Omelia (01-11-2015)
fr. Massimo Rossi
Commento su Matteo 5,1-12

L'amore per Dio e l'amore per gli uomini non sono intrinsecamente in conflitto; al contrario! Durante la cena di addio, il Signore dichiara che l'amore per il prossimo è il modo più concreto ed efficace per amare Dio (cfr. Gv 15,17). Così concludevo la riflessione di domenica scorsa; e da qui riprendo il discorso oggi.
Chi sono i Santi? la domanda sembra banale, ma, attenzione, liquidandola come banale, rischiamo di perdere di vista il vero senso della santità; la stragrande maggioranza della gente, credente o non credente, immagina i Santi come una sorta di supereroi, persone speciali, perfette o poco ci manca...
Insomma i santi stanno lassù e noi quaggiù; sono un uomo, mica un santo! sono una donna, non sono una santa! - tanto per citare una vecchia canzone -.
La Chiesa del primo secolo sapeva bene chi sono i Santi: sono i credenti in Cristo.
La fede è il punto di partenza, la santità il punto di arrivo.
Perché il Vangelo delle Beatitudini nel giorno di Tutti i Santi? un'altra domanda apparentemente banale... e anche la risposta... Molti pensano ancora che i Santi lo sono diventati per le sofferenze subite durante la loro lunga o breve vita terrena; e, visto che le Beatitudini riguardano per lo più condizioni di indigenza, di discriminazione, di persecuzione... situazioni tristi insomma, 1 + 1 fa 2: la Beatitudine è la risposta di Dio, il premio alla nostra perseveranza nell'accettare la cattiva sorte, senza ribellarci.
In effetti, un paio di secoli fa, i Santi erano ritratti come uomini e donne austeri, malaticci, poco sorridenti, vestiti di scuro, in atteggiamento di preghiera, o, al massimo, con un libro di elevazione spirituale in mano... per quel secolare imbarazzo, e un po' più che imbarazzo, una vera e propria diffidenza nei confronti della felicità e dei piaceri del mondo... quasi tutti preti e suore.
Che angoscia! Altro che invidiarli, altro che desiderare di imitarli!
Secondo il più genuino e nefasto spirito giansenista, santità era sinonimo di espiazione, di sofferenza vicaria, di senso di colpa, di indegnità rea confessa, etc. etc. I Santi si ammiravano, certo, ma nessuno avrebbe lontanamente pensato di farsi santo! E dal momento che ci si sentiva pure in colpa, perché la santità non era in cima alla classifica dei nostri desideri, si tagliava corto: "Io non sono come loro! Non ci riuscirò mai! Tantovale non provarci neppure!".
Eppoi, "di vita ce n'è una sola, che diamine!", "Meglio arrivarci vivi alla morte, no?"
...e altre amenità del genere.
Ma chi l'ha detto che la via della santità sia fatta sempre e solo di rinunce? Tutto il contrario! e il Vangelo di oggi ce ne dà la prova. Vedete, ci sono due modi per interpretare le Beatitudini, uno pessimista e l'altro ottimista; o meglio, uno umano-solo-umano, l'altro umano-cristiano. Pessimista, umano-solo-umano: le beatitudini ‘fotografano' una realtà di sofferenza, di indigenza, di sopruso... e, francamente, non si vede come si possa essere beati. Anche perché non sembra ci siano prospettive di progresso.
Ottimista, umano-cristiano: le beatitudini evidenziano una serie di desideri, dunque rilanciano la speranza e attivano la volontà, orientando ogni energia affinché questi desideri si realizzino; proviamo dunque a coniugare le beatitudini alla luce dei nostri desideri di bene:
- desiderio di saziare lo spirito alle fonti della verità;
- desiderio di consolazione celeste; inutile piangerci addosso! la fede ci spinge...
- desiderio di giustizia e impegno a seminarla, per raccogliere pace (cfr. Gc 3,16-18)
- desiderio di purezza dentro e fuori di noi, contro ogni ambiguità e doppiezza
- desiderio di misericordia chiesta e donata
- desiderio di sincerità e onestà, per non perder mai la dignità e il rispetto di noi stessi.

Il desiderio è un vettore potente, fa camminare, vincendo la tentazione di indugiare sui nostri errori e versar lacrime su ciò che non è stato.
I desideri sono un marker significativo dell'identità cristiana; paradossalmente lo sono i desideri che (in apparenza) non hanno nulla a che vedere con la fede... Dobbiamo farci i conti, con lucidità, con coraggio, non per assecondarli tutti, comunque, ma per far emergere la nostra vera natura. Bando all'ipocrisia e alla finzione!
Se crediamo che tutto possiamo in Colui che ci dà forza, come scrive san Paolo (cfr. Fil 4,13), chiamiamo per nome i nostri desideri e capiremo quali di questi favoriscono la crescita umano-cristiana, e quali la mortificano, o addirittura la bloccano.
Ma è proprio vero, chiediamoci, che desideriamo la giustizia, la pace, la salute dello spirito? forse anche noi abbiamo i nostri scheletri nell'armadio, e la giustizia ci fa paura; anche noi viviamo dei conflitti in famiglia, sul lavoro... e nessuna voglia di deporre per primi le armi; anche noi abbiamo urgenze improrogabili, e ci manca il tempo - bugia! - per le cose importanti, come la cura dello spirito...
È proprio vero che crediamo nel potere sanante della misericordia? forse anche noi siamo di quelli che parlano, parlano, parlano di perdono, ma poi si fanno fregare dall'orgoglio.
È proprio vero che confidiamo nella Provvidenza? forse anche noi cogliamo ogni occasione opportuna e inopportuna per farci le nostre ragioni...
Se crediamo sul serio alla logica illogica delle beatitudini, allora abbiamo motivo di rallegrarci dei Santi e di noi stessi.
Se invece non ci crediamo poi tanto... piangiamo pure su noi stessi.
Ma preghiamo anche i Santi, perché suscitino in noi un po' di sana e santa invidia...
Diversamente dalla gelosia, l'invidia nasconde sempre un che di ammirazione; e dunque anche l'invidia può servire a vincere l'inerzia, la frustrazione, la rassegnazione, per rialzarci in piedi e affrontare la nostra salita sul monte delle Beatitudini.