Omelia (25-10-2015)
don Luciano Cantini
Salire e scendere

Lungo la strada

Gesù inizia la lunga salita che da Gèrico porta a Gerusalemme. È insieme salita e discesa.

Salita perché Gerusalemme è comunque sempre in alto, città collocata sul monte, meta finale del pellegrinaggio dei popoli: Verranno molte genti e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore e al tempio del Dio di Giacobbe» (Mi 4,2). Non è una strada impervia, ma difficile per quello che sta per succedere a Gesù: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà» (Mc 10,33-34).

Ma anche discesa, perché il salire a Gerusalemme e sulla croce è l'atto ultimo, il più intenso nel mistero della incarnazione: svuotò se stesso assumendo una condizione di servo (Fil 2,7). Gesù abbraccia l'umanità con una solidarietà tale da raggiungere l'ultimo degli ultimi, colui che è scartato e ucciso.
Gerusalemme è città del potere abitata dai potenti, mentre Gesù si libera e libera da ogni potere scendendo fino ai piedi dell'uomo. Scende fin sotto al tavolo e gli sarà negata la vita, non potrà cibarsi neppure di quello che cade dalla tavola dei figli d'Israele (cfr. Mc 7,28).


«Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!»

Molta folla andava con lui, con quale animo e con quali desideri? Ne è sintomo l'atteggiamento di rimprovero verso il povero mendicante e cieco che sedeva lungo la strada e che gridava tanto che è costretto a gridare ancora più forte.

Per chi cammina sulla strada della vita è fastidioso trovarsi di fronte a chi è costretto a fermarsi e raccogliere le briciole che cadono dalla tavola dei figli, richiama la fragilità della condizione umana, col proprio handicap rende evidente i limiti tenuti nascosti anche a se stessi. Va bene finché rimane ai margini, un po' nascosto, si accontenta e non pretende di entrare nel consesso degli altri. Non a caso Gesù non gli si fa vicino ma chiede agli altri di farsi portavoce della chiamata, forse proprio a quelli che hanno tentato di zittirlo; provoca la solidarietà, l'aiuto.

Bartimeo balza in piedi e - questo lo racconta solo Marco - getta via il suo mantello: il segno della sua povertà (cfr Es 22,25) e della dignità che gli è rimasta. Il mantello gettato via è il segno di una libertà ritrovata, è la risposta del povero alla proposta che il Signore fa al ricco: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!» (Mc 10,22).


«Va', la tua fede ti ha salvato»

Anche alla donna malata Gesù aveva detto «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male» (Mc 5,34). Non si racconta di Gesù che tocca, impone le mani, o compie gesti che comunicano guarigione. La Fede è sufficiente per la salvezza.

La guarigione, come la vista, sono il segno evidente e conseguente la salvezza che la fede ha procurato.

La donna deve districarsi tra la folla che da ogni parte pressa il Signore, Bartimeo deve urlare più forte di una folla che lo zittisce. La Fede ha bisogno di manifestazioni esplicite e, forse, del superamento degli ostacoli rappresentati da una folla osannante che pur segue Gesù e lo stringe intorno.

Come comunità cristiane abbiamo la grossa responsabilità di non sequestrare il Signore alla storia, di non rinchiuderlo nelle chiese, di lasciare che salga verso Gerusalemme perché così scendendo possa servire e dare la propria vita in riscatto per molti (Mc 10,45).