Omelia (25-12-2004)
Paolo Curtaz
L'inaudito

Non venitemi a dire che provate tenerezza, che vi emozionate, che sentite una sensazione languida nell'ascoltare l'"Adeste fideles".
Se davvero avete preparato il Natale, se avete operato una sana resistenza all'altronatale, quello tarocco, può succedere che ora vi sentite più sconcertati di prima, fragili, leggermente destabilizzati ed instabili.

Eppure liberi.
Desiderosi di cambiare vita, di evitare il conformismo della fede, come urlava arrabbiato il Battista, attenti a riconoscere la presenza di Dio nei tanti profeti che Dio ci mette in mezzo ai piedi.
Silenziosi e oranti, come l'acerba adolescente di Nazareth che mette il suo piccolo seno a servizio dell'assoluto di Dio.
Dubbiosi e meditabondi, come lo sconfitto profeta ucciso da una donna gelosa, che si chiede che razza di Messia sia Gesù di Nazareth se, invece di bastonare i malvagi, li guarisce dalla loro violenza con l'amore.
Giusti e sognatori, come l'immenso Giuseppe, il timido falegname di Nazareth che vede Dio soffiargli la ragazza, e che accetta con obbedienza una realtà sconcertante.
Se, almeno un poco, vi siete riconosciuti, amici lettori, abbiamo qualche chance che Dio - ancora - nasca nei nostri cuori, abiti le nostre solitudini.

Natale vero
Dio, stanco di non essere capito, di essere frainteso, di essere usato, stanco di essere tirato in ballo per coprire le vergognose nudità della nostra pigrizia, esausto dall'essere tirato per la giacchetta a benedire ogni guerra, depresso per essere accusato di colpe che non ha, decide di diventare uomo, di condividere in tutto la nostra umanità, di raccontarsi.
Un gesto d'amore semplice, folle, inconcepibile: Dio diventa uomo, abbandona la sua divinità. Scorda la sua onnipotenza, per sperimentare tutto il dolore che l'uomo sperimenta e la fragilità e lo sbandamento.
E perché nessuno possa accusare Dio di essere diventato uomo in modo privilegiato, in qualche modo diverso, sceglie di diventare uomo nel più povero dei modi, nel più misero dei tempi, affidato all'imperizia di una generosa coppia di provincia, esule, costretto a nascere in un luogo sconosciuto a causa del delirio di onnipotenza di un Imperatore oppressore.
Il Verbo di Dio, il sorriso della Trinità, abita il corpo del figlio di Maria.
Jeshua bar Joseph verrà chiamato, Gesù, figlio di Giuseppe, falegname a Nazareth di Galilea.
Nella notte fredda del deserto, a Betlemme, luogo che ha visto nascere Davide figlio di Iesse, re potente in Giudea, in una grotta che serviva a dare riparo ai pastori, disprezzati lavoranti del tempo, sottopagati e clandestini, il Figlio di Dio irrompe nella storia, l'assoluto che neppure l'universo contiene è abbracciato teneramente da una madre tredicenne.
Ecco, la storia si ferma, il tempo è compiuto, gravido, il cielo ha donato il giusto delle genti.
Ora tocca a noi.

La conversione del cuore
Questo è Dio, amico, il Dio di Gesù, il Dio dei cristiani, il Dio vero.
Non quello piccino e meschino delle nostre predicazioni, non quello incostante e terribile delle nostre paure, no. Dio è un neonato con gli occhi socchiusi che Maria stringe forte a sé, per riparalo dal rigore della notte, un neonato che cerca il piccolo seno della madre per allattare, un neonato tenero e fragile.
Siamo spiazzati, vero?
Vorremmo un Dio potente, che ascolta la nostra preghiera, e ci troviamo un Dio che ci chiede aiuto.
Vorremmo un Dio decisionista, disposto a cambiare i destini della storia, punendo i malvagi, e invece proprio i malvagi vogliono ucciderlo.
Ci immaginiamo un Dio che abita nel Tempio e che viene conosciuto dagli uomini del sacro che, invece, non escono da Gerusalemme per andare a verificare la sconcertante notizia portata da alcuni ricchi stranieri d'oriente.
Dio è diverso, amici, tutto qui.

Se Dio è così
Se Dio è così significa che ama l'umanità al punto da diventare uomo.
Essere uomini è bello, essere uomini è talmente bello che Dio vuole essere uno di noi. Bello il colore della terra in primavera, il volo degli uccelli, la luce accecante dell'estate, l'odore della neve, il cibo caldo preparato con amore, l'odore del legno appena piallato, il sorriso sincero dell'amico, l'abbraccio tenero e affettuoso del padre che torna stanco dal lavoro. Questa umanità che odora di fritto, povera e inquieta, incerta del futuro, è il luogo che Dio abita e trasfigura.
Se Dio è così significa che Dio è accessibile e ragionevole, tenero e misericordioso.
Che l'idea di un Dio potente da tenere a bada, che si fa gli affari suoi, sommo egoista bastante a se stesso, è fasulla e pagana, che Dio ama, prima di amare, che non ti risolve i problemi ma li condivide, che ti invita a vedere le cose in modo diverso.
Se Dio è così significa che ha bisogno di noi, come ha avuto bisogno di una madre e di un padre.
E che io posso riconoscere Dio e servirlo in ogni sconfitto, in ogni povero, in ogni abbandonato. Che la fragilità degli uomini è il luogo che Dio vuole abitare, che, se vivo questo natale con la morte nel cuore, allora è esattamente la mia festa, perché Dio abita anche la stalla della mia vita.
Se Dio è così.

Auguri
Auguri amici. Auguri ai tantissimi che conosco e agli oltre seimila fratelli e sorelle che stanno leggendo queste parole grazie a Internet. Auguri agli sconfitti, che vivranno nel dolore questa notte. Auguri a te, padre dal nome sconosciuto: non dimenticherò il tuo sguardo disperato quando ti ho visto in sala d'attesa al Niguarda a trovare la tua bimba di dieci anni ricoverata per anoressia. Auguri a te, Umberto, che non leggi queste parole, e alla tua vita disordinata, fatta di espedienti e di Caritas, di lavori saltuari e di solitudine, che lavorerai servendo la cena di Natale ai ricchi in questa notte. Auguri a voi, Antonella e Carlo, al vostro amore che testimonia di come Dio ha percorsi lunghissimi per dare speranza ai cuori. Auguri ai miei confratelli che vivranno nella stanchezza queste ore, cercando di portare un po' di luce ai cuori.
Auguri a tutti amici che avete preso sul serio l'amore di Dio.
Ora egli chiede di essere accolto.
Buon Natale.