Omelia (18-10-2015) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Comandare significa servire La "destra" nell'Antico Testamento è una posizione privilegiata. Per quanto riguarda Dio e la sua onnipotenza, viene citata la (mano) destra con cui Dio opera portenti e meraviglie specialmente debellando gli avversari (Es 15,6). Alla "destra" del Signore risplende la Regina (Salmo 44). E soprattutto il Salmo 110, probabilmente composto in occasione dell'intronizzazione di un re, colloca il monarca assiso sul trono "alla destra dell'Altissimo, rivelando che egli assume una posizione quasi alla pari di quella di Dio. "Sedere alla destra del Padre" è per il Figlio di Dio essere pari a Dio Padre nella sostanza e nell'eternità. Non è difficile allora comprendere quanto sia pretestuosa la richiesta avanzata da parte di Giacomo e Giovanni, apostoli figli di Zebedeo: vogliono innanzitutto che Gesù soddisfi la loro volontà, che si atteggi nei loro confronti secondo i loro desideri. Quindi descrivono nei dettagli ciò che pretendono: che possano sedere uno alla sua destra, l'altro alla sua sinistra ed essere così particolarmente avvantaggiati rispetto agli altri, insigniti di un onore irripetibile per altri. Discorso non estraneo ai nostri giorni, quando l'arrivismo e la vanagloria ottenebrano i nostri rapporti sociali determinando confusione e scompiglio a motivo della volontà di emergere gli uni sugli altri Non di rado si ricorre alle amicizie e alle raccomandazioni per ottenere quanto ad altri spetterebbe per merito. Gesù rimprovera la caparbietà di questi due discepoli, sottolineando che probabilmente essi ignorano quanto hanno chiesto o non ne sono abbastanza consapevoli: "Voi non sapete quello che chiedete", soprattutto perché intendevano così sfidare la libertà decisionale di Dio, l'unico che avrebbe potuto stabilire a quale grado di grandezza essi avrebbero potuto accedere, quale onorificenza avrebbero potuto meritare e in quale misura avrebbero potuto usufruirne. Frena così il loro entusiasmo e limita la loro immodestia, e alle loro pretese fa seguire la pedagogia del sacrificio e del servizio. Piuttosto che chiedere l'inverosimile, essi devono saper accettare di "bere al calice" del loro maestro, rendendosi così compartecipi del sacrificio che egli farà di se stesso per la salvezza di tutti. Insomma, come più volte è stato sottolineato, anziché aspirare a posizioni di predominio e di preponderanza sugli altri, bisogna saper accettare la croce, cioè il sacrificio, la rinuncia, l'immolazione ed esercitare il dono continuo di sé, sull'esempio di Cristo che ha abbracciato volentieri la croce. Anziché chiedere e pretendere occorre configurarsi a lui, che non è venuto per essere servito ma per servire (Mc 10, 45) e che al posto del predominio sui popoli eserciterà il suo Regno accogliendo l'umiliante incoronazione di spine prima del patibolo. Oltretutto, la vera autorità sta nel servizio e il più grande, il vero superiore nonché dominatore del mondo, è colui che è capace di servire con umiltà, mansuetudine e pazienza (Ef 4, 1 - 3) essendo capace di dare senza aspettarsi di avere il contraccambio. Nella dedizione al servizio risiede anche la soddisfazione personale proclamata dallo stesso Signore Gesù Cristo in una frase non contemplata dai Vangeli ma dagli Atti: "C'è più gioia nel dare che nel ricevere" (At 20, 35). L'umiltà e la generosità sono quindi le caratteristiche della vera autorità capace di governo e di amministrazione, perché la competenza organizzativa di un popolo risiede nella capacità di occuparsi delle sue necessità, nell'intraprendenza con cui ci si dispone a procacciare in esso il bene comune e la felicità di tutti. L'autorità, secondo la palese pedagogia di Gesù si fonda sull'amore di estrema auto donazione, del quale Cristo è stato assertore particolarmente nel suo sangue effuso per il riscatto di tutti. Senza amore non c'è servizio e non c'è di conseguenza autorità. Siamo sulla linea del profeta Isaia, nella prima lettura, similmente ai giorni di Passione ci mostra la realtà esemplare del Servo Sofferente di Yahvè, votato al ludibrio e alla morte infame e truculenta, il quale non disdegna di offrire le sue membra per gli altri. Esso prefigura il Figlio di Dio la cui umiliazione raggiunge l'inverosimile quanto inverosimile è la nostra presunzione e la nostra vanagloria: accetta il dolore, il sacrificio, la prova e la morte in riscatto dell'intera umanità. E ci suggerisce che non si governa né si amministra se non con la prova e con il sacrificio che equivale all'amore. |