Omelia (01-11-2015) |
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COMMENTO ALLE LETTURE Commento a cura di Giuseppe di Stefano "EXIT" Qualche giorno fa ho avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con un amico ungherese che da alcuni mesi sta facendo un'esperienza come portantino in un grande ospedale di Budapest. Come potete immaginare, non sempre la gente che viene portata in ospedale vi esce viva, e allora tocca ai portantini il loro trasporto in obitorio. Ma perché vi sto raccontando di questa esperienza del mio amico? Lo sappiamo tutti che un giorno o l'altro si muore. Morire è una tappa obbligata del cammino di ogni essere, e quindi anche dell'uomo. La morte è così "scontata" che spesso non ci facciamo più caso. E poi, se uno ha a che fare quasi quotidianamente con la morte come il personale di un ospedale o di una casa di cura, c'è il rischio di abituarsi e di non essere più capaci di compassione per il morente, o per i suoi parenti e amici che ne vivono direttamente il doloroso distacco. Torniamo, allora, al mio amico e alla sua esperienza. Sembra che, almeno lì in Ungheria, ci sia una parola per indicare coloro che decedono in ospedale: exit. "Exit" significa "uscita", quindi "un exit" è uno che è uscito. Morire è uscire in un certo senso, lasciare questa terra, questo corpo. Dunque, questo verbo dice un transito, un esodo, un passaggio verso... tutte realtà che, per noi cristiani, hanno il sapore della Pasqua. Dire pasqua, è dire passaggio, marcia verso la realizzazione di ciò che è impossibile agli uomini, ma non a Dio. Sì, perché Pasqua è attraversare un mare che si divide al nostro passaggio, esodo di libertà dalla schiavitù dell'Egitto. Pasqua è passare dalla morte alla vita con Cristo, per sempre. Per ogni uomo si è aperto definitivamente un passaggio, nel corpo trafitto del Figlio di Dio si è spalancata per tutti la porta del cielo, dove un padre scandalosamente nostro ci attende per fare festa con noi. Le ferite aperte del crocifisso ci dicono l'amore inguaribile di un Dio che non si ferma neppure davanti all'ineluttabilità della morte, alla definitività di una pietra posta davanti all'imboccatura di un sepolcro. L'amore è più forte della morte: né angeli né demoni, né vita né morte, né dolore, né spada, nulla mai ci potrà separare dall'amore di Dio (cfr. Rm 8,38). Questo mi basta. Se Dio è amore, mi vendicherà della mia morte. La sua vendetta è la risurrezione, un amore mai più separato. Dio salva, questo è il suo nome. Salvare significa conservare. Per sua precisa volontà nulla andrà perduto, non un affetto, non un bicchiere d'acqua fresca, neanche il più piccolo filo d'erba. Nulla, mai. Due parole assolute, totali, perfette. Nulla: e sono convocate tutte le creature del cielo e della terra. Mai: e sono convocati i giorni e l'eterno. L'uomo è inseparabile da una cosa soltanto: non è separabile dall'amore. Lontano dall'amore il cuore dell'uomo si ammala, separato muore. L'amore è ciò che resta anche quando non resta più nulla. Ecco la radice della mia vita per sempre, della mia eternità: Dio è inseparabile dall'amore, inseparabile dagli oggetti del suo amore. L'uomo, immagine di Dio, non è pensabile separato dall'amore. Quando non c'è amore, non c'è più uomo. Il senso della vita è amare e ricevere amore: su questo si pesa la beatitudine della vita nel tempo e nell'eternità. «Io sono la risurrezione e la vita» (Gv 11,25). Gesù non dice: Io sono l'esenzione dalla morte, bensì: Io sono la risurrezione dopo l'esperienza della morte. Non è venuto per esentarmi dal morire, dal camminare dentro la valle della morte, ma per essere con me, come mio pastore, con il suo passo di sole, quando dovrò attraversare la valle oscura (Sal 23,4), per rotolare via tutte le pietre dall'imboccatura del sepolcro (Gv 11,39), dall'imboccatura del cuore, e farmi uscire di nuovo nel sole. Spesso, invece, ragioniamo secondo la logica del mondo, che non riesce a comprendere il punto di vista di Dio, e diciamo: in questa malattia del mio familiare, dov'è Dio? Se Dio esiste, perché questa morte innocente? «Se tu fossi stato qui mio fratello Lazzaro non sarebbe morto»... Invece Dio è qui, sempre, ma non come esenzione dalla morte. Gesù non ha mai promesso che i suoi amici non sarebbero morti. Per lui il bene più grande non è una vita lunga, un infinito sopravvivere; l'essenziale non sta nel non morire, ma nel vivere già una vita risorta. Risurrezione è un'esperienza che interessa il nostro presente prima che il nostro futuro. A risorgere sono chiamati i vivi prima che i morti. L'eternità è già entrata in noi molto prima che accada, entra con la vita di fede (chiunque crede in Lui ha la vita eterna), entra con i gesti del quotidiano amore. Il Signore ci insegna ad avere più paura di una vita sbagliata che della morte. A temere di più una vita vuota e inutile che non l'ultima frontiera che passeremo aggrappandoci forte al cuore che non ci lascerà cadere. È proprio vero allora che la morte è exit, uscita dalla vita, ma per entrare in una vita che non avrà mai fine. Sì, perché abbiamo la pretesa di credere che la nostra speranza è fondata nei cieli, in Cristo Gesù, e che la morte non può avere l'ultima parola... |