Omelia (02-11-2015) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Misericordia e purgatorio Subito dopo aver esaltato quanti intercedono a buon diritto per noi, soprattutto per i loro meriti e per la maggior gloria conseguita presso il Signore, la Chiesa ci invita a commemorare con fede, accanto ad essi, anche tutti gli altri fratelli che sono naturalmente congedati da noi. Questa giornata è dedicata insomma a tutti i defunti, considerando che, complice il prevalere delle imperfezioni umane, non a tutti i nostri cari viene dato di raggiungere la gloria piena immediatamente dopo il transito da questo mondo. Come pure vi sono coloro che per loro preferenza personale hanno scelto di morire già in questa vita per mezzo dell'illusione di vivere, cioè scegliendo il peccato e rifiutando categoricamente la misericordia di Dio e ora subiscono per conseguenza la retribuzione dell'empio. Cioè l'inferno. Quest'ultima è purtroppo una realtà esistente e non frutto di immaginazione o di artefatti elucubrativi: come esiste una dimensione di gloria e di beatitudine per chi è stato giusto e fedele, così deve esistere anche un fosso di perdizione eterna per quanti hanno scelto di confidare solo nel male nel mistero dell'iniquità. Dio ha destinati tutti alla salvezza e alla vita eterna, ma non pregiudica il libero arbitrio dell'uomo e con esso neppure la possibilità che egli possa decidere di perdere stesso. L'inferno è una dimensione di eterna condanna per quanti, per loro scelta e non per volontà divina, nell'ostinazione del peccato e confidando esclusivamente nella perversione e nell'errore, hanno deliberatamente voluto perdere se stessi e la misericordia di Dio, per quanto grande e onnipotente non può certo imporsi a chi rifiuta espressamente la misericordia. Mi piace pernsare comunque a una frase che una volta mi disse un bravo sacerdote "Dio ti ama sempre e se dovessi andare all'inferno, ti amerà anche lì. Perché a perderti sarai stato solo tu." Nella fede in un Dio onnipotente amore e misericordia, noi confidiamo tuttavia che fra i nostri defunti nessuno sia precipitato all'inferno. Piuttosto, i nostri cari defunti, se non hanno meritato il premio immediato del paradiso, neppure hanno subito la condanna irreparabile della dannazione eterna: essi probabilmente (Dio solo può saperlo con assoluta certezza) si trovano in una dimensione di purificazione dalle loro imperfezioni terrene; si stanno approssimando un po' per volta al premio della beatitudine e dell'eterna visione del volto di Dio mondando i rimasugli di imperfezione acquisiti durante la vita presente; secondo la promessa di Paolo, stanno raggiungendo la salvezza definitiva come attraverso un fuoco (1 Cor 3, 15). Tutto questo viene spiegato dalla Tradizione della Chiesa con il termine di "purgatorio", che prima ancora di ogni giustificazione esegetica ci ragguaglia della certezza che Dio è misericordia e perdono oltre la nostra immaginazione. Dio consente ai suoi fedeli di espiare le proprie colpe anche al di fuori del loro corpo mortale. Di cosa si tratta se non di un evidente contrassegno dell'amore di Dio nei nostri confronti? Come interpretare quest'ulteriore possibilità di salvezza se non come un atto di misericordia da parte di un Dio la cui pazienza è inverosimilmente infinita e prescinde anche dalla temporalità terrena? Nel purgatorio risiede infatti la prova convincente che la misericordia del Signore valica le ristrettezze del nostro tempo, che la comprensione divina per le insufficienze umane non ha limiti e prescinde dai nostri parametri e dalle nostre misure. Rimediare alle nostre lacune sarebbe cosa impossibile nell'ambito della sola vita terrena e le fragilità umane non consentirebbero di salvarci se dovessimo porre rimedio ai nostri errori nel ristrettissimo spazio di tempo che abbiamo a nostra disposizione; nessuno potrebbe quindi salvarsi nel solo aut - aut inferno - paradiso. Se Dio è davvero amore e misericordia, egli lo è fino all'estremo e non poteva non concederci una dimensione intermedia di purificazione prima dell'ingresso nella gloria. Certo, il purgatorio richiede sconto di pene temporali, esercizio di rinunce e di patimenti, ma sempre la grande disposizione di Dio ha fatto in modo che i nostri defunti traggano sollievo anche nell'esercizio di purificazione: le nostre preghiere e le nostre opere di carità, come pure qualsiasi atto d'amore e nei confronti degli altri, quando applicati ai nostri defunti, ottengono loro una riduzione delle pene temporali e rendono molto più spedito il loro itinerario verso la salvezza. Anche le Messe suffragate per le anime dei nostri cari, nelle quali lo stesso Cristo agisce nel mistero della transustazione del pane e del vino, soni di supporto affinché l'aggravio di pena per loro si riduca notevolmente e possiamo essere certi che in ogni celebrazione eucaristica vi è il vantaggio per le anime di coloro per cui essa viene applicata. La preghiera per la salvezza dei nostri defunti non è mai cosa vana (2Mac 12, 42 - 46) ed è salutare per loro che noi eleviamo a Dio orazioni e penitenze come pure Messe di suffragio; soprattutto nelle opere di carità esercitate con fede e umile disposizione si trova un coefficiente di indubbio aiuto per la purificazione di quanti ci hanno preceduti. Nella preghiera riscontriamo che coloro che noi definiamo morti vivono (o sono chiamati a vivere) la comunione con Colui che ha affrontato la morte per averne ragione e per sconfiggerla definitivamente e di conseguenza entrano nella Vita piena. Non bisogna immaginare le anime dei nostri cari come delle larve o delle ombre vaganti per l'Ade, quali venivano interpretate nell'antichità pagana, ma piuttosto la realtà fondamentale di noi stessi, la nostra reale soggettività che è destinata, al dissolversi del corpo, all'incontro risolutivo con Dio a cui in ogni caso è destinata. Il purgatorio non è di ostacolo a tale relazione comunionale e i nostri suffragi ne favoriscono la realizzazione. L'anima è la parte fondamentale di noi stessi che unita simbioticamente al corpo materiale forma la persona, che a sua volta resta tale anche al momento del trapasso. E' la nostra anima personale, cioè la nostra soggettività, che si eleva all'incontro con Dio. In definitiva, il morire è in realtà un appuntamento con l'Eternità al quale dipende esclusivamente da noi mancare o giungere puntuali. Dio ci attende con pazienza nonostante siano prolungati i nostri ritardi. |