Omelia (18-10-2015) |
don Alberto Brignoli |
Dalla parte dei poveri... con la testa! Nel messaggio che Papa Francesco ha predisposto per questa 89ma Giornata Missionaria Mondiale, tra le altre cose leggiamo: "Ci poniamo l'interrogativo: Chi sono i destinatari privilegiati dell'annuncio evangelico? La risposta è chiara e la troviamo nel Vangelo stesso: i poveri, i piccoli e gli infermi, coloro che sono spesso disprezzati e dimenticati, coloro che non hanno da ricambiarti. L'evangelizzazione rivolta preferenzialmente ad essi è segno del Regno che Gesù è venuto a portare. Esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri. Non lasciamoli mai soli". Questa attenzione particolare del Papa verso i più poveri, che non è affatto una novità all'interno del suo magistero e della sua stessa testimonianza cristiana, è stata recepita dalla Chiesa Italiana, che ha scelto per la Giornata Missionaria di quest'anno un tema dal titolo inequivocabile: "Dalla parte dei poveri". Non si tratta dell'invito a "schierarsi" a favore di una categoria di persone piuttosto che di un'altra, creando preferenze o classificazioni indebite (chi è più povero o chi lo è meno, chi ha più bisogno o chi ha meno bisogno, chi va aiutato prima o chi va aiutato dopo...); e nemmeno significa prendere le difese di qualcuno in maniera generica, attraverso slogan che lasciano il tempo che trovano, dal momento che spesso di questa categoria di persone sentiamo parlare dai mezzi di comunicazione sociale, ma non li incontriamo mai - o solo raramente - di persona, per cui stare dalla loro parte a parole o attraverso proclami risulterebbe relativamente facile per tutti. Si tratta, invece, del comportamento e dello stile di Gesù stesso: un comportamento che lo vedeva non schierato da una parte o dall'altra, ma sempre camminando a fianco dell'umanità in ogni momento, in quello della gioia e del benessere, ma anche e soprattutto nel momento della prova e della sofferenza. È proprio la sua vicinanza alle situazioni di sofferenza che lo porta ad accettare su di sé la sofferenza, a condividerla con l'umanità sin dal primo istante della sua presenza sulla terra: Cristo nasce povero, vive povero tra i poveri e muore tra i poveri e come i poveri (la stessa prima lettura di quest'oggi ce lo ricorda, richiamando la figura del Servo sofferente di Jawhé), e questo rende inevitabile la sua "scelta preferenziale" per i poveri, rendendoli prediletti e primi destinatari del Vangelo, in quanto il Vangelo stesso è frutto della povertà vissuta e incarnata da Gesù. Allora, stare dalla parte dei poveri non vuole dire schierarsi socialmente o politicamente: vuol dire, in definitiva, stare dalla parte di Gesù, stare con lui. Da varie domeniche, del resto, stiamo ascoltando brani di Vangelo che narrano episodi in cui Gesù è costretto più di una volta a ribadire ai suoi discepoli che lo scopo principale della sua missione e della sua funzione di Messia non è il potere o la forza, ma il servizio alla causa dei più deboli, che sono i primi destinatari del Regno. Anche oggi, infatti, il Vangelo termina con l'invito a farci servitori, addirittura schiavi di tutti, se veramente desideriamo avere un posto privilegiato a fianco di Cristo nel suo Regno. I due fratelli Giacomo e Giovanni, che chiedono di potere sedere a fianco di Gesù nella gloria del Regno, sperimenteranno ben presto che questo significa ritrovarsi in mezzo ai poveri e agli ultimi, perché quel posto a fianco di Gesù è già occupato da loro. Gesù e i poveri, quindi, risultano essere una cosa sola, così come lo sono annuncio del Vangelo e attenzione alla povertà, cristianesimo e difesa dei deboli e degli ultimi, essere Chiesa e camminare sulle strade dell'umanità, soprattutto quelle infangate dalle miserie umane o difficilmente raggiungibili da qualsiasi programma o progetto di solidarietà. Non è, quindi, una scelta socio-politica quella che ci porta come cristiani a farci carico della necessità dei più poveri, ma una scelta inevitabile legata all'annuncio del Vangelo e alla sequela di Gesù; come a dire che è impossibile essere cristiani e non ascoltare il grido dei poveri. Chi siano i poveri, non sempre è facile stabilirlo, sia perché la povertà ha mille sfaccettature, sia perché a volte confondiamo la povertà materiale con la "povertà di spirito" di cui parla il Vangelo; per cui, quando sentiamo parlare di scelta preferenziale per i poveri da parte dei cristiani potremmo essere indotti a pensare che dobbiamo concentrarci più sull'essere poveri in spirito, che sui poveri reali. Ma "povertà di spirito" secondo il Vangelo non è altro che sinonimo di santità, è un fattore spirituale, per cui non riguarda la povertà materiale, o perlomeno non necessariamente: si può essere poveri in spirito ed avere molti beni a propria disposizione. I poveri del Vangelo sono...i poveri, quelli che non hanno il necessario per vivere, quelli che devono sopravvivere di espedienti o comunque appoggiandosi a qualcuno; sono gli impoveriti di ogni società e di ogni epoca, spesso impoveriti anche dal nostro stile di vita e dalla nostra tendenza ad accaparrarci tutte le risorse del pianeta, pensando che debbano essere nostre perché produciamo di più e quindi consumiamo di più. Personalmente, ritengo che ci sia una forma di povertà terribile perché è dura da vincere e soprattutto perché sta all'origine di ogni altro genere di povertà: ed è quella della mente, ovvero la scarsità di educazione e di formazione, o per essere più diretti, l'ignoranza. Nella mia breve esperienza missionaria, ho sempre sperimentato come la mancanza di formazione fosse veramente il dramma all'origine di ogni povertà. Ho visto, infatti, scambiare col baratto per ignoranza un sacco di patate con dodici banane; ho visto bambini morire di banali infezioni intestinali perché i soldi per comprare loro un antibiotico erano stati bevuti dai loro genitori prima di arrivare in farmacia; ho visto anziani non ricevere un soldo di pensione perché ignoravano la loro data di nascita e sostenevano avere cinquant'anni a fronte dei settanta effettivi. Ma vedo tanta mancanza di educazione e formazione anche nel nostro mondo occidentale e "sviluppato", e non è che questo generi meno povertà che in altre parti del mondo. Se infatti facciamo di tutta un'erba un fascio e consideriamo ogni povero che bussa alla porta di casa nostra come un lazzarone o un delinquente; se pensiamo che dobbiamo aiutare tutti alla stessa maniera senza farci troppe domande sulle loro effettive necessità e capacità; se non vogliamo accettare che oggi si è poveri anche essendo cittadini italiani; se ignoriamo quali siano le cause che portano alle povertà che ogni giorno vediamo in televisione; se non facciamo lo sforzo di conoscere le culture e le mentalità differenti che conformano il mondo globalizzato nel quale viviamo, a partire dal nostro paese e dalla nostra città, forse non generiamo ulteriore povertà rispetto a quella che già ci circonda, ma di certo non contribuiamo a combatterla. E combattere la povertà si può, non è un'utopia, perché la povertà non è immortale, non è eterna, non l'ha creata o voluta fatalmente Dio, è una creazione totalmente ed esclusivamente umana, e come tale può e deve essere sconfitta. Dipende solo da noi, perché essere missionari non significa solo partire per altre terre annunciando Vangelo e portando solidarietà; non significa solo pregare per i missionari e le missionarie sparsi in tutto il mondo; non significa solo raccogliere i fondi necessari perché la nostra generosa carità diventi sviluppo. Significa anche "metterci la testa" oltre che il cuore, ovvero spendere del tempo per formarci, per comprendere, per studiare, per conoscere le cause e i volti della povertà e fare, ogni giorno, qualcosa di nuovo perché chi è povero non lo sia mai più. |