo, uno sguardo colmo d'amore. Questo sguardo sta nel bel mezzo tra il dialogo e la proposta finale. Quel dialogo inizia con una richiesta, quella di avere la vita eterna e di sapere cosa fare mentre esprime i limiti di una religiosità basata sull'osservanza. La proposta è quella di lasciar perdere ogni cosa per seguire il Signore. Ecco, nel mezzo Marco pone la profondità dello sguardo del Signore che fa da spartiacque tra la richiesta e la proposta, introduce una dimensione totalmente nuova tra il bisogno di fare e il diventare discepoli: la comunione. Uno sguardo che ci porta su, mai ti lascia lì, eh?, mai. Mai ti abbassa, mai ti umilia. Ti invita ad alzarti. Uno sguardo che ti porta a crescere, ad andare avanti, che ti incoraggia, perché ti vuole bene. Ti fa sentire che Lui ti vuole bene (Papa Francesco 21.09.2013). Tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza In una lettura simbolica di questo racconto possiamo intravedere, in quell'anonimo tale che si getta ai ginocchi di Gesù, la storia del popolo d'Israele che fin dalla giovinezza ha osservato i comandamenti, un popolo a cui è promessa la vita eterna di cui la terra ricevuta in eredità ne è l'immagine; un popolo che in ogni sua conquista ottenuta con fatica cerca e scopre il dono di Dio. Non è facile, né immediato, essere capaci di scoprire i segni della Provvidenza, la gratuità del dono di Dio, in ogni centimetro di terra strappata ai Cananei con la forza; sono passati secoli prima che Israele riuscisse a capirlo e inserire questa fede nella Scrittura. Ci si abitua alla conquista, ad avere nella provvisorietà del tempo ciò che serve per la vita eterna. È il dramma di una umanità sottomessa ai comandamenti che non riesce a trovare la libertà della gratuità e del dono, che vive l'esperienza del vuoto interiore, della incolmabilità del suo essere. Lo sguardo di Gesù riempie con l'amore quel vuoto. Quello che rende incolmabile l'uomo è la carenza di relazione, di comunione con quel Dio di cui Gesù mostra il volto paterno. Lo sguardo di Gesù colmo di amore avvolge quel tale, il popolo d'Israele, l'umanità e ciascuno di noi. Una cosa sola ti manca Nella fede e nella cultura d'Israele l'uno è dinamica del tutto: il Dio unico è creatore del tutto e tutte le cose sono orientate all'unicità. Dire che manca una casa non significa che manca l'ultima di una serie, quanto che tutto quello che conta è mancante. Il tale, racconta Marco, possedeva molti beni, era abituato ad avere non a vendere e dare. Non è questione di ricchezza o povertà piuttosto comprare e vendere, avere e dare. La vita eterna non si conquista, anche se con le opere buone, la si riceve come dono del Padre, e si riceve perché si dona. La prospettiva di lasciar perdere tutto è per trovare quell'Uno che manca. È nello sguardo pieno di amore che il nostro essere, la nostra storia è ricapitolata in quell'uno che manca. Dobbiamo lasciarci avvolgere dal suo sguardo. Nell'Amore eterno di Dio, perché con il suo Amore è scritto il progetto di salvezza, nel suo Amore andiamo a cercare le radici della vita cristiana. Gesù non ne fa una questione etica, comportamentale, a noi è lasciata la responsabilità delle scelte della vita; è una questione di sguardi incrociati, di relazione di amore, di lasciarsi tuffare (battezzare) nella Comunione d'Amore di Dio, nella consapevolezza che possiamo fare ben poco ma che tutto è possibile a Dio. |