Omelia (18-10-2015)
mons. Antonio Riboldi
Sono venuto per servire

Nel nostro tempo tutto basato sul successo e su un individualismo sfrenato, non si accetta la realtà del nostro essere creature: l'uomo in sé è davvero piccolo e misero, insufficiente, ed acquista bellezza e dignità solo se sa riconoscere la sua miseria e fa posto a Chi è grande e da Cui sgorga la vera grandezza, Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.
È terribile il male della superbia. È tragica la corsa che si fa in ogni capo per affermare una grandezza che è solo esteriore, se non addirittura dannosa. Così abbiamo le ‘grandi potenze', i ‘grandi' della terra, i ‘famosi', ma tutti constatiamo come spesso questa ‘corsa' produce solo tanta povertà e tanta, ma tanta gente che è umiliata, al punto da sentirsi ed essere considerata nulla: l'esercito dei miseri e dei poveri della terra, sgabello dei cosiddetti ‘grandi'.
Nessuno vuole vestire l'abito ‘dell'ultimo', ma solo quello ‘del primo'... anche se poi la vera grandezza si scopre proprio negli ultimi: ‘Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente,, perché ha guardato all'umiltà della Sua serva', proclama Maria SS. ma.
Anche gli Apostoli, prima della Pentecoste, non ancora trasformati dallo Spirito Santo, ragionavano come noi uomini. "‘Maestro - dicono a Gesù, nel Vangelo di oggi, Giacomo e Giovanni - noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo'. Egli disse loro: ‘Cosa volete che io faccia per voi?'. Gli risposero: ‘Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistrà.
E' evidente che i due apostoli ragionavano secondo le prospettive molto riduttive di noi poveri uomini. Immaginavano cioè che, stando accanto al Maestro, se non proprio subito, sicuramente in un prossimo futuro, ne avrebbero condiviso la gloria che Gesù stava lentamente costruendo. Avevano di Gesù l'immagine di uno che si sarebbe costruito un regno terreno, fatto di potenza e di prestigio. Non intuivano minimamente che dietro la povertà di nascita, di origine, di mandato, c'era una missione che scendeva dal Cielo, di una grandezza senza misura, quale è ogni ‘missione di Dio', destinata a ridurre in polvere ogni concetto di prestigio e potenza, fino a proclamare che la vera grandezza e gloria sta nella beatitudine dei poveri in spirito, dei miti, dei misericordiosi. Non sapevano che Gesù avrebbe demolito la potenza umana, facendosi demolire fino alla'umiliazione della morte in croce, dove veramente si confessò il nulla che è ogni uomo e il tutto che è Dio nella resurrezione.
A Giacomo e Giovanni e a tutti noi suoi discepoli, che forse ci attendiamo, seguendo Cristo ‘un posto alla sua destra o alla sua sinistrà, il Maestro lascia un'eredità che sarà e deve essere la nostra via maestra per sempre: ‘Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti (Mc. 10, 35-45)
Certamente, in quel momento, gli apostoli difficilmente avranno capito la risposta di Gesù. Solo dopo la Pentecoste sarà per loro tutto chiaro...sino a dare la vita! E lo stile di vita di Gesù - ‘essere servo di tutti' - dovrebbe essere lo stile di ogni cristiano...altro che assalto al prestigio e al potere!
Chi, come me, medita queste meravigliose parole di Gesù, che designa lo stile del cristiano, ‘servire e non essere servito', sa come il servire è davvero la nostra identità. I fedeli devono poter vedere in noi solo la guida, in quanto siamo persone chiamate e scelte da Dio stesso per essere servi della Sua Grazia. La nostra ‘autorità', infatti, è tale solo quando si tratta di guida al servizio del Vangelo, della Grazia, dell'unità nella comunità,...tutto, sempre, solo, in spirito di servizio.
Ogni altro atteggiamento, che deturpa questo aspetto, offende la carità e l'umiltà.
A volte questo spirito di servizio ci chiama a gesti che possono essere fraintesi, ma se è il servire il nostro obiettivo, la verità fa luce. Un ricordo: immediatamente dopo il terremoto del Belice, che ci colse in piena notte, il 16 gennaio 1968, il primo dovere che si affacciò a me e ai miei coadiutori, che avevamo la cura di quella comunità, ormai dispersa e senza casa, fu quella di mettersi al servizio, cercando tra le macerie eventuali superstiti o vittime rimaste intrappolate. Un compito che, a pensarlo ora, sapeva di incoscienza, perché la terra continuava a tremare e avevamo le mani ‘nude'.
Per tutta la notte si percorsero le vie della cittadina distrutta e così salvammo parecchie vite.
Da quella notte capii che essere parroco voleva dire rischiare tutto per servire la mia gente ed accompagnarla poi nella difficile via della ricostruzione.
In questa seconda fase molti non capirono, pensando forse a ‘motivi sotterranei' - che non esistevano - come quello di cercare ‘visibilità'. Ricordo come una domenica, volendo spiegare alla mia gente, durante la S. Messa, la ragione del nostro servizio, che non conosceva limiti né rischi, dissi: ‘Vi domandate perché facciamo tutto questo. La risposta è una sola: l'amore che abbiamo per voi e l'amore è sempre e solo servizio. Niente altrò. Non dimenticherò mai il pianto che seguì e non cessava, tanto da dover lasciare l'altare e ritirarmi per un tempo in baracca, per poi poter continuare la Messa.
Nella storia dell'umanità si è sempre giocato al tragico ‘essere primo', ossia il più importante, riducendo il senso della vita al potere, al successo, al prestigio.
Ha dichiarato il beato Paolo VI: ‘Sono due i malanni della psicologia umana, colpevoli delle rovine più estese e più grandi dell'umanità: l'egoismo e l'orgoglio'.
Se vogliamo che l'umanità sia salvata dobbiamo essere capaci di accogliere l'invito di Gesù e seguirlo sulla strada che ha percorso: "Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti". Lui, Gesù, Figlio di Dio si è messo il grembiule e ha lavato i piedi agli Apostoli. Ha scandalizzato tutti quando ha dato ‘spettacolo' di massima umiliazione sulla croce, ma questo è il solo stile che può adottare chi veramente vuole amare: farsi servo fino a scomparire.